DURANDI, Iacopo
Nacque a Santhià (Vercelli) il 25 luglio 1739, dal notaio Domenico, "persona di comoda fortuna", di famiglia originaria di Candelo (Vercelli), e da Benedetta Rondolino da Cavaglià.
La madre, donna di buona cultura per i tempi, gli leggeva fin dalla prima infanzia opere di poesia e i drammi dei Metastasio, che il D. s'ingegnava di adattare per i suoi burattini. Metteva in ciò tanto impegno che in seguito il padre gli fece costruire un piccolo teatro familiare, dove il D. stesso si divertiva a recitare con amici, parenti e concittadini durante le villeggiature autunnali, fino all'età di diciotto anni: per esso compose e pubblicò, appena dodicenne, il dramma Farnace (Torino 1751). Preso l'abito clericale per i primi studi, svolse con distinzione il corso di filosofia a Vercelli e poi, dal 1756, quello di teologia nella università di Torino. Qui avvenne l'incontro con il padre Agnesi da Cuneo, un dotto linguista ed orientalista domenicano, suo professore, che s'interessò vivamente a lui e che, avendo intuito non avere alcuna vera disposizione per la vita ecclesiastica, lo consigliò di deporre l'abito subito dopo il baccellierato per dedicarsi agli studi giuridici: il che egli fece, dopo essersi seriamente impegnato ad approfondire la conoscenza della cronologia sacra e profana, nonché delle lingue latina e greca. Si laureò cum laude in entrambe le leggi nel 1762, entrando poi subito nello studio del giureconsulto P. Revelli, col quale avrebbe dovuto praticare per sei anni, secondo l'uso. Ma tale attività non risultò di suo gradimento, cosicché si rivolse nuovamente alla giovanile passione per il teatro e la poesia, del resto mai abbandonata: nel 1759 aveva pubblicato a Torino un idillio pastorale, Arianna abbandonata, che ebbe grande successo in diverse versioni; nel 1766 diede alle stampe a Torino quattro volumi di Opere drammatiche con idilli, molte delle quali rappresentate nel teatro Reale di Torino. Tuttavia il padre Agnesi, che non approvava tale tipo di letteratura, riusci a distoglierlo per un poco da essa, spingendolo a lavori eruditi d'altro genere, ai quali il D. si appassionò subito tanto che nello stesso 1766 venne pubblicata, sempre a Torino, la sua prima opera storica, Dell'antica condizione del Vercellese e dell'antico Borgo di Santhiá (dedicata al duca del Chiablese), dove già appaiono notevoli l'impegno di ricerca, anche contro ben radicate tradizioni e pregiudizi, ed il rigore metodologico. Da questo momento i tre filoni dell'attività del D. (studi giuridici, ricerche storiche e poesia drammatica) si alternano cosi fittamente, e ciascuno con impegno e risultati tanto rilevanti, da render difficile definire quale debba considerarsi preminente, anche se certamente la scelta professionale fu quella del diritto.
Il suo ingresso in magistratura avvenne nel 1769, quando il conte G. T. de Rossi di Tonengo, procuratore generale del re, gli offrì uno dei quattro posti di volontario nel suo ufficio: in questa occasione, essendosi presentato a ringraziare Carlo Emanuele III, si senti pubblicamente esortare a lasciar da parte il teatro e la poesia, come frivolezze poco confacenti ad un magistrato. Tuttavia ben presto, avendo già raggiunto in quel campo una rinomanza notevole, venne espressamente richiesto di opere dallo stesso teatro Regio, ottenendo la licenza dei superiori per comporle e pubblicarle. Divenuto un vero e proprio autore alla moda, le sue opere erano rappresentate nei principali teatri d'Italia (ma anche all'estero) e vennero musicate da artisti insigni: basti ricordare Annibale in Torino (Torino 1771), data al Regio nei carnevali 1771 e 1778 con le musiche di Paisiello e nel 1791 con quelle di N.A. Zingarelli; Ecuba (musica di I. Celoniatti, ibid., carnevale 1769), Armida (ibid. 1770), rappresentata al Regio con musiche di P. Anfossi nel 1770, nel 1782 alla Pergola di Firenze con le musiche di Cherubini, nel 1786 al teatro delle Dame di Roma con quelle di N. A. Zingarelli e, ristampata nel 1805, per quelle di Haydn.
Il D. si faceva un vanto di non aver mai composto un melodramma senza prima avere un'idea della musica (di cui era ottimo conoscitore) e delle qualità dei cantanti, convinto che il testo dovesse esser sottoposto alle esigenze musicali, e non viceversa come era uso corrente, anche se ciò sembra contrastare con la sua abitudine di affidare i suoi libretti successivamente a musicisti diversi. Il suo stile è dichiaratamente ispirato al Metastasio, pur tendendo ad una maggiore semplicità e naturalezza, sicché non apprezzò l'opera del Goldoni. Le teorie del D. quale autore drammatico vennero da lui in qualche modo codificate nel saggio Dell'imitazione intorno ai drammi in musica, inserito in appendice al volume X dell'edizione di Nizza (1781) delle opere dei Metastasio; anche alcune delle sue opere di erudizione storica furono dedicate alla letteratura, come gli Idillie discorsi intorno ai genii della poesia e del canto venerati dai nostri antichi (Torino 1808) e Ricerche sopra l'età in cui la sede del culto delle Muse si trasportò dal monte Olimpo in sul Parnasso … (in Mémoires de l'Acadèmie de science, littérature et beaux-arts de Turin, 1809-10, pp. 37-109). Egli ebbe assai vivo il senso dell'autonomia della cultura italiana e della necessità di trovare uno stile originale, meno dipendente dai modelli antichi o francesi: nel 1780 dichiarò che non si dovesse "correr dietro altrui", bensi creare in noi il nostro modello "per essere utili a noi" e rifuggire l'eccesso dominante di una interminabile condensata erudizione, quasi che gli antichi abbiano abbastanza pensato e parlato per noi" (Calcaterra, 1950, p. 405).
Frattanto gli studi giuridici venivano tanto seriamente approfonditi da portare il D. in primissimo piano fra i giuristi piemontesi, promuovendo una brillante carriera nella magistratura: nel 1774 venne nominato sostituto del procuratore del re, nel 1782 consigliere alla Corte dei conti ed il 23 giugno 1786 collaterale nella stessa. Per il credito di cui godeva ormai la sua dottrina, gli fu assegnata, il 14 luglio 1797, l'ambitissima carica di avvocato patrimoniale dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, ed il 24 agosto successivo fu decorato della croce dell'Ordine. Tuttavia nel 1798 la sua carriera s'interruppe bruscamente, perché il D., pur vicino al riformismo illuminato, era profondamente legato alle istituzioni sabaude e rassegnò le dimissioni da tutte le sue cariche all'inizio della dominazione francese, né volle accettame altre nonostante vive sollecitazioni; con la Restaurazione, il 31 maggio 1814 fu reintegrato nella carriera col grado di presidente, che però conserverà solo fino al 15 marzo 1815, avendo chiesto ed ottenuto d'essere giubilato per gravi disturbi alla vista e all'udito. Nel campo del diritto il D. aveva iniziato i suoi successi come esperto di questioni feudali, particolarmente di quelle assai complesse del Ducato di Savoia: celebri nella teoria feudistica divennero le sue Conclusioni del 23 luglio 1777 nella causa tra il barone di Villette ed il marchese di Faverges circa la devoluzione del feudo di Gez, nonché quelle del 4 dic. 1780 nel processo fra la Comunità di Lombardore e l'abate di S. Benigno.
Il costante uso della lingua francese cui fu obbligato in questo periodo segnò per sempre il suo stile italiano e le sue opere presenteranno tutte numerosi e marcati francesismi. Non si pensi però che l'essersi inizialmente specializzato in un campo cosi particolare come quello del diritto feudale l'abbia in qualche modo legato alla tradizione più retriva, ché anzi venne sempre considerato uomo di grande apertura, sostenitore delle riforme e della necessità di aggiornare il diritto all'evolversi dei tempi. è degno di nota che, sebbene fosse apprezzato come distinto latinista, egli dal 1786 decise con clamorosa innovazione di stilare tutte le sue sentenze in italiano, dichiarando iniquo il riservarne la piena conoscenza solo agli iniziati. Come molti dei membri della società torinese colta del suo tempo, non fu esente da una venatura di campanilismo che lo spinse all'idealizzazione del Piemonte giuridico e della sua storia, e a una sopravalutazione della tradizione sabauda. Ma certo è notevolissima in lui la capacità di considerare la filosofia del diritto nel suo continuo divenire, senza alcun dogmatismo, cosa non comune in un magistrato di carriera del suo tempo e del suo paese. Certo resta rimarchevole il suo sforzo a favore d'una codificazione fondata sui principi del diritto naturale, ed il suo contributo alle ricerche sopra il diritto pubblico del Piemonte e della Lombardia è fondamentale.
Notevole è anche l'attività storiografica dei D., al cui ambito appartiene un nucleo di diciotto opere, da quella del 1766 sopracitata fino all'Esame dell'antica libertà dei Lombardi e della pace di Costanza, pubblicata postuma nelle Memorie della R. Accad. delle scienze di Torino (XL [1838], pp. 1-187) col titolo di Saggio sullaLega lombarda, e sulla pace di Costanza, ché quello originale parve troppo ardito, e già l'autore aveva rinunciato alla pubblicazione nel 1772 per motivi di opportunità politica. Anche in campo storico il D. fu vicino alle correnti più innovative: alle fonti tradizionalmente accettate dell'erudizione volle sostituire la ricerca diretta, il controllo del documento già codificato, il risalire alle origini dell'informazione. Spendeva cifre rilevanti in emissari e cavallari per ricognizioni topografiche con disegni di ruderi o lapidi, e in corrispondenti, per ottenere copie ed estratti di documenti d'archivio. Sfortunatamente, tra gli altri aveva concesso la sua fiducia ad un abilissimo falsario, il prevosto G.F. Milanesio, che gli forni per anni ben congegnati falsi di documenti e di epigrafi (questi ingannò anche il barone G. Vernazza, allora ritenuto la massima autorità in materia epigrafica del Piemonte), sui quali il D. basò alcune delle sue tesi, particolarmente nell'opera Il Piemonte cispadano antico, Torino 1774. Di tali episodi la sua reputazione scientifica soffri assai, nonostante la riconosciuta serietà degli intenti ed il rigore del metodo.
Nell'ambito della pubblicazione di Piemontesi illustri gli furono affidate tre voci; due vennero pubblicate: l'Elogio del presidente A. Fabre (II, Torino 1781, pp. 263-357) e l'Elogio d'Arrigo di Susa, cardinale vescovo di Ostia (IV, ibid. 1784, pp. 243-269). Per la terza, l'Elogio del cardinal Guala Bicchieri, entrò in contrasto con i revisori sulla valutazione della condizione politica della Chiesa medioevale, sicché indispettito rinunciò, trasmettendo l'incarico all'abate C. Denina, che pubblicò la voce sotto il suo nome (III, ibid. 1783). Il D. si occupò anche di esplorazioni geografiche con due opere: il Saggio di scoperte geografiche di moderni viaggiatori nell'interno dell'Affrica, ad illustrazione e supplemento al viaggio di Sir James Bruce alle sorgenti del Nilo (ibid. 1801, che fu tradotto in inglese) e le Osservazioni sopra alcune recenti scoperte geografiche fatte nell'Africa settentrionale e singolarmente sopra il paese dei Garamanti (ibid. 1806).
Molto importante fu l'attività del D. nell'ambito delle associazioni culturali torinesi: attivissimo membro della Conversazione sampaolina fin dalla fondazione, egli fu ammesso per acclamazione anche fra i filopatridi il 1°marzo 1792. Fu accademico delle scienze di Torino dal 5 apr. 1804, con 600 franchi di pensione; era dal 1803 membro degli Indefessi di Alessandria; dal 1804 dell'Accademia celtica di Parigi e dalla gioventù di quella dei Pastori della Dora col nome di pastor Nereo. Il 31 luglio 1813 fu infine eletto socio ordinario della Pontificia Accademia di archeologia in Roma.
Poco prima di morire fece dono dei suoi libri alla Biblioteca civica di Vercelli e bruciò la maggior parte dei manoscritti. Mori a Torino il 28 ott. 1817, lasciando erede il nipote G. Demarchi da Zubiena, il quale offri i pochi manoscritti superstiti al re Vittorio Emanuele I che li destinò all'archivio dell'Accademia delle scienze di Torino.
Oltre alle opere già citate, ricordiamo: Amore disarmato (poemetto in sei canti), Napoli 1768; Delle antiche città di Pedona, Caburro, Germanicia e dell'Augusta dei Vagienni, Torino 1769; Saggio della storia degli antichi popolid'Italia, ibid. 1769; Dell'antico stato d'Italia, ibid. 1772; Del Collegio degli antichi cacciatoriPollentini in Piemonte, e della condizione deicacciatori sotto i Romani, ibid. 1773; Operedrammatiche di un nuovo Metastasio, Porto Venere 1788 (ediz. anonima, in cui il nome dell'autore figura solo nell'imprimatur); Notiziedell'antico Piemonte, ossia delle marche di Torino e d'Ivrea, tre voll., Torino 1803-04; Dellapopolazione d'Italia circa l'anno di RomaDXXVI, ibid. 1806; Dell'origine del diritto regale della caccia, ibid. 1809; Dell'antica contesadei pastori di Val di Tanaro e di Val d'Arozia, e dei politici accidenti sopravvenuti, ibid. 1810; Schiarimenti sopra la carta del Piemonte anticoe dei secoli di mezzo, ibid. 1810; Memorie sopraEnrico conte d'Asti e della occidentale Liguria, di poi duca del Friuli sotto Carlo Magno, ibid. 1811; Ricerche sopra il diritto pubblico del Vercellese e della Lombardia, in Miscellanea di storia italiana, XXV (1886), pp. 1-147.
Fonti e Bibl.: Vercelli, Bibl. civica, Fondo DeGregory, cart. 14 (biografia manoscritta di I. D.); Novelle letterarie (Firenze), n. s., I (1770), col. 760; n. s., V (1774), col. 283; n. s., XI (1790), col. 88; G. De Gregory, Vita di I. D…., Torino 1817 (con ritratto di C. Boucheron inciso da G. A. Zuliani); G. Tiraboschi, Storia della lett. italiana, I, Milano 1821, p. 30; G. De Gregory, Istoria dellavercellese letteratura ed arti, IV, Torino 1824, pp. 166-71; T. Vallauri, Storia della poesia in Piemonte, II, Torino 1841, pp. 135.38; C. Dionisotti, Notizie biografiche dei Vercellesi illustri, Biella 1862, pp. 68-71; L. Balliano, Della vita e degliscritti di I. D., Vercelli 1874; G. Claretta, Suiprincipali storici piemontesi, in Memorie dell'Acc. d. scienze di Torino, XXXI (1879), 2, p. 99; C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, II, Torino 1881, pp. 409-14; U. Rosa, Osservazioniintorno ad un'opinione di I. D. su Beraci e Savincazii, menzionati nell'arco di Susa, Torino 1884; M. Zucchi-L. Borello, Blasonario biellese, Torino 1929, p. 36; D. Gribaudi, I. D. e il suo contributoalla corografia storica del Piemonte, in Bollettinostor-bibliogr. subalpino, XXXVI (1934), pp. 35378; C. Calcaterra, Il "nostro imminente risorgimento", Torino 1935, ad Indicem; Id., I filopatridi, Torino 1941, pp. XXIV s., 3, 79, 192, 205, 215 s., 218, 229, 232, 245, 276, 511; Id., Le adunanzedella Patria Società letteraria, Torino 1943, pp. 121, 161 s., 223, 254, 277-312 passim, 341; Id., IlBarocco in Arcadia, Bologna 1950, pp. 405, 494, 506; P. Berselli Ambri, L'opera di Montesquieu nelSettecento italiano, Firenze 1959, ad Indicem; A. Caselli, Catalogo delle opere liriche pubblicate inItalia, Firenze 1969, pp. 100, 132, 266, 340, 354, 374, 420, 472, 506; R. Ordano, I. D., Santhià 1969; Id., I manoscritti della Biblioteca civica diVercelli, Torino 1974, pp. 91 s., 95 (indicaz. di opere inedite del D.); D. Raiteri, Saggio di bibliografia storica e biografica del Piemonte, Torino 1975, p. 172; Storia del teatro Regio diTorino, I, M.-Th. Bouquet, Ilteatro di corte…, Torino 1976, ad Ind.; Novissimo Digesto italiano, VI, p. 329.
G. Fagioli-Vercellone