DEL POLTA, Iacopo
Nacque a Firenze nel 1473 e acquistò fama nel mondo letterario fiorentino del primo trentennio del Cinquecento con lo pseudonimo di Bientina tratto dal borgo originario della sua famiglia.
Le prime notizie sui Del Polta a Firenze risalgono al 1435 e si riferiscono al mestiere del nonno, lacopo anch'esso, che fu venditore di vino nel quartiere di S. Croce. Grazie a tale fruttuosa attività, continuata dal padre del D., Niccolò, la famiglia condusse una vita abbastanza agiata, come si può giudicare dai beni dichiarati nel Catasto del 1480: una taverna gestita in società, una bottega presa in affitto, una casa di proprietà. In questo documento viene menzionato "Iacopo di Nicholò d'anni 7".
Della gioventù del D. poco o nulla è noto: di certo egli fu savonaroliano e forse non senza qualche responsabilità all'interno del movimento: infatti la sera dell'8 apr. 1498 fu scelto con pochi altri per restare a difendere il convento di S. Marco dove si rifugiò il Savonarola poco prima della cattura. Così lo ricordano alcuni suoi compagni interrogati durante il processo istituito dalla Repubblica contro i savonaroliani. Il fatto che egli non sia nel novero degli inquisiti induce a credere che si fosse allontanato dalla città per sfuggire all'ondata repressiva antipiagnona.
Tornato a Firenze, depose ben presto ogni velleità di pubblico schieramento dedicandosi al mestiere di cerusico e alla composizione di frottole, farse e canti carnacialeschi. Pochi versi giocosi di uno dei Petrei (forse Alessandro?) in un manoscritto magliabechiano lo ricordano per la sua professione: "El capo mi martella / Gorgoglia il corpo et le Reni fanno centina / O pure spero in Dio et poi nel Bientina" . V'è inoltre un notevole ricordo vasariano che, nella ‛vita' di Giovan Francesco Rustici, lo indica, attorno al 1512, quale appartenente alla Compagnia della cazzuola, la prestigiosa congrega di artisti e gentiluomini che organizzò a Firenze le prime rappresentazioni di commedie rinascimentali. Nella pagina vasariana il D. è ricordato soprattutto per le sue qualità di interprete e dicitore estemporaneo: doti che nella tradizione drammatica popolaresca si accompagnavano assai spesso a quelle di autore, ribadendo la tipica vocazione pragmatica del nostro teatro più antico.
Nel 1527 il D. divenne araldo della Repubblica succedendo al Dell'Ottonaio e al Manfidi. Egli restò in carica per dodici anni nonostante l'ulteriore sovvertimento di regime nel 1530. Forse grazie alla sua precedente consuetudine con la corte medicea, per il tramite della Compagnia della cazzuola, il duca non volle privarlo in vecchiaia della sua carica: ne ridimensionò tuttavia le mansioni.
Destituito delle sue funzioni politiche piùsignificative, al D. non restò altro che adempiere i suoi compiti, peraltro prestigiosi, di rappresentanza. Infatti il D., nel 1536, si trovò a fianco di Alessandro de' Medici per ricevere in città l'imperatore Carlo V. Fu il nuovo duca Cosimo ad abolire definitivamente la carica d'araldo, quale inutile sopravvivenza istituzionale del regime repubblicano; ciò avvenne in coincidenza con la morte del D. nel 1539.
È certo tuttavia che più della fittizia dignità ufficiale, fu il suo straordinario genio buffonesco a procurargli la fama nei circoli letterati cittadini: è così che il Lasca ([A.F. Grazzini] Tutti i trionfi.. canti carnacialeschi..., Fiorenza 1558 [st. fiorent]) lo ricorda nei suoi versi in morte del padre Stradino: "Ma lo spirito angelico e divino / Del Gran Padre Stradino / Si vive in cielo e col buon Carafulla / Col Bientina ride ora e si trastulla". Ne sono, d'altro canto, ulteriore e variata testimonianza le sue composizioni, alla data delle quali si può risalire solo per via di congettura.
Si conservano manoscritti alla Biblioteca nazionale di Firenze una sua frottola: "I'vo'farmi uno stecco", ed un capitolo drammatico in terza rima, l'Inganno, di tenore moral-satirico probabilmente risalente agli anni savonaroliani. Eco della predicazione del frate è racchiusa infatti nell'intervento ammonitorio di s. Francesco che nell'operetta compare quale arbitro del conflitto (che realmente vi fu) tra i suoi frati e la Pia Congregazione fiesolana di S. Cicilia. La breve composizione si conclude con l'invito del santo a superare i contrasti dettati dall'interesse e ad amarsi l'un l'altro cristianamente.
Vi sono inoltre i suoi carnacialeschi raccolti e pubblicati nella cit. edizione del Lasca del 1559. Di essi il Ghisi ha rilevato il tipico andamento a frottola che certo fu componente fondamentale dello stile del D., poiché è anche ravvisabile nell'Inganno e nell'altra sua composizione drammatica, tramandata a stampa, intitolata Fortuna. Qui il tradizionale dibattito tra i personaggi allegorici si anima verso la fine cedendo luogo al contrasto farsesco tra due vecchi, Bertoldo e Santi, che prelude il linguaggio e lo stile della commedia.
La Fortuna possiede un discreto seguito editoriale che la distingue dalle farse del suo tempo. Se ne conoscono varie edizioni tutte fiorentine. La prima, e più antica, è senza indicazione dello stampatore e dell'anno, ma è da collocare entro il primo ventennio del secolo. La seconda, del '25, la terza, del '32, e le ultime del 1573, del 1588 e del 1616, testimoniano il non sopito interesse della più tarda cultura fiorentina per il proprio teatro comico delle origini.
Già Vincenzo Borghini, attorno alla metà del sec. XVI, ricordava le farse del D. nelle sue annotazioni sulla patria storia letteraria. Di esse pose in rilievo l'importante significato di trapasso dalla antica e incondita esperienza della recitazione di piazza verso la moderna e letteraria produzione della commedia.
Sarà infine da ricordare che il D'Ancona propose il significato dell'anonima Farsa recitata agli excelsi Signori di Firenze alla mano del Del Polta. Tale attribuzione, fondata sulle sole osservazioni critico-testuali, venne più tardi ribadita dal Croce, che gli attribuì anche una Frottola di Carnasciale.
Opere: I' vo' farmi uno stecco, Firenze, Bibl. naz., cod. Magliab. VII. 376, c. 56r edita in Poesie italiane inedite di dugento autori, raccolte e illustrate da F. Trucchi, Prato 1847, III, pp. 53-59; Inganno, Fortuna e Farsa dell'uomo che si vuole quietare e vivere senza pensieri, ora in M. Cataudella, Le farse morali fiorentine, Salerno 1984. I canti carnascialeschi sono ora in Trionfi e canti carnascialeschi toscani del Rinascimento, acura di R. Bruscagli, Roma 1986, 1, pp. 220-30.
Fonti e Bibl.: Sul mestiere di vinattiere del nonno e del padre: Firenze, Bibl. naz., cod. Magliab. XXV. 402, c. 179r e XXVI. 145, c. 208r. Sulle proprietà dei Del Polta: Arch. di Stato di Firenze, Catasto 1480, Quartiere di S. Croce, Gonf. Bue, c. 378r; Ibid., Decima repubblicana 1498, c. 22r e Decima granducale 1534, c. 421r. Versi manoscritti di A. Petrei sul D. cerusico: Firenze, Bibl. naz., cod. Magliab. VII. 1097, c. 32r; Ibid., Fondo Naz. II.X.116, c. 44 (nota di V. Borghini); G. Vasari, Vita de' più eccellenti pittori, scultori, architetti, a cura di L. e C. Ragghianti-G. Innamorati Milano 1978, IV, pp. 137-44; A. F. Grazzini, Rime burlesche edite e inedite, a cura di C. Verzone, Firenze 1882, p. 150; G. M. Mazzucchelli, Gli scrittori d'Italia, Brescia 1760, II, p. 1211; A. D'Ancona, Due farse del XVI secolo riprodotte sulle antiche stampe, Bologna 1882; Id., Origini del teatro ital., Torino 1891, I, p. 409; II, pp. 37, 150; F. Flamini, La lirica toscana del Rinascimento anteriore ai tempi del Magnifico, Pisa 1891, pp. 193, 209; P. Villari, Storia di GerolamoSavonarola, Firenze 1930, II, pp. 234 s., 239 ss.; Canti carnascialeschi, a cura di C. S. Singleton, Bari 1936, pp. 318-98; F. Ghisi, Icanti carnascialeschi sulle fonti musicali del XV e XVI sec., Firenze 1937, p. 182; B. Croce, Due commedie fiorentine: la "Farsa di colui che vuol vivere senza pensieri" e l'"Ingratitudine", in Poeti e scrittori del pienoe del tardo Rinascimento, Bari 1945, I, pp.94- 119; Farsa dell'uomo che si vuol quietare e vivere senzapensieri, a cura di B. Croce, Firenze 1951; I. Sanesi, La commedia, Milano 1954, I, pp. 245 s.; G. Pullini, Teatralità di alcune commedie del Cinquecento, in Lettere ital., VII (1955), pp. 73 s.; M. Cataudella, Iacopo da Bientina e un suo interconvivio, in Filologia romanza, VII (1960), pp. 148-56; A. Mango, La commedia in lingua, Milano 1966, pp. 85, 273; N. Borsellino, Rozzi e Intronati, Roma 1976, p. 72; Illuogo teatrale a Firenze (catal. della mostra), Milano 1975, p. 71; L. Zorzi, Ilteatro e la città, Torino 1977, pp. 85, 185; R. C. Treler, The "Libro Cerimoniale" of the FlorentineRepublic, Genève 1978, pp. 50 ss.; I. Innamorati, Autori pubblico e attori in una farsa-fiorentina delprimo Cinquecento, in Teatro comico fra Medio Evoe Rinascimento: la farsa, in Atti del Convegno delCentro studi sul teatro medioevale rinascimentale, a cura di M. Chiabò e F. Doglio, Viterbo 1987, pp. 291-312.