COCCHI DONATI (Cochi, de Chochis, Donati), Iacopo
Nacque a Firenze da Niccolò il 4 agosto 1411.
Inesistenti le notizie sulla sua educazione e giovinezza; risulta solo dal catasto del 1427 che in quell'anno egli era a Roma, ma si ignorano le ragioni di questo suo soggiorno. Seguendo l'esempio del padre e del fratello maggiore Donato e forte del prestigio che gli derivava dall'appartenenza ad una delle famiglie più influenti della cerchia medicea il cui potere si quantificava nella frequentissima presenza di suoi membri negli uffici civili - ben sette Cocchi, tra cui Iacopo, furono imborsati nello squittinio del 1444 -, entrò ben presto nella vita pubblica e nella carriera politica fiorentina di cui raggiunse i vertici, anche se la sua fama dové giocarsi in ambiti locali e non godere dell'apertura internazionale e vastità d'azione che caratterizzò la carriera del fratello Donato. Priore nel luglio-agosto 1446, nel 1448 fu dei Dodici buonomini e l'anno successivo ricoprì la podesteria di Barga. Ancora priore nel novembre-dicembre 1450 (e non 1451come afferma il Cambi, XX, p. 276), nel 1454 fu dei Sedici gonfalonieri e nel 1457 podestà di Arezzo per sei mesi. Della sua attività in questa carica resta, tra l'altro, testimonianza in un piccolo registro di 15 carte conservato nel locale Archivio di Stato e segnato Atti criminali 147 contenente documentazioni che vanno dal 28 febbraio al 4 agosto. Ritornato a Firenze, fu tra gli arroti della Balia del 1458 e ricoprì successivamente una serie di cariche minori: "consul maris" per sei mesi nel 1459 e ancora ufficiale del Mare nel 1460, nel 1461 fu vicario di Anghiari e nel 1462 ufficiale del Catasto. Dal dicembre dello stesso anno fu vicario del Casentino e Poppi e nel 1463 ufficiale della Condotta. Nel 1465 risulta aver fatto parte del Consiglio dei cento.
Di nuovo vicario nel 1465, questa volta del Val d'Arno di Sotto, l'anno seguente fu ancora una volta dei Priori per il bimestre luglio-agosto e nel 1467 fu inviato per un anno come podestà a Pistoia dove doveva tornare a ricoprire la stessa carica anche nel 1475. Accoppiatore nel 1469 e membro di Balia nel 1471, nel 1472 tornò in Val d'Arno di Sotto come vicario e nel 1474 (gennaio-febbraio) raggiunse l'apice della sua carriera politica con il gonfalonierato di Giustizia.
Fin qui le notizie sulla sua attività pubblica che delineano un personaggio di notevole spicco nella Firenze dominata dai Medici, in stretta dipendenza dalla famiglia al potere, condizione essenziale, del resto, per ricoprire le molte cariche - quasi una l'anno per il periodo 1446-75 - di cui è intessuta la carriera politica del Cocchi Donati. Linea caratterizzante di casa Medici fu infatti quella di far giungere ai vertici del potere pubblico uomini fedeli e facilmente manovrabili con cui si stabiliva una sorta di tacito patteggiamento: cariche pubbliche in cambio del controllo sulle facoltà decisionali di tali cariche. L'abbondante corrispondenza che intercorse tra il C. e alcuni membri di casa Medici, soprattutto Giovanni di Cosimo e Lorenzo di Piero di Cosimo, è un'altra prova di tale tipo di comportamento. Le lettere, che coprono un arco di tempo di dodici anni, dal 1463al 1475, e di cui alcune sono quasi sicuramente autografe, fotografano in maniera assai chiara, anche se purtroppo forzatamente unilaterale, un tipo di rapporto ossequioso, adulatorio ma in cui la subalternità non sembra oltrepassare i limiti della dignità dell'uomo e della carica. Pochissimi i temi di queste lettere: da una parte i Medici che utilizzavano l'homo novus, loro creatura, con la richiesta continua e pressante di favori, dall'altra il C. che si ripagava della strumentalizzazione lusingando i protettori con l'invio di doni - cacciagione e pesca - ma cercando anche di sfruttarne la non certo disinteressata amicizia con la concessione di benefici e raccomandazioni per sé e i suoi (molte lettere sonoedite in L. Miglio, "Non meno per l'utile che per lo honore". Lettere di J. Cocchi Donati, Roma 1980).
Ma accanto all'attività pubblica del C. non bisogna dimenticarne un'altra, non meno importante; se infatti egli fu, innanzitutto, uno strumento del potere politico dominante, fu anche, e forse più intimamente, un letterato. Autore soprattutto di sonetti religiosi e moraleggianti, oggi conservati nei mss. Riccardiano 1133 (ed. in Lirici toscani del 1400, a cura di A. Lanza, I, Roma 1973, pp. 585-88) e 2560 e nel ms. 132 della Biblioteca dell'Accademia Etrusca di Cortona (in G. Mancini, Sonetto di J. Cocchi a s. Francesco, in Miscell. francescana, I [1886], p. 93, e Lirici, cit., p. 587). scrisse anche alcuni sonetti encomiastici di cui uno in occasione dell'incoronazione di Francesco Sforza a duca di Milano nel 1450 oggi conservato nel ms. Riccard. 1114 e, anonimo, nel ms. Magliab. Conv. F.5.398 (ed. Flamini, 1891, p. 135, e Lirici, cit., p. 588) e altri, datati 1466 e 1467, in onore di Piero e Lucrezia de' Medici tramandati autografi nel codice Magliab. VIII, 1439 che conserva pure, a c. 69v, un'altra prova poetica del C. (in Zippel, 1894, pp. 13, 18 s.). Accanto alle poesie vanno ricordati anche testi in prosa tra cui da segnalare nello stesso Magliab. VIII, 1439 alcuni ricordi di avvenimenti del 1466 editi dallo Zippel nel 1894 (Ricordi..., pp. 11 s., 14-17).
Non sono stati, invece, finora rintracciati gli altri testi che il Manni, con le parole di Giovanni Cinelli, attribuisce al C., tra cui alcuni carmi in latino che costituirebbero una novità nel panorama interamente volgare della produzione poetica del Cocchi Donati. Definito dal Flamini "misero verseggiatore", ma è giudizio con cui non concorda il Lanza, dovette invece essere ben considerato negli ambienti letterari contemporanei come si deduce dalle parole di stima e lode indirizzategli in un sonetto dal poeta cortonese Comedio Venuti. Nel ms. 158 della Biblioteca consorziale di Arezzo, autografo del Venuti, è conservato anche il responsivo del C. all'amico cortonese. Uomo comunque dotato di una certa vivacità di interessi culturali anche se, stando al suo esiguo canzoniere, coltivò la poesia solo occasionalmente, il C. amava trascorrere parte del tempo libero dalle funzioni dei suoi uffici nell'esercizio della scrittura: oltre alle poesie autografe ci sono infatti rimaste alcune sue altre esperienze di scrittura - assai interessanti per l'impasto grafico che le caratterizza - nel ms. Palat. 214 della Biblioteca nazionale di Firenze contenente, tra l'altro, le rime di Niccolò Cieco e nel Riccardiano 1721 che conserva la vita di S. Giovanni Battista di Francesco Filelfo ambedue muniti, come del resto tutti i codici trascritti dal C., della sottoscrizione o nota di possesso.
Sarebbe logico attendersi che dopo il 1475, anno dell'ultima carica pubblica che fu il provveditorato di Cortona, il C., libero dagli impegni di governo, intensificasse le sue attività marginali, ma ciò non sembra essersi verificato. Non sappiamo perciò come abbia trascorso gli anni fino al 1479, quello della morte, avvenuta, verosimilmente a Firenze, il 28 giugno. A Firenze, in S. Croce, la moglie Lionarda di Francesco Carducci con cui risulta già maritato nel 1447, gli fece edificare il sepolcro marmoreo.
La lastra tombale, posta davanti al terzo altare della navata destra, reca in alto l'epitaffio e al centro un tondo con lo stemma del C.: un'aquila d'oro con due teste su fondo rosso, ricordo di un antico privilegio imperiale. "E tu t'abbi il danno" è l'oscuro motto dal significato oggi incomprensibile che si legge accanto al nome del C. in una lista di personaggi famosi di età medicea compilata da un anonimo nel 1472. Dalla dichiarazione di sostanze del catasto del 1451 si rileva che in quel periodo il C. abitava con la moglie e il fratello Barone nella casa paterna posta nel popolo di S. Simone dove la sua famiglia risulta già abitante almeno dall'anno 1325. Tale fonte, come del resto le successive, non fa menzione di figli del C. che presumibilmente non ne ebbe. Oltre ai già nominati Donato e Barone, il C. ebbe molti altri fratelli: tra questi sono da ricordare almeno Zanobi che fu priore nel gennaio-febbraio 1455, Borghino capitano di Castrocaro nel 1457 e, soprattutto, Francesco che rivestì importanti uffici civili.
Francesco, minore del C., - era nato a Firenze il 2 luglio 1421 - fu priore nel novembre-dicembre 1452, dei Sedici gonfalonieri nel 1458 e 1463, dei Dodici buonomini nel 1467, gonfaloniere di Giustizia nel maggio-giugno 1469 e membro di Balia nel 1466 e nuovamente nel 1471. Non se ne conoscono luogo e data di morte.
Fonti e Bibl.: La maggior parte delle notizie biogr. si ricava dai Libri delle Tratte dell'Arch. di Stato di Firenze (Tratte 39, 67, 68, 132 bis, 135). Altre notizie: Ibid., ms. 251, Priorista Mariani, IV, c. 962r e nel ms. 265 ("Li dodici buonomini e li sedici gonfaionieri delle compagnie del popolo... o sia Supplemento al Priorista..."), I, cc. 104v-105r e nei Catasti 69 e 697. Nello stesso Archivio sono da vedere le lettere del carteggio con i Medici, per cui cfr. Archivio Mediceo avanti il Principato. Inventario, I, Roma 1951, p. 351; II, ibid. 1955, pp. 15, 22, 43, 69, 83, 240; III, ibid. 1957, pp. 206, 301. Utile, anche se viziata da errori di datazione, la consultazione alla Bibl. nazionale di Firenze di G. Passerini, Raccolta geneal. 8, c. 78r. Cfr. inoltre S. Ammirato, Delle famiglie nobili fiorentine, Firenze 1615, pp. 209 s.; Catalogus codicum manuscriptorum qui in Bibliotheca Riccardiana Florentiae adservantur..., Liburni 1756, pp. 128, 167, 216, 320, 356; D. Manni, Osservazioni istor. sopra i sigilli antichi…, X, Firenze 1742, pp. 45-49; G. Cambi, Istorie..., in Delizie degli eruditi toscani, XX, Firenze 1785, pp. 88, 255, 276, 395, 415; S. Ammirato, Istorie fiorentine, VIII, Firenze 1826, p. 90; I manoscritti palatini di Firenze ordinati ed esposti da Francesco Palermo, I, Firenze 1853, pp. 393 s.; G. Mancini, I manoscritti della Libreria del Comune e dell'Accad. Etrusca di Cortona, Cortona 1884, p. 18; I codici palatini della R. Bibl. naz. centrale di Firenze, I, Roma 1885, p. 271; F. Flamini, La lirica toscana del Rinascimento anteriore ai tempi del Magnifico, Pisa 1891, pp. 135, 287, 484, 673 s.; G. Zippel, Ricordi e sonetti ined. di J. C. D., Trento 1894; E. Garin, La giovin. di Donato Acciaiuoli, in Rinascimento, I (1950), p. 45 n. 1; G. Corti, Una lista di personaggi del tempo di Lorenzo il Magnifico caratterizzati da un motto o da una riflessione morale,ibid., III (1952), p. 156; L. Martines, The social world of the Florentine humanists. 1390-1460, Princeton 1963, p. 72; N. Rubinstein, Il governo di Firenze sotto i Medici(1434-1494), Firenze 1971, pp. 292, 344, 353, 360; Colophons de manuscrits occidentaux des origines au XVIe siècle, III, Fribourg 1973, pp. 57 s.; M. Degl'Innocenti Gambuti, I codici miniati medievali della Biblioteca comunale e dell'Accad. Etrusca di Cortona, Firenze 1977, p. 155; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, pp. 135, 182, 214.