IACOPO d'Ardizzone (Jacobus de domino Ardizone de Broilo)
Originario di Verona, figlio di Ardizzone, nacque nell'ultimo decennio del sec. XII o all'inizio del XIII.
Moschetti ha accertato che Ardizzone esercitava a Verona l'attività di banchiere (campsor) e che banchiere era anche uno dei fratelli di I., Omnebonum. La maggior parte delle informazioni sulla vita di I. si ricava dal proemio della sua Summa feudorum. In esso l'autore afferma di chiamarsi "Iacobus", sebbene si firmi "Ar." - nelle glosse prima ancora che nella Summa stessa -, in onore del padre Ardizzone. La locuzione "de broilo" potrebbe riferirsi a una zona di Verona, forse nei pressi dell'episcopio, ai margini dell'antico quartiere del Ferro (dove oggi esiste una piazza Broilo); oppure, secondo alcuni, potrebbe essere già il cognome dello stesso Ardizzone.
Da Verona I. passò a Bologna, dove riferisce di aver ascoltato Azzone e, dopo la morte di questo, Ugolino dei Presbiteri.
I. sembra dire di esservi giunto in esilio ("Cum Bononiae […] exulassem"): a parere di Laspeyres si trattò di un esilio maturato nel corso degli eventi che, tra il 1225 e il 1226, portarono Ezzelino da Romano alla presa del potere in Verona.
Questa datazione è possibile anche in virtù delle ricerche di Conte il quale, rafforzando con nuove prove un'ipotesi già formulata da Savigny, ritiene che Azzone sia morto nel 1230 e non nel 1220, come invece si pensa da tempo in storiografia. Non riscuote più seguito fra gli studiosi, invece, la congettura di Papadopoli, per la quale I. sarebbe stato contemporaneo di Alberico da Rosate e chiamato alla corte pontificia di Avignone.
Sembra tuttavia più probabile una diversa spiegazione dei fatti. È I. stesso a dire, nel suo proemio, di essere giunto a Bologna perché mosso dal desiderio di studiare diritto, e dunque volontariamente ("fere amore legalis scientiae discendae"); la "legalis scientia", infatti, era per lui addirittura l'unica ragione di vita ("quam solum nostro tempore vivendi rationem optimam esse putavi"). E se nella città felsinea la sua condizione personale era peggiorata rispetto a quella di cui godeva a Verona, I. spiega - a dispetto delle supposizioni circa una sua cacciata dalla città natale - che questa era la situazione normale in cui versavano gli studenti a Bologna ("quod saepe scholares facere contingit"), costretti a difficili economie per mantenersi agli studi lontani da casa. Quell'"exulassem" assume dunque il sapore di un esilio volontario dalla patria veronese, indipendente dai fatti del 1225-26 e forse addirittura antecedente al 1220, anno in cui, secondo la storiografia tradizionale (e, a oggi, anche secondo Sarti), sarebbe morto Azzone, primo maestro di I.: un esilio sofferto, ma pur sempre liberamente scelto in nome della scienza legale.
Durante il soggiorno bolognese, da Azzone e, dopo la morte di questo, da Ugolino, I. ascoltò lezioni di diritto romano. Non frequentò, invece, a quanto pare, lezioni di diritto feudale, anche se Sarti immagina che Ugolino abbia esercitato un'influenza decisiva nell'indirizzarne l'attenzione verso questo diritto, che sarebbe poi rimasto al centro degli interessi di Iacopo.
Agli anni della sua frequentazione dei corsi di Ugolino Laspeyres attribuisce il primo impegno di I. nella Summa feudorum, che avrebbe avuto una prima versione fra il 1227 e il 1234 e sarebbe stata completata intorno al 1240 (queste date, tuttavia, debbono essere forse anticipate, se si accetta che I. possa essere giunto a Bologna prima del 1225-26).
Terminati gli studi di diritto, I. fece ritorno a Verona, dove si trovava negli anni fra il 1242 e il 1244. Questo importante passaggio della sua vita, ignorato da Laspeyres e suggerito, invece, da Moschetti, è attestato da diverse fonti.
La prima è un documento del 10 apr. 1242 rogato a Verona da un "Magister Ventura" ed edito appunto da Moschetti, dal quale apprendiamo che I. risiedeva a Verona, nella contrada di S. Cecilia, ubicata all'interno del quartiere del Ferro. L'atto viene rogato a casa sua e ci informa che I. si era guadagnato la qualifica di causidicus, ossia di esperto al quale ci si rivolgeva per dirimere le questioni giuridiche più complesse.
Altre informazioni di rilievo si ricavano, poi, dai documenti raccolti dal notaio Oltremarino da Castello ed editi da Sancassani. In questi atti, tutti compresi fra il 13 aprile e il 26 ott. 1244, I. non compare più con la qualifica di causidicus, bensì con quella di iudex e, talvolta, anche con quella di consiliarius. Le fonti qui ricordate sembrano offrire altro sostegno all'ipotesi di una volontaria permanenza a Bologna di Iacopo. Gli anni intorno al 1242-44, nei quali I. appare a Verona libero di esercitare la sua professione, sono infatti proprio quelli durante i quali Ezzelino, forte dell'appoggio di Federico II, rafforzava il suo dominio su Verona. E un ulteriore elemento di riflessione in questo senso lo offre la frequentazione di I. con il magister Ventura, delle cui posizioni filoimperiali ha rintracciato indizi il Moschetti.
I documenti veronesi sono poi significativi anche sotto il profilo strettamente biografico, perché consentono di situare la morte di I. dopo il 26 ott. 1244, quando egli compare nell'ultimo degli atti appena citati. Sarebbe quindi corretta l'affermazione del Diplovatazio secondo la quale I. era ancora in vita durante il pontificato di Innocenzo IV (1243-54).
La fama di I. come giurista è interamente dovuta al suo impegno nel diritto feudale, condensato nella Summa, sebbene egli non abbia mancato di dedicarsi anche allo studio del diritto romano.
Della Summa feudorum si conoscono otto manoscritti: Real Biblioteca de San Lorenzo de El Escorial, E.I.10, cc. 1-59; Madrid, Biblioteca nacional, 577, cc. 117r-144r; Parigi, Bibliothèque nationale, Lat., 4604, cc. 55r-67r; Lat., 4677 (cfr. Colorni); Lat., 16008, cc. 1-65; Parma, Biblioteca Palatina, Parm., 1227, cc. 23-53; Napoli, Biblioteca nazionale, III.A.32; Vienna, Österreichische Nationalbibl., 2094, cc. 29r-52v. In essi l'opera si presenta divisa in due libri, che seguono la seconda recensio dei Libri feudorum, quella impropriamente definita "ardizzoniana", ma che, come è stato dimostrato, fu alla base già del lavoro di Pillio (il quale, però, prescindeva dalla ripartizione in titoli dei Libri feudorum e li trattava come un titolo unico). La fonte dottrinale più frequentemente citata da I. è proprio Pillio; a questo segue Azzone, pure sovente evocato.
L'opera di I. è nota da diverse edizioni: in Astensi civitate 1518, rist. anast. in Corpus glossatorum iuris civilis, V, Augustae Taurinorum 1970; Coloniae 1562 e 1563; Coloniae 1568 e 1569; Venetiis 1584 in Tractatus universi iuris, X, 1, pp. 225r-262v. Per il Soffietti (p. VII) esse derivano probabilmente tutte da un unico manoscritto oggi perduto.
A differenza di quanto accade nei manoscritti, nelle edizioni ogni libro è articolato in quattro parti, ciascuna parte è composta da capitoli rubricati. Il cap. 1, come si è detto, corrisponde al proemio, mentre dal cap. 2 al cap. 147 è esposta la materia feudale secondo l'ordine della seconda recensione dei Libri feudorum. I capitoli finali dell'opera (148 s.) sono occupati dalle Extravaganti: una massa di capitula extravagantia, già segnalati da Cuiacio come il contributo di originalità dato da I. alla storia del diritto feudale. In effetti, questa raccolta - nell'aspetto con cui si presenta nel manoscritto viennese (cc. 22, 53-54v) - ha rappresentato una tappa fondamentale nella storia della formazione della versione "accursiana" o "vulgata" dei Libri feudorum.
Il testo genuino delle Extravaganti di I., riportato dal solo manoscritto viennese, fu scoperto da Seckel. È suddiviso in quindici titoli, a loro volta distinti in capitoli: Seckel dimostrò che i primi sette titoli costituivano, con alcune eccezioni, la collezione compilata da Iacopo. Vi si rinviene materiale piuttosto eterogeneo, successivamente riprodotto nelle edizioni a stampa, ma con gravi lacune.
È attribuita a I. anche la sintetica Compilacio feudorum secundum Ardizonem (o Liber Ardizonis), che chiude il codice Viennese (cc. 72ra-rb) e della quale, così come per le Extravaganti, non esistono altri testimoni. Si tratta di un'analisi dei Libri feudorum condotta su un esemplare di essi - oggi perduto - che risulta intermedio fra la recensio ardizzoniana e quella definitiva accursiana. Infatti essa segue dapprima, la cosiddetta ardizzoniana, ma poi si sofferma su alcuni capitoli che mancano in quest'ultima e che sono fra quelli compresi nella compilazione di Extravaganti.
Sul versante romanistico, I. ci ha lasciato tracce di un suo interessamento scientifico per i Tres libri: un singolare abbinamento, questo, che aveva trovato un esponente già in Pillio e che proseguì con altri giuristi. A I., infatti, è ascritta una Summa di C.10.32 [31] de decurionibus, che si trova stampata normalmente nelle edizioni delle Summae azzoniane, di seguito alla Summa dei Tres libri di Piacentino-Pillio (cfr. Iacobus Ardizone de Broilo, Summa de decurionibus, in Azonis Summa super codicem, Instituta, Extraordinaria, Papiae 1506, rist. anast. in Corpus glossatorum iuris civilis, II, Augustae Taurinorum 1966, pp. 453-466). È I. stesso ad attribuirsene la paternità in un passo della Summa feudorum (verso la fine del cap. 137) e, specularmente, taluni passi della Summa de decurionibus rimandano al lavoro sui feudi. Quest'operetta, della quale non si conoscono manoscritti, è stata composta dopo il 1233, perché vi è menzionato Giovanni da Vicenza come podestà di Verona, carica che questi ricoprì proprio quell'anno.
Più deboli sono le tracce di un'ulteriore attività scientifica di I. sul diritto romano. Egli informa (al cap. 137 della Summa feudorum) di aver redatto una Summa di C.10.35 [34] "quando et quibus debetur quarta pars", che però sembra perduta. Indagini specifiche andrebbero poi condotte con riguardo all'attività di I. condensata nelle glosse che portano la sigla "Ar.", di cui è lui stesso a dare notizia nel proemio della Summa feudorum. Resta, comunque, di incerta attribuzione tale sigla presente anche nel manoscritto della recensio antiqua dei Libri feudorum conservato nella Biblioteca universitaria di Tubinga (Universitätsbibl., MC.14) - il manoscritto forse più antico che la tramanda -, perché essa potrebbe sottendere, verosimilmente, il nome non di I., bensì di Ariprando, uno dei longobardisti che si occuparono di diritto feudale prima ancora che questo, con Pillio, diventasse dominio dei romanisti.
Non è definitivamente provato che I. abbia anche tenuto cattedra. Lo crede, tuttavia, parte della storiografia muovendo da un brano della parte iniziale della Summa de decurionibus dove I. riferisce di aver "letto" per lo meno quel titolo del codice. A un'attività di insegnamento di I. potrebbero alludere le glosse con la sua sigla, ma al momento non è possibile dire di più, né sbilanciarsi circa il luogo in cui I. potrebbe aver insegnato.
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