IACOPO da Cortona
Non si conosce la data di nascita di questo architetto di origine toscana, attivo a Milano intorno alla metà del XV secolo.
Il suo nome è essenzialmente legato a una delle principali imprese architettoniche avviate in quel periodo nel capoluogo lombardo: la ricostruzione del castello visconteo di Porta Giovia voluta dal duca Francesco Sforza; tale legame è stato ampiamente dimostrato dalla cospicua documentazione riguardante le fasi del cantiere, raccolta e pubblicata alla fine del secolo XIX (Casati e soprattutto Beltrami, cui si fa d'ora in avanti riferimento).
La prima notizia che riguarda I. risale al 1451 quando, impegnato in lavori di fortificazione nel borgo di Cassano, venne chiamato da Francesco Sforza a Milano per sostituire lo scomparso Giovanni da Milano e attendere, in qualità di ingegnere ducale, ai lavori di rifacimento del castello visconteo.
Il progetto era stato avviato, per volere del duca, l'anno precedente, subito dopo il suo insediamento in città ed era seguito da un collegio di ingegneri militari: Marcoleone da Nogarolo, Filippo Scozioli da Ancona e Giovanni da Milano, quest'ultimo con mansioni direttive. Si ignora in che condizioni fossero le rovine della fortezza al momento della loro ricostruzione; ma è documentato che la prima fase dei lavori interessò la ricostruzione delle mura e delle torri del cosiddetto quadrato sforzesco.
Il primo incarico di I. nella fabbrica riguardò la ricostruzione del fronte meridionale del castello, quello rivolto verso la città, concepito come una massiccia cortina muraria racchiusa tra due torri angolari, al centro della quale doveva aprirsi la porta di accesso e la soprastante torre di difesa dello stesso (crollata nel 1521 e ricostruita da Beltrami alla fine dell'Ottocento). Per realizzare l'apparato decorativo di questi elementi architettonici fu convocato il Filarete, Antonio Averlino, il cui arrivo nel cantiere non tardò a provocare malumori e ostilità da parte degli ingegneri, e in particolare di I. che mal tollerava i suoi metodi lavorativi.
Oltre a evidenziare il rapporto di contrasto con il Filarete - I. criticò con il duca la volontà di quest'ultimo di arricchire, a suo parere in eccesso, la struttura per mezzo di decorazioni, con dispendio di tempo e denaro - la lettura del carteggio esistente tra I. e Francesco Sforza palesa come le sue mansioni non si esaurissero con le competenze puramente architettoniche, ma si estendessero anche all'ambito organizzativo ed economico del cantiere, del cui buon andamento rispondeva direttamente al duca stesso.
Nel 1453 si occupò principalmente del completamento della cortina muraria del lato sudoccidentale del quadrato sforzesco, ovvero del prolungamento delle mura della Rocchetta verso porta Vercellina; nel mese di settembre i lavori su questo fronte erano quasi ultimati, fatta eccezione per la porta che consentiva l'accesso alla piazza d'arme di cui si attendeva una fornitura di sarizzo per completarne il rivestimento. Più a rilento procedevano i lavori sul fronte opposto, quello verso porta Comasina, che I. contava di completare per la fine dell'anno.
Per quanto riguarda invece la torre d'ingresso, dopo una lunga attesa, i lavori furono ripresi in autunno; ed è probabile che il Filarete, i cui continui dissapori con il resto delle maestranze non erano affatto diminuiti, avesse abbandonato i lavori prima della fine dell'anno. Dopo la sua partenza il duca, scontento dell'andamento dei lavori, decise di nominare un commissario generale delle fortificazioni e delle residenze ducali, il cui ruolo fosse quello di supervisore del cantiere, e affidò l'incarico a Bartolomeo Gadio da Cremona; questa nomina comunque non inficiò il ruolo svolto da I. e da Scozioli, che mantennero inalterate le loro mansioni. Il cantiere procedette con lentezza negli anni successivi e la presenza di I. nei documenti diventa meno frequente; tuttavia è certo che egli mantenne, probabilmente fino alla sua scomparsa, la carica di ingegnere della fabbrica, mansione cui si aggiunse, prima del 1459, quella di commissario del castello, responsabile delle carceri e dei prigionieri che già vi si custodivano.
Di I. non si conosce la data della morte, avvenuta probabilmente a Milano prima del 1461, in base a quanto riferito dai suoi figli naturali in una lettera inviata a Francesco Sforza (Mancini).
Fonti e Bibl.: G.L. Calvi, Notizie sulla vita e sulle opere dei principali architetti scultori e pittori che fiorirono in Milano durante il governo dei Visconti e degli Sforza, Milano 1865, p. 48; C. Casati, Vicende edilizie del castello di Milano, Milano 1876, pp. 15, 17 s., 72-81, 85; L. Beltrami, Il castello di Milano sotto il dominio degli Sforza, Milano 1885, pp. 47-55, 58-63, 68-70, 76, 78, 81 s., 90 s.; F. Calvi, Il castello di Porta Giovia e sue vicende nella storia di Milano, in Arch. stor. lombardo, XIII (1886), p. 239; G. Mancini, I Cortonesi e la cultura italiana, in Arch. stor. italiano, LXXIX (1921), p. 47; E. Arslan, Toscani e lombardi prima di Bramante, in Storia di Milano, VII, Milano 1956, p. 622; F. Reggiori, L'architettura militare a Milano e nel territorio durante l'Età medievale e rinascimentale, ibid., VIII, ibid. 1957, p. 800.