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Corbinelli, Iacopo

di Gianvito Resta - Enciclopedia Dantesca (1970)
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Corbinelli, Iacopo

Gianvito Resta

Filologo (Firenze 1535 - Parigi, dopo il 1588); dopo essere stato per qualche tempo a Pisa intorno al 1558 (quasi certamente per motivi di studio), nel 1562, per ragioni politiche, dovette abbandonare la Toscana, da dove si recò (probabilmente dopo due tappe a Venezia e a Padova) a Lione: qui visse tra il 1565 e il 1566. Nel 1567 si trasferì a Parigi, dove dimorò quasi ininterrottamente (se si eccettua un lungo viaggio in Polonia, intrapreso nel 1574 al seguito del duca d'Anjou, che era stato eletto re di quella nazione), fino alla morte, conquistandosi la stima e la protezione di Caterina de' Medici e di Enrico III, e rendendosi benemerito della diffusione della letteratura italiana in Francia.

Al C. si devono le edizioni di Iacopone da Todi, del Corbaccio di Boccaccio, che fece conoscere ai Francesi in un'edizione del 1569, della Bella Mano di Giusto de' Conti, pubblicata con un'appendice di rime di diversi autori. Di altre opere che avrebbe voluto scrivere, come un Vocabolario francese e un commento al Decameron di Boccaccio, non ne fece mai nulla; di gran lunga più ampio, invece, fu l'interesse del C. per D.; la sua profonda conoscenza (soprattutto della Vita Nuova e del Convivio, oltre, naturalmente, della Commedia) è attestata dalle numerose reminiscenze, riscontrabili nel carteggio con Giovan Vincenzo Pinelli e con altri suoi amici. Ma il merito principale del C. è di aver stampato per primo, a Parigi nel 1577, il De vulgari Eloquentia, corredandolo di una parte esplicativa, le Annotationi, scritte " saltuatim et tumultuarie " (esse sono limitate al I libro del trattato: il proposito di estenderle anche al II risulta da una lettera al Pinelli del settembre 1577).

Quest'edizione (in cui, fra l'altro, nella lettera prefatoria di C. a monsignore Pietro Forget, si legge un interessante giudizio comparativo fra D. e Petrarca, dove si rivendica al primo l'assoluta priorità sul cantore di Laura), fu preparata da un intenso lavorio su una copia del De vulgari Eloquentia, l'attuale manoscritto 580 della Biblioteca comunale di Grenoble, che il C. aveva ricevuto dall'abate Piero del Bene e che postillò di sua mano in molti punti, cosicché si può dire che queste glosse costituiscono il nucleo delle successive Annotationi. Di questo manoscritto e della versione del Trissino (che tenne presente, ma non in maniera così esclusiva come si è solito credere), si servì il C. per la sua edizione del 1577, che presenta un testo per molti aspetti migliore di quello ricavabile dalla versione del Trissino.

Il continuo lavorio del C. sul De vulgari Eloquentia è dimostrato chiaramente da un'ulteriore serie di postille (relative, questa volta, anche al II libro e trovate in un esemplare della Schlossbücherei di Mannheim), che il C. avrebbe voluto sviluppare in un discorso più ampio, sicuramente destinato alle stampe, come le Annotationi. Ma, mentre queste mirano piuttosto al senso complessivo del testo, le glosse dell'esemplare di Mannheim, benché più ricche di citazioni classiche e anche volgari (non infrequenti i rimandi ad autori francesi moderni e antichi), rivestono un carattere esclusivamente grammaticale, limitandosi alla delucidazione della singola parola.

Bibl. - V. Crescini, Lettere di J. C., in " Giorn. stor. " II (1883) 303-333; M. Barbi, D. nel Cinquecento, in " Annali Scuola Normale Sup. Pisa " XIII (1890) 84; D.A., Traité de l'éloquence vulgaire, a c. di E. Maignien e P.Y. Prompt, Venezia 1892; A. Farinelli, Il C. in Francia, in D. e la Francia dall'età media al secolo di Voltaire, I, Milano 1908, 456-464; Il Trattato De vulg. Eloq., a c. di P. Rajna, Firenze 1896, LXIX-LXXXV; M. Battistini, La condanna di I.C., in " Arch. Stor. It. " LXXII (1914) 61-63; C.S. Gutkind, Die handschriftlichen Glossen des I.C. zur seiner Ausgabe der " De vulg. Eloq. ", in " Arch. Romanicum " XVIII (1934) 19-120 (rec. di A. Marigo, in " Studi d. " XIX [1935] 149-153); Marigo, De vulg. Eloq., XLI.

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