DEL CONTE, Iacopo (Iacopino)
Fiorentino, nacque intorno al 1515 se nel 1598 al momento della morte, aveva 83 anni come risulta dal Liber mortuorum di S. Maria in Via Lata, e dal Necrologio romano. Manca qualsiasi documentazione per dipinti eseguiti a Firenze, dove il Vasari (1568, V) ne riferisce l'apprendistato presso Andrea del Sarto.
In questa fase e nella primissima attività romana precedente le più impegnative conimissioni per l'oratorio di S. Giovanni decollato, il D. dimostra, accanto al bagaglio stilistico sartesco, un'acuta attenzione per quei componenti della cultura fiorentina del primo quarto del secolo che esulano dal composto classicismo del maestro e che trovano una sicura fonte di ispirazione sia nello sperimentalismo di Michelangelo, del Pontormo e del Rosso, sia nell'eclettismo di Baccio Bandinelli, sia, infine, nell'attitudine ritrattistica di Ridolfo del Ghirlandaio.
Dipinti ancora del tutto gravitanti nell'orbita sartesca e pertanto di assai incerta valutazione sono la Madonna col Bambino e s. Giovannino nella coll. Kress a Coral Gables (Florida), la S. Caterina d'Alessandria già a Città del Capo (Zeri, 1978, p. 114), la Madonna degli Innocenti nel Museo dell'Ospedale degli Innocenti a Firenze (Shearman, 1965, I, p. 170, n. 4; Cheney, 1970, p. 33; Zeri, 1978, p. 114) e la Madonna col Bambino e s. Giovannino della Gemäldegalerie di Berlino Ovest (Zeri, 1978, pp. 115 s.). Opere che, rispetto ad altre pure riferite al D. negli anni intorno al 1530, sembrano meglio saldarsi ad un gruppo di dipinti che presenta caratteristiche individuali più definite e che delinea il progressivo emanciparsi del pittore dalla bottega del maestro: la Madonna col Bambino e s. Giovannino nei depositi degli Uffizi (Zeri, 1948, p. 182; Cheney, 1970, p. 33; L. Bertani Bigalli, in Gli Uffizi. Catal. generale, Firenze 1979., p. 318); la Sacra Famiglia al Fitzwilliam Museum di Cambridge (Shearman, 1965., p. 170, n. 4; Cheney, 1970, p. 34); la Sacra Famiglia al Metropolitan Museum di New York (Cheney, 1970, p. 35; Zeri, 1978, p. 114); la Pala dei palafrenieri, dipinto a Roma in collaborazione con Leonardo da Pistoia, inserita nel catalogo dell'artista dal Baglione (1642, p. 75) e riconosciuta dallo Zeri (1951, p. 141) nella Madonna col Bambino, s. Anna, s. Pietro e s. Paolo nella cappella della sagrestia dei canonici di S. Pietro in Vaticano; la Madonna col Bambino, s. Elisabetta e s. Giovannino, già nella coll. Contini Bonacossi di Firenze, convincentemente accostata (Zeri, 1948, p. 181) all'affresco dello Annuncio a Zaccaria nell'oratorio di S. Giovanni Decollato a Roma, per l'evidente impiego di uno stesso cartone in entrambe le opere.
La prima opera romana interamente e sicuramente sua è appunto il riquadro ad affresco con l'Annuncio a Zaccaria nell'oratorio di S. Giovanni decollato (Vasari, 1568, VII, p. 16); eseguito dopo il 1536, anno in cui l'edificio era ancora in costruzione (Keller, 1976, p. 59).
Il dipinto manifesta una cultura di persistente stampo fiorentino appena ravvivata da suggestioni evocate dalla volta della Sistina e dai cartoni di Raffaello per gli arazzi vaticani.
Discordi sono tuttavia i pareri circa la data precisa dell'arrivo a Roma del D.: Zeri (1948, p. 181) lo colloca posteriormente al 1536, opinione confutata dalla Cheney (1970, p. 34), che lo anticipa al 1534-35, mentre il Weisz (1984, pp. 16 s.) ritiene l'affresco romano del 1530-37.
La prima data romana sicura è il 1538 come risulta dal cartiglio al di sopra della finta cornice che delimita il riquadro della Predica del Battista (Vasari, 1568, VII, p. 31) nel medesimo oratorio. Nell'opera è stato riconosciuto, con varie motivazioni (vedi specialmente Zeri, 1951, p. 140; e 1978, pp. 116, 118; Cheney, 1970, pp. 34 s.; Keller, 1976, p. 59; Weisz, 1984, pp. 35-38), un nuovo senso ornamentale alimentato ed affiancato da un sempre più vivo studio dell'antichità classica e della contemporanea pittura fiorentina e romana.
Di estrema importanza per la definizione di questo momento dell'attività del pittore deve ritenersi il rapporto ancora non del tutto chiarito con Pietro Buonaccorsi (Perin del Vaga). A questo va assegnato lo schizzo preparatorio per la Predica (Vienna, Albertina, n. 23.751: I. A. Gere, in The Burlington Magazine, XCIX [1957], p. 161; M. Hirst, ibid., CVIII [1966], p. 402; B. F. Davidson, Mostra dei disegni di Perino... (catal.), Firenze 1966, pp. 39 s., cat. 35; Keller, 1976, p. 67; Weisz, 1984, pp. 17 s., 35-38), nonostante sia stato anche riattribuito al D. (Bruno, 1971, p. 62; che riprende l'ipotesi di A. E. Popp, in Old Master Drawings, II [1927], pp. 7 s.; e di A. Stix e L. Frölich Bum, Die Zeichnungen der toskanischen..., und römischen Schulen, Wien 1932, pp. 31 s.).
Motivi perineschi appaiono comunque con evidenza nello stesso affresco della Predica, come stanno a dimostrare le figure di scribi desunte dagli evangelisti Matteo e Luca dipinti da Perino e Daniele da Volterra nella cappella del Crocefisso in S. Marcello, parrocchia alla quale, val la pena di ricordare, il D. apparteneva fin dal 1538 (Arch. dell'Accad. di S. Luca, Registro degli introiti, II, c. 12v).
Al S. Matteo si ispira anche una delle figure centrali dei progetto - sempre per l'oratorio di S. Giovanni decollato - per la Nascita del Battista, noto attraverso un'incisione di G. Bonasone: progetto verosimilmente presentato dal D. (cui venne per la prima volta riferito da Voss, 1920, p. 144; vedi anche Keller, 1976, pp. 80 s., con bibl.; Cirillo, 1978; Weisz, 1984, pp. 32 s.) verso il 1538-39 in gara col Salviati, al quale fu però assegnata l'esecuzione, intrapresa soltanto nel '51.
Nello stesso oratorio spetta al D. anche il quadro ad affresco con il Battesimo di Cristo (Vasari, 1568, VII, p. 31).
Datato 1541 (cartiglio al di sopra della finta cornice), esso presenta un coerente approfondimento rispetto alla direzione indicata dalla Predica, nel senso tuttavia di una più marcata monumentalità, sostenuta dalle frequenti citazioni michelangiolesche e ammorbidita dal sottile gioco ornamentale di desunzione Perino-Salviati (vedi specialmente Keller, 1976, pp. 80 ss. e Weisz, 1984, pp. 39-41). A Perin del Vaga può nuovamente esserne ricondotto il progetto, forse tramandato da un'incisione di F. Rosaspina (Weisz, 1984, p. 39). Nel dipinto è comunque evidente l'impronta perinesca sia nel tentativo di conciliare componenti raffaellesche e michelangiolesche sia soprattutto nella quasi totale ripresa dal cartone per la testa di Dio Padre nella Nascita di Eva della citata cappella del Crocefisso in S. Marcello, adattato in controparte per quella di Cristo nel Battesimo.
Il 1547, oltre a registrare un viaggio del D. a Firenze (Gotti, 1875, I, p. 309; Weisz, 1984, p. 66), è l'anno della morte di Perin del Vaga, in conseguenza della quale al D. venne assegnata parte della decorazione della cappella di S. Dionigi in S. Luigi dei Francesi (Vasari, 1568, VII, p. 576), condotta verosimilmente entro il 1548 in collaborazione con Girolamo Siciolante da Sermoneta e Pellegrino Tibaldi (Gnoli, 1935: documenti, ma incompleti, di allogazione).
Al D. spetta sicuramente il quadro d'altare raffigurante il Battesimo dei Franchi, indicato dallo Zeri come la chiave di volta di un supposto processo involutivo da parte del pittore, che a partire da questa occasione avrebbe rinunciato a qualsiasi ricerca formale, in favore di un gretto conformismo religioso al quale avrebbe contribuito, secondo lo studioso, la frequentazione di Ignazio di Loyola (Zeri, 1951, pp. 143 ss.; 1957, pp. 42 ss., 90 s.). Nell'opera, però, si ravvisa ancora una certa continuità rispetto al passato, nei riguardi soprattutto del progetto per la Nascita del Battista. L'ambiguità del passo vasariano relativo a questa cappella, pur non permettendo una precisa definizione del contributo in essa del D., limitato secondo i più alla sola pala d'altare, consente tuttavia di riconoscergli un intervento almeno nella parte figurata dell'affresco con una Scena di battaglia sulla parete destra (intervento d'altronde già ipotizzato: Voss, 1920, p. 144; Zeri, 1951, p. 144; Hunter, 1983., p. 43, n. 89): lo suggerisce la profonda affinità tra le due figure di Clodoveo, presenti in entrambe le opere.
Nel 1551 fu commissionata a Daniele da Volterra la pala d'altare per l'oratorio di S. Giovanni Decollato; va quindi ritenuta non anteriore a tale data la Deposizione dalla Croce (Weisz, 1981) eseguita dal D. in sostituzione del Ricciarelli, non sappiamo su progetto di quale dei due pittori. Dubbia è infatti la paternità del disegno (Louvre, coll. Mariette, inv. 1494) dall'analoga, ma non identica, composizione: un tempo considerato di Daniele da Volterra, assegnato poi al D. (Panofsky, 1927), successivamente ritenuto una derivazione non autografa o da una prima idea di quest'ultimo o dal quadro stesso (Inventaire général des dessins italiens. I, C. Monbeig Goguel., Vasari et son temps..., Paris 1972, p. 463 cat. 23; R. Bacou, Igrandi disegni della coll. Mariette al Louvre di Parigi, Milano s. d. [1980 ca.], p. 25), è stato infine nuovamente ricondotto, benché dubitativamente, al Ricciarelli (Weisz, 1981, p. 356; 1984, pp. 65-67).
Nella Deposizione, l'ultima e la più celebrata della lunga serie di opere eseguite dal D. per l'oratorio (Vasari, 1568, VII, pp. 31, 576; Baglione, 1642, p. 75), si scorgono numerosi sintomi innovativi, come le desunzioni dal tardo Michelangelo e dal Pontormo, che, sebbene tradotte in un linguaggio ancora carico di cadenze ornamentali, denunciano in definitiva una chiara urgenza espressiva.
La Maddalena nella sacrestia di S. Giovanni in Laterano, datata al 1560-70 dallo Zeri (1957, p. 44, n. 1), ma forse di non molto posteriore alla Deposizione per gli ancora costanti riferimenti alle più estetizzanti manifestazioni della "maniera", è indicativa della fase di incertezza attraversata dal D. dopo la metà del secolo. Un superamento di essa, ma in una direzione nuova e sconcertante, è rappresentato dalla Pietà alla Galleria nazionale d'arte antica di palazzo Barberini a Roma (I. Faldi, in Attività della Soprintendenza..., Roma 1967, p. 22, cat. 18) riconosciuta dallo Zeri (1948, pp. 182, 183, n. 9; 1951, p. 141; 1957, p. 43) - che la giudicava frutto di una "aridissima elucubrazione" - per quella segnalata dal Vasari (1568, VII, p. 576) e da altre fonti in S. Maria del Popolo.
Databile anteriormente al 1568, in ragione della menzione vasariana, l'opera riprende certamente il motivo del gruppo, ora nel duomo fiorentino, scolpito da Michelangelo verso il 1550-55 a Roma (Freedberg, 1975, p. 486), mentre l'inquietante evidenza conferita al corpo di Cristo e le dissonanze coloristiche rinviano al Cristo morto sorretto dagli angeli (Boston, Museum of Fine Arts) dipinto dal Rosso durante il suo soggiorno romano; né vanno escluse tangenze col descrittivismo esasperato di un Marten Van Heemskerk (Strinati, 1984).
Una profonda lacuna separa la Pietà Barberini dalle due sole rimanenti testimonianze a soggetto religioso assegnate al D. (Baglione, 1642, p. 75; Zeri, 1948 p. 182; 1957, p. 91), tuttora conservate: la Pietà e il S. Francesco stigmatizzato nel monastero del Corpus Christi ora alla Garbatella (Roma).
Collocata cronologicamente intorno al 1590 (Strinati, 1982, didascalia all'ill. 16 a p. 51), la coppia di quadri deve comunque essere posteriore al 1580, quando risulta terminata la fabbrica della distrutta chiesa di S. Chiara al Quirinale, dalla quale proviene. Entrambe le opere denunciano l'approdo delle ricerche del pittore, volte ad un accordo fra arte e pietà religiosa. Tale accordo sembra trovare soluzione, in questa fase estrema, nel ricorso a un luminismo veneto di derivazione muzianesca, una componente capace di conferire al linguaggio pittorico del D. un tono di pacata spiritualità.
Un capitolo parallelo nell'opera del pittore è rappresentato dall'attività di ritrattista, certamente vasta, benchè di ardua definizione. Celebrato in tal senso dal Vasari (1568, VII, p. 577) e dal Baglione (1642, p. 76), il D." mostra una spiccata attitudine nella resa precisa dei tratti fisionomici anche in opere che esulano dal genere dei veri e propri ritratti. A questa specifica produzione, che sembra aver caratterizzato specialmente la tarda attività del pittore, egli si dovette dedicare già in età giovanile, come dimostrano il Ritratto di Michelangelo, riferibile al 1535 c., ora al Metropolitan Museum di New York (Zeri, 1978, p. mq, con bibl. prec.), e quello di un Notaio pontificio, al Fitzwilliam Museum di Cambridge, che può essere assegnato allo stesso lasso di tempo; datato 1542 è il Ritratto di Antonio da Sangallo il Giovane (Roma, Camera dei deputati), al quale sono stati affiancati i due di Roberto di Filippo Strozzi, rispettivamente in Palazzo Vecchio a Firenze e già a Berlino, coll. Schaeffer (Cheney, 1970, pp. 39 s.).
Meno persuasive alcune più recenti attribuzioni (Zeri, 1978, pp. 118 ss.) al D. di una serie di ritratti che andrebbero a colmare le profonde lacune di conoscenza in questo settore. Il D. appare comunque responsabile del preciso modulo ritrattistico, caratteristico a Roma nell'età della Controriforma, che verrà poi adottato, non senza personali modifiche, dal suo presunto allievo Scipione Pulzone. Tale modulo può essere illustrato sia dal Ritratto di Paolo III e Ottavio Farnese, già nella coll. A. Barsanti di Roma (Zeri, 1957, p. 19), sia dal Ritratto virile nella Galleria Spada di Roma, databile intorno al 1560 (Zeri, 1954), sia dal Ritratto di s. Ignazio conservato a Roma, presso il preposito generale della Compagnia di Gesù, opera "di mano di Iacopin del Conte, ..., ricavata dal morto, ma corretta secondo l'effigie, che ne aveva in mente il medesimo dipintore..." (I). Bartoli, Della vita... di S. Ignatio..., Roma 1650, p. 580).
Molto apprezzato come uomo e come pittore nel corso della sua vita, fu membro dell'Accademia di S. Luca fin dal 1538 e non dal 1535 come riportato da M. Missirini, Memorie... della Rom. Accad. ..., Roma 1823, pp. 13 s.) - all'interno della quale ricopri più volte la carica di console (F. Tommasetti in Atti dell'Accademia nazionale di S. Luca, II [1953-56], pp. 11 s.) -, della Confraternita dei virtuosi al Pantheon (J. A. F. Orbaan, in Repert. f. Kunstwiss., XXXVII [1915], pp. 23, 26 s., 32; H. Waga, in L'Urbe, XXXI [1968], 6, pp. 27 s.) e della Confraternita del Ss. Crocefisso in S. Marcello, dall'archivio della quale proviene un suo testamento certo non definitivo, perché alquanto precedente la morte, dal quale si ricavano notizie sulla sua famiglia (sono nominati come viventi quattro figlie legittime e un figlio naturale) e sulle sue sostanze.
Morì a Roma il 10 genn. 1598.
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