IACOPO da Candia
Non si conosce la data di nascita di questo costruttore e ingegnere, figlio di mastro Zanino, attivo a Pavia negli ultimi decenni del Quattrocento. Egli appartenne a quel gruppo di artefici pavesi poco conosciuti, il cui ruolo e la cui importanza sono stati sovente sottovalutati, ma che i documenti segnalano impegnati in città in numerose e importanti imprese edilizie di quegli anni (Peroni, 1978, p. 108).
Al 10 ott. 1469 risale la prima notizia che lo riguarda, relativa a una stima da lui effettuata nella casa dei "conti Gonfalonieri di Candia"; la nota ricorda che egli all'epoca abitava a Pavia, nell'area di porta Marengo e lo descrive come "magister a muro et lignaminis", dunque con la doppia qualifica di muratore e carpentiere (Maiocchi, n. 774). Al settembre dell'anno seguente si data un ulteriore atto che lo vide protagonista di un arbitrato, ma che nulla aggiunge alle informazioni riguardanti la sua attività (ibid., n. 807). Di tutt'altra importanza, per gli sviluppi che potrebbe suggerire, è la sua presenza, in qualità di testimone, in una scrittura redatta il 21 ott. 1482 in casa del notabile Cristoforo Bottigella e riguardante il credito reclamato da quest'ultimo nei confronti di un lapicida, maestro Filiberto de Soldano, all'opera nella costruzione del suo palazzo (ibid., n. 1192).
Il documento sembrerebbe avvalorare l'esistenza di un legame di tipo professionale tra I. e i patrizi Bottigella, responsabili, in quegli stessi anni, della costruzione dei tre palazzi di famiglia, quello di Giovan Francesco e il duplice palazzo di Gian Matteo e Cristoforo. Il problema dell'identificazione degli artefici di quest'ultima architettura è tuttora irrisolto; tuttavia è nota la preferenza che questa famiglia attribuiva agli artisti locali, maggiormente rispettosi della tradizione architettonica e urbanistica medievale pavese in cui le nuove dimore si inserivano. Alla luce di questi dettagli è stata ipotizzata una collaborazione di I. nella prima fase dei lavori del palazzo di Cristoforo Bottigella (Genovese). Di questo elaborato complesso architettonico, che costituiva la residenza dei fratelli Bottigella, resta ormai solo l'imponente torre su corso Cavour. Elemento simbolo dell'intera costruzione, sulla base dei legami già descritti, la torre Bottigella viene tradizionalmente attribuita dalla critica all'opera di Iacopo.
Al nono decennio del secolo risale pure la realizzazione della residenza suburbana di Caselle Lomellina del protonotario apostolico Francesco Eustachi; la presenza di I. nel cantiere è provata dal testamento del committente dell'opera, che ricordava di essere debitore nei confronti del costruttore "pro operibus factis" a Caselle. Della costruzione quattrocentesca oggi resta un isolato corpo di fabbrica, e ciò rende impossibile tentare qualsiasi ricostruzione della planimetria originale del complesso (Peroni, 1978, pp. 218 s.).
La trascrizione di due epigrafi, un tempo collocate sulle volte della chiesa di S. Pietro in Ciel d'oro a Pavia, ricorda che I., con la collaborazione dei suoi fratelli, fu responsabile nel 1487 dei lavori di restauro realizzati sulla copertura dell'edificio (Maiocchi, n. 1314); tali lavori riguardarono principalmente la costruzione della struttura, voltata a crociera e distinta da sottili nervature a sezione poligonale, tuttora in opera sulla navata centrale.
Al momento non è nota ulteriore documentazione che possa fornire maggiori dettagli sull'intervento, sebbene l'analisi del paramento murario del sottotetto sembrerebbe suggerire l'esistenza di una precedente copertura a capriate; si sarebbe dunque trattato, più che di un rifacimento, di un vero e proprio intervento progettuale di ispirazione tardogotica lombarda che, oltre a dimostrare l'abilità architettonica di I., fornisce alcune indicazioni sulla cultura per la quale all'epoca si riteneva lecito intervenire per integrazioni e restauri su una costruzione romanica (Peroni, 1967, p. 40).
Nell'estate del 1488 I. partecipò, in qualità di capomastro, con gli architetti Donato Bramante, Giovanni Antonio Amadeo e Cristoforo Rocchi, alla redazione del secondo progetto del duomo di Pavia, voluto dal cardinale Ascanio Sforza nonostante l'opposizione dei fabbricieri locali. Il suo ruolo di tecnico ed esecutore in un'opera così importante e tra artisti di notevole livello è rivelatore delle sue indubbie capacità e del prestigio che certamente godeva nella propria città (Maiocchi, n. 1372); per quanto attiene al suo apporto nella costruzione, impossibile da determinare, va ricordato che in questi cantieri, eredi della tradizione tardogotica lombarda, i capimastri spesso rimanevano i principali responsabili della realizzazione dell'opera dopo la partenza del progettista.
Agli stessi anni risalgono i lavori di restauro della copertura della chiesa di S. Michele Maggiore a Pavia, di cui fu responsabile insieme con il figlio Agostino.
La chiesa si trovava all'epoca in precarie condizioni statiche, la copertura era ormai fatiscente e pericolose lesioni minacciavano la sopravvivenza dell'intero edificio. La gravità della situazione rese necessario un radicale intervento di rifacimento che interessò in particolare le grandi volte della navata maggiore, completamente rimosse e ricostruite, e parzialmente anche quelle delle navate laterali (Peroni, 1967, p. 39).
Si ignora la data precisa della sua morte, avvenuta sicuramente tra la fine del 1488 e l'estate dell'anno successivo, poiché in alcuni documenti, risalenti all'autunno del 1489 e relativi al cantiere del S. Michele, mastro Agostino da Candia ricevette dai committenti dei pagamenti anche a nome del defunto padre e si impegnò a proseguire i lavori secondo quanto precedentemente stabilito da quest'ultimo (Maiocchi, nn. 1436, 1442, 1459).
Fonti e Bibl.: G.T. Rivoira, Le origini dell'architettura lombarda, II, Roma 1907, p. 200; R. Maiocchi, Codice diplomatico artistico della città di Pavia dall'anno 1330 all'anno 1550, I, Pavia 1937, nn. 774, 807, 1192, 1314, 1352, 1372, 1436, 1442, 1459; E. Arslan, Toscani e lombardi prima di Bramante, in Storia di Milano, VII, Milano 1956, pp. 661 s.; F. Fagnani, I palazzi Bottigella di Pavia, Pavia s.d. (ma 1964 circa), p. 29; A. Peroni, S. Michele di Pavia, Milano 1967, pp. 40 s., 43; A. Cadei, Nota sul Bramante e l'Amadeo architetti del duomo di Pavia, in Boll. della Società pavese di storia patria, n.s., XXII-XXIII (1972-73), p. 40; A. Peroni et al., Pavia, architetture dell'età sforzesca, Torino 1978, pp. 53 s., 84, 106-108, 116, 121, 131, 218 s., 224; M.D. Genovese, Le facciate dipinte rinascimentali pavesi, in Annali di storia pavese, 1987, nn. 14-15, p. 77; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XVIII, pp. 273 s.