FACCIOLATI, Iacopo
Nacque a Torreglia, una piccola località dei Colli Euganei (prov. di Padova), il 4 genn. 1682, da una famiglia modesta.
Condusse gli studi sotto l'amorevole protezione del vescovo di Padova, il cardinale Gregorio Barbarigo (il futuro santo), dapprima (a dodici anni) nel collegio di Tresto, presso Este, subito dopo nell'ambitissimo seminario padovano dello stesso cardinale. Maestri illustri gli insegnarono teologia, logica, e fecero sorgere in lui la passione per le "umane lettere". Nel 1704 fu ordinato sacerdote e ritornò presso la famiglia. Ma poiché in quello stesso anno aveva conseguito la laurea in teologia, fu immediatamente richiamato a Padova dal cardinale Giorgio Corner, successore del Barbarigo, che lo inserì presso il suo seminario come ripetitore. La carriera del F. all'interno del seminario fu velocissima: pochissimo tempo dopo il suo insediamento, infatti, gli fu proposto di insegnare filosofia; nel 1711 gli fu affidata l'annua prolusione agli studi e nello stesso anno, avendo il cardinal Corner intuita la sua chiara propensione verso le discipline umanistiche, fu chiamato dallo stesso cardinale come maestro e direttore dell'Accademia, prestigiosa scuola che riuniva i giovani che si erano distinti nello studio delle belle lettere.
Gli anni trascorsi tra il seminario e l'Accademia vedono il F. fervente organizzatore delle attività scolastiche, promotore zelante di tutti gli esercizi che egli considerava fondamentali per la formazione intellettuale e morale della gioventù, primi tra tutti l'apprendimento e la consuetudine con le lingue classiche. Può stupire a questo proposito il fatto che assieme al latino conoscesse anche il greco, poiché nel corso del sec. XVIII pochissimi potevano vantare tale prerogativa. In realtà il F. fu un grande conoscitore di quella lingua; basti pensare ai suoi Compendiaria Graecae grammatices institutio in usum seminarii Patavini (Patavii 1735), corso di grammatica greca adottato anche in altre università italiane, le cui edizioni si protrassero fino al 1819. La struttura dell'opera anticipa per lo più quella delle grammatiche moderne, ricca di esempi tratti dalla grecità classica.
Agli anni precedenti ai Compendiaria risalgono una serie di opere che arricchirono notevolmente la fama del F., segnalandolo per la sua erudizione: emendò ed accrebbe il Dizionario di A. Calepio detto il Calepino (Calepinus septem linguarum hoc est lexicon Latinum, Patavii 1718) e soprattutto pubblicò l'Ortografia italiana (Padova 1721).
A scrivere quest'importante opera il F. fu sollecitato non solo dal grande interesse che in lui suscitavano i problemi filologici e linguistici, ma anche, e soprattutto, dai lavori di P. Bembo e di A. Tassoni. Nell'Ortografia sono segnalate ed autorizzate voci tratte da autori approvati dall'Accademia della Crusca e usate dai più celebri scrittori del Settecento. In secondo luogo il F. inserì delle tavole, da lui stesso ordinate cronologicamente, elencanti gli autori della Crusca e un indice degli stessi autori, seguiti dal titolo delle opere, con relativa edizione, approvate dalla Accademia. All'interno dell'imponente lavoro il F. eseguì inoltre la correzione di alcune voci errate reperite nel vecchio Vocabolario della Crusca. Un ulteriore sforzo compì, inserendo un cospicuo numero di vocaboli italiani derivati dal greco, segnalandone l'origine, o vocaboli ugualmente italiani "che nel latino non possono essere espressi con uguale precisione ed eleganza", pure derivati dal greco.
Il cuore di questa raffinatissima opera si compone essenzialmente di quattro parti. Una prima comprende libri di autori antichi della lingua volgare fino al 1400. Seguono libri di autori compresi tra il 1400 ed il 1700. In terzo luogo si inserisce il vocabolario vero e proprio dell'ortografia italiana. In conclusione, alcuni avvertimenti sulle particolarità grammaticali della nostra lingua. L'opera del F. risulta ancora oggi molto interessante. Tuttavia, se numerosissime edizioni ne furono compiute dalla prima fino al 1817, dopo quella data la fama del F. subì un repentino calo, che si manifestò attraverso un minore interesse. A tutt'oggi risulta estremamente difficoltoso trovare su di lui qualcosa di più significativo di una semplice citazione, persino nelle grandi storie della lingua italiana, dalla metà del sec. XIX fino ai giorni nostri.
Nel 1713 il F. pubblicò una delle sue orazioni, Ad grammaticam (Patavii 1713), che ebbe tanto successo da essere ristampata ad opera di G. Walch (Lipsiae 1715) e che lo spinse a far stampare anche le numerose altre che di anno in anno andava recitando. Tali orazioni, moltissime delle quali presentate in occasione dell'apertura dell'Accademia e del seminario prima, dell'università poi, vennero raccolte con il titolo di Latinae selectae orationes XXVII (Patavii 1767).
Nel 1722 il cardinal Corner morì e a lui succedette il cardinale Giovanni Francesco Barbarigo, nipote del più famoso s. Gregorio, il quale prepose agli studi il suo vicario generale, pur lasciando le precedenti nomine formalmente operative. Tale situazione risultò oltremodo sgradita al F., che si ritirò immediatamente dal seminario. L'anno successivo gli fu offerta la cattedra di logica presso l'università di Padova, che egli accettò pur titubante; nel 1733 fu promosso alla prima cattedra. Agli anni dell'insegnamento presso l'università padovana risalgono alcuni studi propriamente filosofici ed alcuni studi ciceroniani; tra i primi si possono annoverare i Rudimenta logicae a usum privatae scholae (Patavii 1729) e le Istitutiones logicae peripateticae (Venetiis 1737); tra gli altri assumono particolare rilievo le Exercitationes M. T. Ciceronis ad Q. fratrem de petitione consulatus (Patavii 1732).
Nei confronti di Cicerone, in particolare, il F. nutrì quasi una forma di venerazione, che si concretizza anche in una lunga serie di opere che fino agli ultimi anni della sua vita egli dedicò al grande autore latino. La produzione filosofica e quella squisitamente critica e letteraria non assunsero mai, però, nell'ambito dell'intera opera del F. un rilievo particolare; la sua importanza sta in gran parte nella sua opera di lessicografo, grammatico e linguista. Di questi anni infatti è la revisione dell'apparato di A. Nizolio (Nizolii apparatus linguae Latinae, crebris locis refectus et auctus ex formulis elegantioribus Doleti, Patavii 1734), che dimostra ulteriormente il suo particolare interesse per le opere dei grammatici tardorinascimentali.Nel 1730 il F. fu costretto da monsignor Ottoboni (Minotti), vescovo di Padova, a riprendersi cura del seminario; fu allora che egli riconsiderò un ambiziosissimo progetto, tralasciato dopo il suo allontanamento dall'Accademia: quello di compilare il più grande e completo vocabolario di lingua latina che fosse mai apparso. In ciò si avvalse di un validissimo assistente, E. Forcellini, che già aveva collaborato con lui nella compilazione dei primi sei volumi, pronti all'epoca della morte del Corner. Spinto dal desiderio di concludere l'opera, il F. fece richiamare il Forcellini, e con lui si applicò costantemente alla creazione di quest'opera, incoraggiato nel progetto dai molti che ne avevano compreso l'alto valore. Il vocabolario, una volta concluso, prese il nome di Totius Latinitatis lexicon consilio et cura Iacobi Facciolati, opera et studii Aggidii Forcellini lucubratum (Patavii 1771).
Molte polemiche si scatenarono all'uscita del vocabolario a proposito della reale paternità dell'opera, problema ancora oggi irrisolto. Pare evidente che senza la grandissima erudizione del F. e la sua profonda e raffinata conoscenza del mondo latino il Forcellini non avrebbe potuto compiere un lavoro tanto completo e innovativo. Nel grande vocabolario sono puntualizzate voci che erano state precedentemente attribuite in modo erroneo; le lezioni incerte sono attentamente studiate e scelte nel modo più corretto; l'opera è talmente puntuale e completa che l'esaurimento della prima lettera dell'alfabeto avvenne solo dopo tre anni di duro lavoro. Si può dire in conclusione che se il F. fu guida e ispiratore del lavoro, il Forcellini lo ordinò e lo eseguì in maniera impeccabile. Stupisce oggi notare come poco risalto si dette alla grande fatica dei due studiosi a partire da appena un trentennio dopo l'uscita del vocabolario. Di esso tuttavia si parla nel corso di alcune lettere intercorse tra S. Maffei, A. Vallisnieri ed il Metastasio, entusiasti sostenitori del talento e dell'erudizione del Facciolati.
Nel 1739 fu decretata l'assimilazione della cattedra di logica a quella di metafisica, decreto che il F. accolse presentando le proprie dimissioni al senato dell'ateneo padovano. Dopo quell'anno, ormai famosissimo, e non solo a Padova, fu nominato professore e storico dal senato accademico, che gli lasciò l'intero stipendio di 700 fiorini e contemporaneamente gli affidò l'incarico di continuare la storia della prestigiosa università, interrotta dopo la morte di E. Papadopoli, che l'aveva iniziata. Il compito non si presentava dei più agevoli; gli archivi universitari, infatti, trascurati da lungo tempo, erano quasi completamente vuoti e sprovvisti di qualunque documento significativo. Il F. non si perse d'animo: riordinò l'archivio, dedicò molto tempo alla ricerca ed alla raccolta di documenti e, quando si sentì pronto, cominciò a scrivere la sua opera; nacquero così i Fasti Gymnasii Patavini (Patavii 1757), cui il F. premise un sunto con il titolo di Syntagmata XII (ibid. 1752).
I Fasti, strutturati in tre parti distinte, ognuna corrispondente a un periodo della storia dell'ateneo padovano, abbracciano un lasso di tempo che va dal 1260 al 1405, un secondo dal 1405 al 1509, l'ultimo dal 1509 al 1759. L'opera subì molte critiche, la maggior parte delle quali rivolte all'aver ridotto la storia della prestigiosa università ad una pura raccolta di nomi e di sterili date, ad un elenco né prezioso né particolarmente significativo. E in effetti così è, ad eccezione del primo periodo analizzato, dove la ricerca appare più completa e vi sono ampi cenni alla storia di Padova; per il resto l'opera si presenta come un vero e proprio catalogo di nomi e date.
Ma il parziale insuccesso non impedì al F. di essere insignito, tramite una ducale, dell'altisonante titolo di storiografo a vita. Nel 1752, al culmine della sua fama, mandò al pontefice Benedetto XIV una lettera (Epistula ad Benedictum XIV..., Patavii 1752), proponendogli la ristampa del De servorum Dei beatificatione sanctorum canonizatione e procurandosi in questo modo la stima e il favore del papa.
Anche in vecchiaia l'attività del F. fu molto intensa. Agli ultimi anni della sua esistenza appartiene la Vita M. Tulli Ciceronis litteraria (ibid. 1760).
La fama estesissima è confermata dai frequenti contatti che intrattenne con i più autorevoli rappresentanti della cultura dei suoi tempi: fu in corrispondenza, tra gli altri, con il medico G. Morgagni, con il matematico C. Poleni, con il botanico G. Pontedera, con il naturalista A. Vallisnieri e, specialmente, con S. Maffei, con il Metastasio, con L. Muratori. Le lettere del F. e molte di quelle che egli riceveva sono in gran parte dedicate al commento delle sue opere, al ringraziamento a chi le aveva giudicate favorevolmente, a consigli e suggerimenti a proposito di traduzioni o interpretazioni.
Tra gli studiosi stranieri ebbe una particolare consuetudine con G. Walch, che curò l'edizione tedesca di molte sue opere e che di lui scrisse frequentemente, definendolo "lumen Latinae linguae a quo Italia maxime illustratur" (Historia criticaLatinae linguae, Lipsiae 1716, p. 443). In una lettera indirizzata da S. Maffei ad A. Vallisnieri, il 24 dic. 1718, si trova scritto: "Vi prego dirmi se il Facciolato abbia terminato il suo nuovo Calepino, e se sia stampato o si stampi avendone particolar curiosità e premura d'averlo adesso" (S. Maffei, Epistolario, a cura di C. Garibotto, I, Milano 1955, p. 278).
Il F. ebbe molta notorietà anche a causa di una collezione, singolare e interessante, che custodiva nella propria casa. Si tratta di una serie di quadri, alcuni preziosissimi, organizzata quasi come una mostra permanente, allestita in senso didattico, in modo da mostrare il progresso dell'arte pittorica dai bizantini fino ai moderni. Notevole era la curiosità suscitata da tale raccolta, sì da rendere la casa dell'abate meta ambita delle visite di illustri personaggi, italiani e stranieri, alla città di Padova.
Il F. morì a Padova il 26 ag. 1769.
Fonti e Bibl.: J. Grossley, Nouveau mémoire ou Observation sur l'Italie et sur les Italiens, III, Londres 1765, p. 164; G. Gamba, Galleria dei letterati ed artisti più illustri delle prov. veneziane, Venezia 1822-24, I, p. 187; II, p. 310; E. Vedova, Biogr. d. scrittori padovani, I, Bologna 1832, pp. 374-383; N. Tommaseo, in E. De Tipaldo, Biografie degli Italiani, illustri, VIII, Venezia 1841, pp. 231 -249; G. Gennari, Vita di I. F., Padova 1918; S. Serena, I. F. professore di logica, Padova 1934; G. Gasperoni, Settecento italiano, Padova 1941, pp. 23, 134; G. Bellini, Sacerdoti educati nel seminario di Padova, Padova 1951 p. 164; G. Natali, Il Settecento, Milano 1960: P. 48; G. Previtali, La fortuna dei primitivi..., Torino 1964, p. 218.