IACOPO (Giacomo) da Campione
Non si conosce la data di nascita di questo architetto, figlio di Zambonino da Campione, attivo a Milano negli ultimi due decenni del XIV secolo.
Il primo documento che lo riguarda è conservato nell'Archivio della Fabbrica del duomo (cui si fa riferimento nel corso del testo, se non altrimenti specificato): si tratta di un elenco di artisti del 1387 nel quale egli compare con la qualifica di "magister a lapidibus vivis" (Annali…, App., p. 32).
La costruzione del duomo era stata già avviata; a partire dal 1388 si era iniziata l'edificazione dei muri perimetrali della zona absidale sotto la guida dell'"ingegnere generale" Simone da Orsenigo. Fu proprio questo l'argomento di una delle prime discussioni che coinvolse i deputati della Fabbrica e l'intero gruppo degli artefici, il 20 marzo 1388, e in occasione della quale I., in accordo con gli altri artisti campionesi, criticò il differente spessore dei due muri perimetrali dell'abside.
Le sue capacità professionali dovettero evidenziarsi rapidamente all'interno del cantiere poiché, a partire dal 1° maggio 1388, I. fu nominato, insieme con Marco da Carona, ingegnere della Fabbrica.
Al marzo del 1390 risale la sua partecipazione, insieme con Nicolas de Bonaventure, uno degli ingegneri d'Oltralpe che nel corso degli anni si avvicendarono nel cantiere, al concorso per il disegno dei finestroni del retrocoro. Fu preferito il lavoro del francese, che tuttavia non fu mai realizzato.
Con l'inizio dell'ultimo decennio del secolo prese avvio nel cantiere una nuova fondamentale fase, che vide come principali responsabili dell'andamento dei lavori, con il titolo di ingegneri generali, I. e Giovannino de' Grassi.
Il momento era importante e caratterizzato da un febbrile intrecciarsi di dispute, suggerimenti e critiche, destinati a stabilire le caratteristiche, le proporzioni e lo sviluppo volumetrico dell'alzato della cattedrale; numerosi esperti furono convocati per consulti al fine di formulare un efficace schema geometrico di progetto. Si realizzarono dei modellini lignei che sintetizzavano le due principali proposte emerse dal dibattito: lo schema "ad triangulum" elaborato dal matematico piacentino Gabriele Stornaloco, che regolava le diverse altezze in funzione della geometria del triangolo equilatero costruito sulla misura della base; e quello "ad quadratum", orientato verso i coevi esempi in terra di Germania e ispiratore nelle sue linee essenziali del primo progetto del duomo, sostenuto da Heinrich Parler di Gmünd. La decisione finale fu presa nel corso dell'assemblea plenaria del 1° maggio 1392, con la definitiva adozione da parte degli ingegneri e dei deputati del nuovo tipo di alzato saliente "ad triangulum", pragmaticamente determinato da un accordo tra lo schema teorico di Stornaloco e il punto in cui era arrivata la costruzione dell'edificio nel 1392 (Romanini, 1964, p. 386).
Negli anni successivi la collaborazione fra I. e Grassi nella conduzione del cantiere fu molto efficace e i lavori procedettero con solerzia. Inoltre, se sembra ormai certo che Grassi fu l'artefice primario per quanto riguarda la modulazione e l'elaborazione plastica di questa architettura, è altrettanto probabile che a I. si debba attribuire la responsabilità della parte specificamente tecnica e costruttiva dei lavori.
Nel giro di pochi anni venne condotta a termine la modellazione dell'intera conclusione orientale cruciforme del duomo, si costruirono le pareti delle navatelle e della navata, con il caratteristico sistema di archi rampanti e contrafforti, e alcune delle volte a crociera archiacuta.
Non va però dimenticata la parallela attività di scultore che I. svolse all'interno del cantiere, soprattutto durante i primi anni, quando meno pressanti erano le responsabilità derivanti dalla direzione della costruzione. La sua firma "Iacobus filius ser Zambonini de Campilione" compare nel tabernacolo posto sull'architrave della porta della sagrestia settentrionale, raffigurante il Cristo giudice racchiuso entro una mandorla fiammeggiante e sostenuto da due schiere di angeli alati, ma studi recenti hanno attribuito alla sua mano l'intero complesso scultoreo.
L'opera presenta un'impaginazione di tipo architettonico, misurata nel rapporto tra geometria e figurazione. Analizzandola nel suo insieme è possibile cogliere alcune differenze tra l'architrave e la lunetta della parte inferiore, probabilmente terminate entro il 1390, e il timpano dalle slanciate guglie della parte superiore, concluso circa cinque anni dopo. È stata dunque ipotizzata un'interruzione tra l'esecuzione delle prime opere che comprende molto probabilmente anche la realizzazione dell'architrave della porta della sagrestia meridionale, la cui cifra stilistica è immediatamente confrontabile con l'analogo elaborato, e il tabernacolo superiore, che evidenzia un maggior contrasto chiaroscurale e un più accentuato rilievo; la decorazione della sovrapporta della sagrestia meridionale fu poi affidata a Hans von Fernach (Cavazzini, p. 73).
Alla fine del 1394 i deputati della Fabbrica, che intendevano verificare il buon andamento dei lavori, incaricarono I. e Grassi di realizzare i disegni delle sezioni della costruzione in corso; una delegazione ufficiale fu poi inviata a Pavia per illustrare gli elaborati a Gian Galeazzo Visconti. Durante l'inverno dell'anno seguente I., forse a causa di una malattia, si ritirò nella sua casa di Campione, ma dopo pochi mesi, nel febbraio del 1396, i deputati reclamarono il suo ritorno a Milano, dove era atteso per partecipare alla scelta tra i modelli dei grandi capitelli dei pilastri maggiori presentati da diversi ingegneri; dopo alcune riunioni la scelta cadde sul modello "ad tabernaculum" elaborato da Grassi.
A partire dal medesimo anno i documenti dimostrano come la presenza di I. nel cantiere diventò meno assidua dal momento che egli cominciò a occuparsi anche del progetto della certosa di Pavia.
I lavori di questo cantiere erano appena cominciati, per volontà di Gian Galeazzo Visconti, ora duca, e sotto l'egida di Bernardo da Venezia, quando numerosi architetti furono invitati a Pavia per consulti sul progetto; tra questi risaltano i nomi dei tre ingegneri del duomo di Milano: Marco da Carona, I. e Grassi, la cui presenza è registrata nelle carte della Fabbrica per un sopralluogo effettuato in agosto e per una settimana di lavoro, nel settembre 1396 (Maiocchi, pp. 18 s.). L'impegno richiesto a I. non si risolse evidentemente in un semplice consulto, poiché dai documenti risulta che, nei successivi mesi, egli effettuò diversi sopralluoghi sul cantiere, soffermandosi ogni volta per diversi giorni. Inoltre, nel novembre dello stesso anno, venne pagato per aver realizzato a Milano dei progetti relativi alla costruzione della certosa che egli stesso mostrò al duca; ulteriori disegni vennero da lui realizzati l'anno seguente insieme con Cristoforo da Conigo, suo collaboratore nel cantiere di Pavia (Beltrami, 1895, p. 24).
Si può dunque affermare che egli ebbe un ruolo importante, al fianco di Bernardo da Venezia, nell'ideazione del progetto architettonico della certosa, anche se, sfortunatamente, a causa della prematura interruzione dei lavori, di quell'originario progetto non rimane altro che la disposizione planimetrica già fissata nelle fondazioni.
Le prolungate assenze da Milano di I. preoccuparono i deputati del duomo che, il 4 marzo del 1397, decisero di rivolgersi direttamente a Gian Galeazzo affinché I. potesse ritornare a svolgere le sue mansioni nel cantiere.
Nella richiesta si afferma che I. aveva partecipato al cantiere milanese fin dal momento della sua fondazione. Inoltre vi si può dedurre l'alto livello di considerazione che la sua professionalità aveva raggiunto presso i deputati, i quali arrivarono ad asserire che in sua assenza la costruzione aveva corso un grave pericolo.
Dopo pochi mesi fu raggiunto un accordo in base al quale egli si impegnava a pagare a sue spese un aiutante esperto, del livello di Grassi, che lo potesse sostituire in caso di ulteriori assenze.
I. morì il 31 ott. 1398, probabilmente a Milano.
Il suo corpo fu trasportato a Campione, dove risiedeva la sua famiglia, a spese della Fabbrica, che in questo modo volle ricordare uno dei suoi più importanti collaboratori; i suoi disegni, ritenuti fondamentali per il cantiere furono raccolti e conservati presso la stessa.
Fonti e Bibl.: Annali della Fabbrica del duomo di Milano, I, Milano 1877, pp. 19, 29, 31 s., 41, 58, 61, 68, 88, 101, 108, 115, 120, 127, 133, 158 s., 162, 173, 175, 177 s., 182, 189, 202; Appendici, I, ibid. 1883, p. 32; G. Mazzatinti, La biblioteca del re d'Aragona di Napoli, Rocca San Casciano 1897 (rec. di E. Percopo), in Rass. critica della letteratura italiana, II (1897), p. 131; G.L. Calvi, Notizie sulla vita e sulle opere dei principali architetti scultori e pittori che fiorirono in Milano durante il governo dei Visconti e degli Sforza, I, Milano 1859, pp. 109-112; G. Merzario, I maestri comacini, I, Milano 1893, pp. 318 s., 325, 332-337, 352 s., 362-371; L. Beltrami, La certosa di Pavia, Milano 1895, pp. 22-25, 29, 54, 41; Id., Storia documentata della certosa di Pavia, Milano 1906, pp. 53-57, 66, 68-72, 183, 188; U. Nebbia, La scultura nel duomo di Milano, Milano 1908, pp. 7, 13, 15-18, 20-26, 39, 44, 254 s.; R. Maiocchi, Codice diplomatico e artistico della città di Pavia dall'anno 1330 all'anno 1550, Pavia 1937, pp. 18 s., 22; A.M. Romanini, L'architettura gotica in Lombardia, I, Milano 1964, pp. 359, 361, 364, 381, 386, 388, 390-392, 401-403, 408, 411, 426, 428, 476, 487; C. Ferrari da Passano - A.M. Romanini - E. Brivio, Il duomo di Milano, Milano 1973, I, pp. 20, 24, 28 s., 163, 168, 170, 176 s., 179 s., 182, 207, 214 s.; E. Cattaneo et al., ibid., II, pp. 69 s., 72, 76, 81, 152; L. Cavazzini, Un collega tedesco di Giovannino de' Grassi e Giacomo da C.: l'attività di Hans von Fernach al cantiere del duomo di Milano e di S. Petronio a Bologna, in Scritti per l'Istituto germanico per la storia dell'arte di Firenze, a cura di C. Acidini Luchinat et al., Firenze 1997, pp. 73-75; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XVIII, pp. 290 s.