IACOPO da Acqui
Assai scarse sono le notizie sulla sua vita, per lo più ricavabili da quanto egli stesso scrisse nella Cronica. Nacque presumibilmente ad Acqui nella seconda metà del sec. XIII. Appartenne all'Ordine dei predicatori. Secondo una sua dichiarazione, nel 1333 stava attendendo alla stesura della Cronica (ed. Avogadro, col. 1403); un aggiornamento relativo alle vicende dinastiche del Monferrato si riferisce alla situazione del 1334 (col. 1540). Il piano originario dell'opera (col. 1367) prevedeva che essa giungesse fino all'epoca di papa Giovanni XXII (1316-34), ma la narrazione si arresta di fatto al 1296, anche se in diversi punti si trovano anticipazioni relative a periodi posteriori e anche se più volte l'autore preannuncia racconti ed eventi successivi di cui poi non vi è riscontro.
In base a queste considerazioni si indebolisce la possibile identificazione, a lungo data per certa, con "Iacobinus de Belengeris de Aquis" testimone di un atto rogato nel 1289 citato da Avogadro, perché in tal caso egli, certamente già adulto a quella data, sarebbe stato nel 1334 troppo anziano per attendere a pieno ritmo alla sua opera; perdono quindi consistenza anche le ipotesi che, in base a tale sottoscrizione, lo assegnavano all'illustre famiglia acquense dei Bellingeri.
Nulla impedisce invece l'identificazione di I. col domenicano "Iacobinus de Aquis" che fu testimone di una compravendita nel 1320 (anche questo atto, conservato presso l'Archivio capitolare di Acqui, è citato da Avogadro); il fatto che in questa testimonianza egli fosse accompagnato da un "Frater Simon de Ciprio converso eiusdem ordinis", probabilmente addetto al suo servizio, è stato giudicato un elemento a favore di una certa autorevolezza e importanza del personaggio. Sarà sempre lui il domenicano che fece trascrivere in un codice le Vitae di s. Domenico, s. Pietro Martire e s. Guido di Acqui; il manoscritto, visto da Moriondo e poi, dopo che era stato smembrato, da Savio e da Vattasso, reca l'indicazione che la raccolta sarebbe stata esemplata per incarico di "Jacobinus de Aquis ex ordine fratrum praedicatorum".
Altre ipotesi sulla sua vita e sulla sua persona, avanzate a partire da Moriondo, non trovano conferma o sono decisamente fantasiose. Infondata appare la notizia di una sua permanenza in Terrasanta, corredata perfino di quella di una nomina a vescovo di Gerusalemme; essa sarà sorta probabilmente in seguito a una confusione con il ben più famoso Jacques de Vitry, l'autore della Historia orientalis, resa possibile forse dalla circolazione comune delle opere dei due scrittori, che si trovano effettivamente associate nel codice di Torino, Biblioteca naz. universitaria, G.II.34. Ugualmente non provata è l'ipotesi di una sua appartenenza al convento domenicano di Alba, avanzata in base alla convinzione - smentita da tutti gli studiosi più recenti - che il medesimo codice della Cronica sul quale si trova una sottoscrizione del domenicano quattrocentesco albense Tebaldo di Diano fosse autografo di I. e dopo la sua morte fosse rimasto nel convento dove egli aveva vissuto; né maggiori elementi si possono invocare circa la sua presunta appartenenza a un altro monastero domenicano, quello di Saluzzo, ipotizzata in base a un riferimento contenuto nella Cronica che mostra una certa conoscenza di quella città. Quanto alla qualifica di magister historiae scholasticae, attribuitagli da Avogadro, essa deriva dal fraintendimento di un passo del prologo della Cronica (col. 1359): I. non riferisce tale qualifica a se stesso, ma a Pietro Comestore, come di consuetudine nel Basso Medioevo.
La figura di I. è dunque legata soprattutto all'opera storiografica da lui scritta, importante raccolta di notizie e tradizioni di cui talvolta è unica testimonianza. Il titolo dell'opera era probabilmente Chronica, sive Imago mundi, come sostiene L.F. Benedetto; la forma attestata nel prologo e da lì passata nell'intitolazione di alcuni manoscritti, Chronica libri imaginis mundi, appare grammaticalmente difficile e potrebbe derivare da una corruttela testuale, mentre il nome Cronica imaginis mundi preferito da Avogadro e dagli editori successivi è quello attestato nella sottoscrizione di Tebaldo di Diano, che dipende però a sua volta dalla grafia del prologo, probabilmente scorretta.
Dell'opera sono noti cinque manoscritti. Il più famoso di essi, il già citato Torinese G.II.34 (sec. XIV), offre un testo molto caotico e confuso: la materia presenta continui salti cronologici; di molti episodi si fa solo un accenno rinviando a una trattazione successiva; alcune sezioni sono accorpate in base all'affinità di fonte o di argomento e non secondo l'ordine temporale imposto dal genere cronachistico; nella parte finale sono copiati brani di argomento diverso, probabilmente destinati a far parte della Cronica ma non ancora inseriti al suo interno. Un redattore successivo, probabilmente ancora del sec. XIV, è intervenuto per fare ordine all'interno del manoscritto, e a tal fine ha compilato due ampi e dettagliati indici cronologico-tematici e ha creato un apparato di rinvii e di note marginali che permettono di orientarsi nel testo. L'instabilità del codice G.II.34 non si ritrova invece negli altri manoscritti (Milano, Biblioteca Ambrosiana, D.526.inf.; Biblioteca Trivulziana, 704; Torino, Biblioteca naz. universitaria, I.II.22; Arch. di Stato di Parma, Raccolta di manoscritti, b. 39), nei quali il testo presenta una più coerente continuità cronologica e dove si leggono numerosi episodi assenti nel codice G.II.34. Questo stato di cose venne spiegato da Holder-Egger con l'ipotesi che il codice G.II.34 fosse una copia del codice di lavoro di I., un codice-archivio in appendice al quale l'autore andava progressivamente accumulando materiale che non poté opportunamente sistemare a causa della sua morte; la redazione rappresentata dagli altri manoscritti corrisponderebbe invece a un'edizione postuma, curata da un erudito che si sforzò di ripristinare l'ordine cronologico, di integrare i brani mancanti, di collocare la documentazione allegata dove necessario. L'ipotesi appare plausibile; se essa fosse confermata, si dovrebbe concludere che le sezioni presenti negli altri manoscritti, ma assenti nel codice G.II.34, non fanno parte della stesura originaria di I., ma sono aggiunte del successivo redattore. Se per Holder-Egger questo codice, pur con tutti i suoi limiti, appare redazionalmente più vicino a quanto effettivamente prodotto da I., Gasca Queirazza, pubblicando parti del testo conservate senza particolari accidenti in tutti i testimoni, si è affidato invece di preferenza ai due manoscritti Torinese I.II.22 e Ambrosiano D.526.inf., ancora trecenteschi, ritenuti portatori di un testo più completo e migliore; ma non ha affrontato la questione della probabile anteriorità redazionale del codice G.II.34. I due codici Trivulziano e Parmense infine, entrambi del sec. XV, sono fra loro molto vicini e riportano una redazione affine, quanto a disposizione del testo, a quella dei codici Ambrosiano e Torinese I.II.22, ma fortemente rimaneggiata sul piano stilistico e linguistico.
Questi brevi cenni allo stato della tradizione valgono a mostrare che numerosi sono i problemi critici irrisolti circa l'opera di I., che manca del resto ancora di un'edizione completa e affidabile. La storia editoriale dell'opera comincia - dopo qualche sporadica menzione in opere erudite anteriori - con G.B. Moriondo (in Monumenta Aquensia, II, Taurini 1780, pp. 133-175) che ne estrasse alcune parti relative alla storia di Acqui basandosi sul codice G.II.34, l'unico a quel tempo conosciuto. Una più ampia edizione, a partire dal medesimo codice, diede alle stampe G. Avogadro (Chronicon imaginis mundi, in Historiae patriae monumenta, Scriptores, V, Augustae Taurinorum 1848, coll. 1358-1626), che tuttavia ne escluse alcune parti. L'edizione Avogadro venne integrata in seguito da O. Holder-Egger (Gesta Friderici I in Lombardia, in Mon. Germ. Hist., Scriptores rerum Germanicarum, XXVII, Hannoverae 1892, pp. 79-98), che pubblicò, con criteri filologici, le parti dell'opera relative alla terza crociata, basandosi sui due codici Torinesi e sull'Ambrosiano; F. Massimelli, che utilizzò anche il codice Trivulziano (Pagine inedite della Chronica imaginis mundi di Jacopo d'Acqui, Asti 1913, pp. 7-54); G. Gasca Queirazza, che utilizzò tutti i testimoni conosciuti per ripubblicare con un apparato di varianti la parte della Cronica relativa alla leggenda carolingia e in edizione critica quella relativa alla leggenda aleramica (La leggenda aleramica nella Cronica imaginis mundidi Jacopo d'Acqui. Testo critico, in Riv. di storia, arte e archeologia per le provincie di Alessandria e Asti, LXXVI [1968], pp. 39-50; Gesta Karoli Magni imperatoris. Storia e leggenda carolingia nella Cronica imaginis mundi di frate J. d'A., Torino 1969). Edizioni di singoli passi dell'opera, del tutto nuove o migliorate, sono state curate da L.F. Benedetto (in Marco Polo, Il Milione, Firenze 1928, pp. CXCIII-CXCVIII) e da A. Monteverdi (Pier della Vigna nell'Imagomundi di I. d'A., in Studi medievali, s. 2, IV [1931], pp. 259-285). Manca ancora però un'edizione completa, così come non del tutto risolta, come si è detto, è la questione della genesi dell'opera.
La Cronica di I. è concepita come una continuazione (secunda pars) del Compendium historiae in genealogia Christi di Pietro di Poitiers, una storia universale che ebbe grande fortuna nel Basso Medioevo per la sua forma pratica e schematica e che nel codice G.II.34 è collocata prima della Cronica, in sostanziale continuità con essa. Ricollegandosi a una delle più diffuse scansioni medievali della cronologia universale, quella che suddivideva la storia dell'uomo in sei età, I. constatava che le prime cinque - da Adamo a Cristo - erano state trattate dal suo predecessore; restava da trattare la sesta, destinata a chiudersi con la fine del mondo, della quale era possibile descrivere gli eventi fino all'età contemporanea. La narrazione inizia perciò con l'impero di Caligola - il primo imperatore romano successivo a Cristo, cioè il primo di cui il Compendium non faceva menzione - ed era destinata a spingersi, come si è detto, fino all'epoca di Giovanni XXII.
L'attenzione maggiore è riservata da I. all'Italia settentrionale; per gli avvenimenti di quest'area egli fornisce varie notizie di prima mano e altre che sono per noi importanti in quanto non ne sono state conservate le fonti. Molto studiate sono le informazioni di I. circa Pietro della Vigna (o Pier delle Vigne) e il suo contrasto con l'imperatore Federico II, del quale la Cronica riferisce anche la tenzone poetica; ugualmente importanti sono le notizie relative alla terza crociata e alle guerre fra i Comuni lombardi e gli imperatori svevi, per le quali I. attinge a fonti perdute. Infine, di grande interesse sono gli estratti relativi al viaggio in Cina dei fratelli Polo che si trovano al termine della Cronica nei manoscritti della redazione più ampia e che riportano informazioni di eccezionale qualità, in parte non comprese nel Milione, che potrebbero essere genuinamente poliane; ma per tali estratti e per altre sezioni aggiuntive rispetto al testo conservato nel codice G.II.34 è difficile capire, come si è detto, se davvero I. abbia avuto parte nella loro stesura o nel loro inserimento. Le notizie che rendono interessante la Cronica sono comunque soprattutto quelle di carattere aneddotico o romanzesco, mentre minor valore essa ha sul piano strettamente storico, dato che I. risulta spesso acritico e impreciso; per questa ragione Muratori evitò di pubblicarla e ne diede un giudizio pesantemente negativo.
Fra le fonti citate da I. vi sono scrittori classici (Livio, Giuseppe Flavio, Orosio, Girolamo) e medievali (Giordane, Paolo Diacono, Eginardo, Pietro Comestore, Vincenzo di Beauvais, Iacopo da Varazze, Riccobaldo da Ferrara, Martino di Troppau, Sicardo da Cremona, Sire Raul). Ma I. conosce anche varie tradizioni leggendarie trasmesse da canzoni di gesta e romanzi, come quelli su Alessandro Magno, su Carlo Magno (di cui conosce fra l'altro la tradizione del pellegrinaggio in Terrasanta), su Amelio e Amico e - almeno indirettamente - su Ogier e Fierabras. Meno studiate sono le riprese della Cronica da parte di scrittori successivi; fra gli altri, sembra averla utilizzata Galvano Fiamma.
Vi è notizia che oltre alla Cronica I. abbia scritto anche un Compendium historiae Aquensis et aliarum civitatum Lombardiae. Uno "Jacobus de Aquis minorita", che potrebbe essere identificato con I. supponendo un errore nell'indicazione dell'ordine religioso, figura infatti come autore di un'opera di tale titolo, o tale contenuto, nel catalogo dei manoscritti appartenuti all'erudito e bibliofilo secentesco Paul Petau pubblicato da Bernard de Montfaucon. Stando alle indicazioni di questo catalogo, non sempre affidabili, l'opera figurerebbe in tre diversi codici (nn. 171, 414, 765); tutti risultano al momento dispersi, non essendo passati, a quanto sembra, nelle principali biblioteche dove confluirono in seguito i manoscritti di Petau (quelle di Leida, Parigi e Ginevra, e soprattutto i fondi Reginense e Ottoboniano della Biblioteca apostolica Vaticana). L'opera è dunque introvabile, e non si può sapere se l'indicazione catalografica si riferisca, come pure sarebbe possibile, a ulteriori copie della stessa Cronica o a un testo effettivamente diverso. Quanto al poema encomiastico sulla città di Acqui di cui I. sarebbe stato l'autore, citato senza ulteriori riferimenti da Avogadro, si tratterà probabilmente di un carme in cinquanta esametri di cattiva qualità che si legge integralmente nella forma più estesa della Cronica, ma di cui si trovano soltanto tre versi nella redazione del codice G.II.34. L'attribuzione a I. del carme, che è stato pubblicato da Massimelli, è messa in discussione dall'ultimo verso, dal quale pare potersi evincere che l'autore si chiama "Iohannes"; questo carme potrebbe avere avuto una circolazione indipendente e aver goduto di una relativa fama, come mostra la citazione che ne fece nel Cinquecento G. Gualla nella sua storia di Pavia. Avogadro non escludeva infine che a I. andassero attribuite anche le altre opere comprese nel codice G.II.34, ossia il romanzo cavalleresco De Blandin de Cornouailles et de Guillot Ardit de Miramar e la già citata Historia orientalis, attribuzioni che appaiono oggi prive di qualsiasi fondamento.
Si può ipotizzare che I. sia morto prima di aver potuto concludere l'opera: la morte potrebbe essere avvenuta nello stesso 1334, come farebbe credere la mancata menzione del successivo papa (Benedetto XII, eletto il 20 dicembre di quell'anno), o poco più tardi; nè si può indicare il luogo, dato che non sappiamo in quale convento risiedesse, probabilmente in territorio soggetto ai marchesi di Monferrato.
Fonti e Bibl.: B. de Montfaucon, Bibliotheca bibliothecarum manuscriptorum nova, I, Parisiis 1739, p. 82a; G.B. Moriondo, Monumenta Aquensia, II, Taurini 1790, pp. 19, 28-36; G. Gualla, Historiae suae patriae sanctuarii Papiae appellatae, Papiae 1587, VI, 2; L.A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, III, Mediolani 1740, coll. 917 s.; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Modena 1775, V, pp. 317 s.; A. D'Ancona, La leggenda di Maometto in Occidente, in Giorn. stor. della letteratura italiana, XIII (1889), pp. 260-269; O. Holder-Egger, Bericht über eine Reise nach Italien im Jahre 1891, in Neues Archiv der Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtskunde, XVII (1892), pp. 496-510; F. Gabotto, Les légendes carolingiennes dans le Chronicon ymaginis mundide frate J. d'A., in Revue des langues romanes, s. 4, VII (1894), pp. 251-267, 355-373; F. Savio, Gli antichi vescovi d'Italia dalle origini al 1330 descritti per regioni. Il Piemonte, Torino 1898, p. 31; M. Vattasso, Nota storico-liturgica, in Miscell. domenicana, Roma 1923, pp. 56-60; D. Bianchi, J. d'A., in Nuovi Studi medievali, I (1923), pp. 138-143; A. De Stefano, La disgrazia di Pier delle Vigne, in Athenaeum, n.s., II (1924), pp. 188-195; A.A. Michieli, Il Milione di Marco Polo e un cronista del 1300, in LaGeografia. Riv. di propaganda geografica, 1924, pp. 153-166; P. Aebischer, Études sur Otinel…, Berne 1960, pp. 115-155; Th. Kaeppeli, Scriptores Ordinis praedicatorum Medii Aevi, II, Roma 1975, p. 298; M. Piccat, Le Gesta Caroli Magni imperatorise le vie di pellegrini attraverso la Lombardia, in Atti del Convegno internazionale Le vie del cielo. Itinerari di pellegrini attraverso la Lombardia… 1996, a cura di G. Manzoni di Chiosca, Milano 1998, pp. 81-89; Rep. font. hist. Medii Aevi, VI, pp. 107 s.