Colonna, Iacopo (detto Sciarra)
, A Sciarra più che a ogni altro è toccato di rappresentare l'estrema violenza dell'odio, a cui giunse l'urto tra Bonifacio VIII e i colonnesi, e la tradizione ghibellina della famiglia, con una risolutezza, una coerenza e un estremismo, peculiari della sua personalità, che fecero di lui, si può dire, l'unico vero ghibellino della famiglia Colonna.
Figlio del senatore Giovanni, nacque presumibilmente a Roma intorno al 1270. Quando, dopo che Bonifacio VIII con la bolla Lapis abscissus del 23 maggio 1297 comminò a lui, unitamente agli altri colonnesi, la scomunica e altre severissime condanne, si venne a guerra aperta tra la sua famiglia e il papa, Sciarra diresse la difesa di Nepi, che però fu la prima a cadere per fame. Egli tuttavia riusciva a raggiungere Palestrina; ma dopo la resa della fortezza, si dovette recare con gli altri familiari a Rieti a chiedere perdono al papa e poi con essi andare al confino a Tivoli. Fuggito con gli altri dal domicilio coatto il 3 luglio 1299, subito dopo la distruzione di Palestrina, le sue tracce si perdono per circa quattro anni. Nel 1303 si ritrova con il fratello Stefano ospite di Guglielmo di Nogaret e di Guglielmo di Plasian. Dovette, forse, nascere allora l'idea di un'azione di forza contro Bonifacio VIII, concertata per motivi e con intenti diversi dal Nogaret e dai Colonna.
Nelle prime ore del 7 settembre 1303, i ribelli entrarono in Anagni gridando: " Viva il re di Francia e Colonna ! muoia papa Bonifazio! ". Sembra che le operazioni passassero subito quasi interamente nelle mani del C.: infatti nella città si sparse la notizia che Sciarra " frater Columnensium cardinalium damnatorum [in realtà fratello solo del card. Pietro], venerat ad villam cum magna potentia sibi adquisita per regem Franciae, ut caperet papam et ipsum morti traderet " (Guglielmo di Hundleby, Relatio). Allora " quasi tutto l'ingrato popolo d'Anagna segui le bandiere e la rubellazione " (G. Villani VIII 63). Bonifacio VIII, avvertito il gravissimo pericolo, chiese quindi di trattare; Sciarra rispose con queste tre condizioni: consegna del tesoro della Chiesa nelle mani di due o tre cardinali vecchi, cioè non di nomina bonifaciana; la piena riabilitazione di tutti i C., chierici e laici; rinuncia alla tiara da parte del papa e sua consegna nelle mani di Sciarra (G. di Hundleby, in W. Holtzmann, p. 497). Su queste basi fu impossibile raggiungere un accordo; ripreso l'assalto, Sciarra, sembra in assenza del Nogaret, poté penetrare nel palazzo papale, dove il pontefice era rimasto quasi solo. Il C. lo investì di ingiurie e minacce e forse portò anche le mani sulla sua persona. Veramente G. di Hundleby, che si trovava in curia, afferma che il papa non subì alcuna violenza, che Sciarra peraltro, rifiutandosi Bonifacio di rinunciare al papato, avrebbe voluto senz'altro ucciderlo, ma ne fu impedito dagli altri.
Due giorni dopo, il 9 settembre, il popolo di Anagni insorse, cacciò gli assalitori e liberò il papa. Ma Sciarra non si diede per vinto e, sebbene senza successo, tentò ancora di assalire il pontefice nel suo viaggio verso Roma il 16 di quello stesso mese. Bonifacio VIII era ormai un uomo finito e morì l'11 ottobre, venticinque giorni dopo il suo rientro a Roma. L'impresa contro il papa attirò sul C., come sul Nogaret e sugli altri colpevoli dell'oltraggio di Anagni, da parte del nuovo papa Benedetto XI una sentenza di scomunica e la citazione perentoria a comparire alla presenza del papa entro il 29 giugno 1304 (cfr. la bolla Flagitiosum scelus del 7 giugno 1304, in Ch. Grandjean, Les Registres de Benoît XI, Parigi 1905, n. 1276). Ma il processo pubblico, che si sarebbe dovuto celebrare a Perugia, non ebbe più luogo per la morte improvvisa di Benedetto XI. Assolto poi, insieme agli altri C., da Clemente V, il 2 febbraio 1306 (Bolla di Clemente V, in Eitel, pp. 209-212), Sciarra appare in Roma, accanto al fratello Stefano, uno dei due capi della famiglia. Alla notizia della discesa in Italia di Enrico VII di Lussemburgo (1310), i colonnesi si schierarono subito dalla parte imperiale. Nel dicembre 1311 Sciarra si precipitava a Genova per sollecitare il Lussemburghese a raggiungere Roma, che, dopo la partenza del senatore Ludovico di Savoia, si era sollevata per iniziativa dei guelfi Gentile e Poncello Orsini, che avevano richiesto pure l'intervento armato di re Roberto d'Angiò. Nella grave situazione che si era creata, Sciarra fu il risoluto animatore dei ghibellini e un valido sostegno per Enrico VII quando giunse a Roma. Ma dopo la partenza dell'imperatore (20 settembre 1312), si venne a una generale pacificazione tra le consorterie romane, che si espresse sul piano cittadino con l'elezione a senatori del C. e di Francesco di Matteo Orsini di Monte Giordano. L'accordo fu reso possibile dal passaggio alla parte guelfo-angioina di Stefano C., mentre Sciarra, forse nell'interesse della famiglia, si adattò alle circostanze, e fu podestà di Viterbo nel 1315. Parteggiò quindi per Ludovico il Bavaro, onde venne escluso da vari benefici e privilegi che Giovanni XXII accordò agli altri colonnesi, passati definitivamente al partito guelfo. Evolvendosi la situazione a Roma sempre più in senso antiangioino e antipapale, Sciarra, in attesa di Ludovico, occupò e tenne saldamente tutte le fortezze della città. Giunto il Bavaro (7 gennaio 1328), Sciarra riuscì a far nominare una commissione ecclesiastica, che fu costretta ad approvare la deposizione di Giovanni XXII, pronunciata in un parlamento popolare convocato sulla piazza di S. Pietro il 18 aprile, e l'elezione dell'antipapa Niccolò V. Quando il Bavaro, venutogli meno il favore del popolo e privo di aiuti, il 4 agosto finalmente lasciò Roma, anche Sciarra fu costretto a uscire dalla città, dove, la notte stessa di quel giorno, entrò in nome del papa Bertoldo Orsini, e la mattina dopo Stefano Colonna.
Morì, fuoruscito, circa un anno dopo, nell'ottobre del 1329, lamentandosi, nel suo fiero carattere, di dover finire così ingloriosamente su un letto (cfr. l'annotazione di Giovanni Cavallini a Valerio Massimo, in Cod. Vat. Lat. 1927, f. 15 V; cfr. Fedele, p. 222 n. 1).
Non vi è dubbio che quanto successe a Roma durante la permanenza del Bavaro, se porta il segno dell'ispirazione ideologica di Marsilio da Padova e dei fraticelli, tuttavia si poté compiere per l'energica azione dispiegata da Sciarra. Infatti gli ambasciatori dei Romani, che poi, il 15 febbraio 1330, si presentarono al papa per chiedere perdono degli errori commessi, addossarono ogni colpa in primo luogo a lui, Sciarra, e a Marsilio.
D. ricorda l'oltraggio di Anagni per bocca di Ugo Capeto, nell'aspra invettiva pronunciata contro la mala pianta dei Capetingi (Pg XX 86-93). Ma non Sciarra, non il Nogaret, identificati nei vivi ladroni, sono il bersaglio dei versi danteschi, bensì Filippo il Bello, il novo Pilato sì crudele. Nella sua poetica rievocazione dell'attentato (veggio in Alagna intrar lo fiordaliso, / e nel vicario suo Cristo esser catto / Veggiolo un'altra volta esser deriso; / veggio rinovellar l'aceto e 'l fiele, / e tra vivi ladroni esser anciso. / Veggio il novo Pilato sì crudele, / che ciò nol sazia...), D. ha ripreso e poeticamente parafrasato il paragone con la passione di Cristo, rinnovata nelle offese arrecate al suo vicario, già adoperato da Benedetto XI in un discorso pronunciato a Perugia nel 1304. Secondo il continuatore dei Flores Historiarum qui Mathei Westmonasteriensis dicuntur (Mon. Germ. Hist. Scriptores XXVIII, 501), il successore di Bonifacio VIII " deploravit abhominabale excidium in vicarium Jesu Christi et Petri commissum. Nec tantum casum personae deflevit, quin immo ipsum Christum a militibus Pilati iterum spoliari asserens, captum, dampnandum et tamquam remortuum planxit in carcere, velut in sepulcro triduo a militibus custoditum ". L'accostamento è così preciso che il Fedele (pp. 211-212) ha supposto che D., nel 1304, poté essere presente a Perugia e ascoltare direttamente il discorso del pontefice. Per altro la corrispondenza dei versi danteschi con il discorso di Benedetto XI potrebbe far pensare anche che il poeta quando scriveva ne avesse addirittura il testo sotto gli occhi. Ma non si può neppure escludere che il paragone della passione di Cristo con l'attentato di Anagni, e soprattutto di Filippo il Bello con Pilato, fosse ripreso, dopo l'allocuzione di Perugia, anche in conversazioni private sull'avvenimento, sia per accettarlo sia per respingerlo. Tuttavia sembra che l'attentato alla persona di Bonifacio, in quanto uomo, non avesse gran che turbato l'animo dei contemporanei - quasi lo avesse meritato - anche se " la coscienza di tutti i fedeli, anche di quelli che non eran disposti ad approvare in tutto la politica di Bonifacio " (Sapegno) disapprovava l'offesa recata al vicario di Cristo. L'atteggiamento di D. di fronte all'avvenimento non doveva essere diverso dal giudizio dell'opinione pubblica così bene espressa da G. Villani (VIII 64): " con tutto che papa Bonifazio fosse più mondano che non richiedea alla sua dignità, e fatte avea assai delle cose a dispiacere di Dio, Idio fece punire lui per lo modo che detto avemo, e poi l'offenditore [che per il Villani è Filippo il Bello] di lui punì, non tanto per l'offesa della persona di papa Bonifazio, ma per lo peccato commesso contro alla maestà divina, il cui cospetto rappresentava in terra ". Anche nel discorso di Benedetto XI c'è, se pure appena accennata, la distinzione fra la persona di Bonifacio e la sua dignità di vicario di Cristo.
È però solo di D. il singolare accostamento dei due capi dell'attentato, Sciarra e Nogaret, ai due ladroni della crocifissione, con l'eccezione peraltro che mentre i ladroni, in mezzo ai quali Gesù morì, furono crocifissi con lui, i moderni ladroni della passione e della morte del pontefice erano vivi e impuniti. E non c'è dubbio, crediamo, che D. con l'espressione vivi ladroni abbia voluto sottolineare polemicamente la sua condanna dei due esecutori dell'oltraggio, in assoluto contrasto con l'assoluzione di Clemente V, il papa di Filippo il Bello.
Fa anche una certa impressione come i due capi dell'attentato, qui condannati dal poeta, siano due rappresentanti fanatici di opposte tendenze politiche, imperiale e antimperiale, per D., forse, solo occasionalmente uniti dalla cupidigia familiare e politica, nell'impresa contro il capo visibile della Chiesa, sia pure usurpatore della sede di Pietro (Pd XXVII 22). È probabile però che Sciarra e Nogaret, come i giuristi di Filippo il Bello e i teorizzatori imperiali, avessero in comune almeno un punto, l'indipendenza del potere civile dal potere religioso. Concetto questo certamente condiviso da D., ma non nel senso particolaristico di Sciarra o in quello più moderno, nazionale, del Nogaret, bensì nel senso universalistico e provvidenziale della Monarchia.
Bibl. - E. Renan, Guillaume de Nogaret légiste, in Histoire littéraire de la France, XXVII, Parigi 1877, 256 ss. (ristampato in Études sur la politique religieuse du règne de Philippe le Bel, Parigi 1899, 1 ss.); G. Digard, Un nouveau récit de l'attentat de Anagni, in " Revue des questions historiques " XLIII (1888) 557-561 (pubblica un frammento della Relatio di G. Di Hundleby, contenuto in un manoscritto di Vienne ora nella biblioteca di Grenoble, segnato U 926); I. Doellinger, Anagni (" Akademische Vorträge " III), Nördlingen 1888, 223-244; R. Holtzmann, Wilhelm von Nogaret, Rat und Grossiegelbewahrer Philipps des Schönen von Frankreich, Friburgo in B. 1898 (esame accurato delle fonti sull'attentato); F. Gregorovius, Storia della città di Roma, Roma 1901, ad indicem; M. Pieri, L'attentato contro Bonifacio VIII, Torino 1903; H. Finke, Aus den Tagen Bonifaz VIII, Münster in W. 1902, 269 ss.; Davidsohn, Storia III 348-353; 1122-1123; A. Eitel, Der Kirchenstaat unter Clemens V, Berlino-Lipsia 1907, ad indicem; P. Fedele, Per la storia dell'attentato di Anagni, in " Bull. Ist. Stor. Medio Evo " XLI (1921) 195-235 (tentativo non molto convincente di dimostrare che l'avvenimento ebbe vasta risonanza nell'opinione pubblica contemporanea, e che il papa subì percosse da parte di Sciarra); W. Holtzmann, Zum Attentat von Anagni, in Festschrift A. Brackmann, Weimar 1931, 492-507 (tratta della scoperta del cod. 39 del All Souls College di Oxford, che apporta notevoli miglioramenti al testo della Relatio de Bonifacio papa capto et liberato, che era stata pubblicata anonima in Mon. Germ. Hist. Scriptores XXVIII, 622 ss. La Relatio, che si conferma la fonte più autorevole sull'attentato di Anagni, ha nel codice di Oxford anche il nome dell'autore, G. Hundleby, procuratore del vescovo di Lincoln Giovanni Dalderby, al quale il 27 settembre 1303 scriveva una lunga lettera, la Relatio appunto, informandolo minutamente dell'attentato, di cui fu testimone oculare); R. Fawtier, L'attentat d'Anagni, in " Mélanges d'archéologie et d'histoire " LX (1948) 153-179 (utilizza i risultati dell'Holtzmann e, sulla base del racconto della Relatio, mette in luce la parte preponderante avuta da Sciarra nei fatti che si svolsero in Anagni e specie nell'assalto al palazzo papale); E. Dupré Theseider, Roma dal Comune di popolo alla Signoria pontificia, Roma 1952, ad indicem (offre la maggiore quantità di notizie sul Colonna).