Iacopo da Sant'Andrea
Padovano, figlio di Odorico da Monselice, forse della famiglia dei Fontana, e di Speronella Delesmanini, già moglie di Ezzelino III.
Il nome gli deriverebbe da quello della sua villa o podere di Sant'Andrea da Codiverno, nelle vicinanze di Padova. Rimasto erede (1199) di un'enorme fortuna, la dissipò in poco tempo. Donò alcuni beni al monastero di S. Ilario (1220), ma fu forse un risarcimento dei danni provocati dai suoi soprusi a quel monastero, alla cui difesa si erano già obbligati a intervenire il doge di Venezia e i Padovani nel 1216. Appare come testimonio (1237) in un diploma dell'imperatore Federico II, rilasciato ai signori da Carrara. Il cronista padovano Rolandino lo ricorda nel 1239 al seguito del marchese d'Este.
Si dice fosse fatto uccidere da Ezzelino IV, ma, secondo le Chiose Anonime edite dal Selmi, sarebbe invece morto in miseria nell'ospedale di Ferrara. Gli antichi commentatori raccontano di lui pazze prodigalità: l'aver bruciato una sua villa per vedere un grande incendio; l'aver trascorso il tempo, durante una gita sul Brenta, a gettare monete nell'acqua, e altre cose del genere.
D. l'incontra tra gli scialacquatori nella selva dei suicidi (If XIII 115-135). Inseguito insieme con Lano (v.) dalle cagne fameliche, scorgendo il compagno che correndo più veloce sembra sfuggire all'inseguimento, gli rivolge parole che, sotto lo scherno, rivelano un senso d'invidia. Mancatagli la lena, si getta in un cespuglio, dove le cagne, sopraggiungendo, lo addentano e lo lacerano portandoselo poi via, mentre l'anima incarcerata nel cespuglio si duole del suo inutile gesto.
Bibl. - G. Gennari, Intorno a Giacomo da Sant'A.-Memoria, Padova 1831; E. Salvagnini, in D. e Padova, ibid. 1865, 29 ss.; N. Barozzi, in D. e il suo secolo, Firenze 1865, 796-797; R. Cessi, in " Bull. Museo civico di Padova " XI (1908) 49 ss.