GIANFIGLIAZZI, Iacopo
Nacque a Firenze il 16 luglio 1470 da Bongianni di Bongianni e dalla sua seconda moglie, Maddalena di Michele Parenti.
Antichissima famiglia guelfa, i Gianfigliazzi erano già menzionati nel Liber extimationum del 1266; era la casa commerciale fiorentina più antica e radicata nell'attività bancaria: negli anni Ottanta e Novanta del Duecento erano i banchieri principali nel Sud della Francia, ove ebbero influenza politica e, con le loro aperture di credito, condizionavano le lotte di successione nel Delfinato.
L'ascesa al potere dei Medici, nel 1434, comportò una spaccatura nella famiglia: da un lato Rinaldo, amico personale del capo della fazione antimedicea, Maso degli Albizzi, fu costretto all'esilio con alcuni dei suoi discendenti; dall'altro Bongianni, il nonno del G., che contrasse con i Medici legami di affari e matrimoniali, assicurando loro anche un costante e leale sostegno politico. Il padre del G., Bongianni, ricoprì innumerevoli e importanti incarichi politici nel periodo di Lorenzo il Magnifico, di cui era amico personale; nel 1470 Lorenzo fu suo padrino durante la solenne cerimonia con cui a Bongianni fu conferita la massima onorificenza della Repubblica fiorentina, il titolo di cavaliere aureato. Nella seconda metà del Quattrocento la famiglia abbandonò quasi del tutto l'attività bancaria in proprio, preferendo investire capitali nel Banco Medici.
Poco si sa del periodo giovanile del G., salvo il fatto che nell'aprile 1492, quando si diffuse la notizia della morte di Lorenzo il Magnifico, egli si trovava a Roma, forse per affari: da qui infatti risulta scritta l'affettuosa lettera di condoglianze da lui diretta al figlio del Magnifico, Piero de' Medici. Il suo primo incarico pubblico risale al bimestre maggio-giugno 1494, quando divenne per la prima volta priore.
La discesa in Italia del re di Francia Carlo VIII, nell'estate 1494, causò a Firenze, sia pure indirettamente, un rivolgimento istituzionale che culminò nella cacciata di Piero de' Medici, al quale il G. tuttavia non fece mancare il suo aiuto: nell'ottobre 1494 lo accompagnò a Sarzana per trattare le condizioni del passaggio dell'esercito francese nel territorio fiorentino. L'8 novembre, quando Piero, estromesso dal potere, fece l'estremo tentativo di rientrare nel palazzo della Signoria, il G. gli rimase al fianco. Nonostante questa aperta scelta di campo, sembra che il G. non abbia sofferto ripercussioni o rappresaglie da parte del nuovo regime "popolare" fiorentino, né subì l'esclusione dalle cariche pubbliche e dal maggio 1495 fu per sei mesi membro degli Otto di guardia e balia, la magistratura che sovrintendeva all'ordine pubblico. Le cose cambiarono invece nell'estate 1497, quando fu scoperto un complotto per riportare Piero de' Medici al potere. Tale episodio, che costò la vita ad alcuni fedelissimi medicei, come Bernardo Del Nero e Lorenzo Tornabuoni, comportò per il G. un provvedimento di confino nella sua villa di campagna che sarebbe dovuto durare fino alla morte di Piero de' Medici; di lì a poco però, sventato il pericolo di un ritorno dei Medici al potere, prevalse la volontà di pacificazione e anche il provvedimento restrittivo contro il G. fu revocato.
Di un vero e proprio ingresso del G. nella vita politica si può parlare soltanto con il gonfalonierato di Piero Soderini, protrattosi dal 1502 al 1512; durante tale periodo il G. fu membro dei Dodici buonuomini dal 15 dic. 1507, dei Priori nel settembre-ottobre 1510, del Consiglio degli ottanta nel 1508 e poi nel 1510, degli Otto di guardia e balia dal 1° genn. 1510, dei Sedici gonfalonieri dall'8 genn. 1512.
Fu col ritorno dei Medici al potere, nel settembre 1512, che la sua carriera politica raggiunse il culmine: memori del costante e leale supporto offerto dal G. alla famiglia, prima Giuliano e poi, soprattutto, Lorenzo de' Medici fecero del G. uno dei politici fiorentini più influenti.
Nell'aprile 1513 fu eletto membro dell'ambasciata inviata al papa Leone X de' Medici per congratularsi della sua ascesa al soglio pontificio; il 22 agosto fu inviato come commissario generale a Castiglion Aretino (oggi Castiglion Fiorentino), dove rimase fino al 5 ottobre. Nel frattempo la Balia lo aveva eletto tra i capitani di Parte guelfa per un anno, a partire dal 1° sett. 1513. Con un provvedimento dell'11 apr. 1514 tale magistratura (che aveva tra l'altro competenza sulle fortificazioni sparse sul territorio) ebbe poteri speciali al fine di ridurre le spese militari attraverso l'eliminazione di alcune guarnigioni, dal momento che in quel periodo lo Stato fiorentino era sotto la protezione del pontefice. Perché potessero ben espletare l'incarico, i capitani furono riconfermati per sei mesi, oltre l'anno previsto inizialmente, ma il G. era stato nel frattempo designato gonfaloniere di Giustizia e il 1° nov. 1514 si dimise per assumere quella carica.
Durante il gonfalonierato del G. la Signoria fiorentina fu oggetto di pesanti pressioni da parte di Lorenzo de' Medici affinché esaminasse il caso di Antonio Gualterotti, accusato di frode dai creditori del banco Altoviti di Bruges, fallito nel gennaio 1508. Il G. seppe resistere a tali pressioni e pertanto il suo mandato finì senza che la questione fosse discussa.
Successivamente egli ricoprì di nuovo la carica di gonfaloniere di Giustizia dal 1° luglio 1521, e dal 1° gennaio successivo ebbe per la seconda volta il priorato.
Nel marzo 1515 fu inviato a Roma come ambasciatore straordinario, per collaborare con Francesco Vettori, ambasciatore ufficiale, in trattative a carattere finanziario. Nel novembre dello stesso anno ospitò Leone X, in visita a Firenze, nella sua villa di campagna a Marignolle.
Il 23 maggio 1516 il G. fu eletto commissario generale per la spedizione militare contro il Ducato di Urbino, già feudo pontificio conferito ai Della Rovere, ma che ora il papa desiderava devolvere al nipote Lorenzo de' Medici. La spedizione contro i Della Rovere si concluse con un pieno successo per i Medici, e Lorenzo poté ricevere l'investitura del Ducato di Urbino il 18 ag. 1516.
Il 13 maggio 1517 il G. fu eletto, insieme con Francesco Pandolfini, commissario straordinario a Borgo San Sepolcro e nel marzo 1518 fu inviato come oratore in Francia, dove già si trovava l'ambasciatore residente Francesco Vettori, il quale aveva chiesto di tornare a Firenze. Il soggiorno del G. in Francia, che si protrasse per circa un anno, fu funestato da una grave malattia e la missione non fu caratterizzata da avvenimenti di particolare importanza: il carteggio, diligentemente tenuto sia con Lorenzo de' Medici e il suo segretario Goro Gheri, sia con gli Otto di pratica, l'organo che curava la politica estera, registra esclusivamente avvenimenti ordinari come visite di potenti e nascite di principi.
Dal 16 ott. 1522 al maggio dell'anno successivo il G. fu impegnato in una ambasciata straordinaria al papa, di cui facevano parte altri eminenti cittadini, con lo scopo di occuparsi dell'assetto istituzionale ed ereditario del Ducato di Urbino.
Il 14 ag. 1514 il G. entrò in carica come vicario di Certaldo, uno dei tanti uffici estrinseci dello Stato fiorentino.
Essendo la circoscrizione presso i confini con Siena, il G. fu coinvolto nei preparativi per una spedizione militare organizzata dal governo fiorentino in aiuto di quello senese: durante il semestre del G. si registrò, infatti, uno degli innumerevoli tentativi di sovvertimento istituzionale da parte dei fuorusciti senesi. Il corpo di spedizione inviato in aiuto da Firenze era comandato da tre cittadini fiorentini, uno dei quali era il G., che allo scopo fu autorizzato a oltrepassare i confini del vicariato di Certaldo.
Le drammatiche vicende del 1527, che culminarono con il nuovo allontanamento da Firenze dei rappresentanti della famiglia Medici e nella restaurazione del regime popolare, segnarono una temporanea battuta d'arresto nella carriera politica del Gianfigliazzi. All'indomani del "tumulto del venerdì santo" Filippo Strozzi cercò di persuaderlo a lasciare Firenze, ma il G. rimase in città, o comunque vi ritornò, ritenendo di non avere niente da temere dal nuovo regime; in effetti, secondo un'opinione largamente diffusa tra i contemporanei, era universalmente riconosciuta l'equidistanza del G. nei vari cambiamenti di regime.
Nell'agosto 1530, con la resa di Firenze dopo l'assedio dell'esercito imperiale, si ebbe un nuovo capovolgimento della situazione e i Medici ritornarono al potere. Dalla capitolazione della città alla promulgazione delle "Ordinationi" (aprile 1532), che fissavano i capisaldi costituzionali, il ruolo del G. fu basilare: non solo egli fu membro della Balia incaricata di governare lo Stato fiorentino nel difficile momento della transizione, ma, nell'ambito di essa, fu anche eletto tra i Dodici riformatori, che avevano precipuamente il compito di ridisegnare l'assetto del "governo et reggimento della città" (Varchi, p. 480).
Con l'instaurazione del ducato di Alessandro de' Medici, il G. fu nominato membro a vita del Senato dei quarantotto, uno degli organi decisionali del nuovo regime. In seguito all'assassinio di Alessandro, nel gennaio 1537, gli ottimati fiorentini furono chiamati per l'ultima volta a pronunziarsi sui destini della città. Essi decisero di far succedere al duca assassinato il lontano cugino, Cosimo I de' Medici, giovane di neanche diciotto anni; per questo fu anche deciso di affiancargli un gruppo di otto cittadini in veste di consiglieri, scelti tra i più autorevoli, tra i quali il G., che rimase fino al termine della sua vita uno degli uomini più vicini al nuovo duca di Firenze.
Il G. morì a Firenze il 25 apr. 1549.
Dal matrimonio con Smeralda di Pier Francesco Pandolfini ebbe alcuni figli, tra cui Bongianni, Lorenzo, Pier Filippo e Luigi.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Archivio Mediceo avanti il principato (per l'elenco delle numerosissime lettere del G. si rimanda agli indici analitici dell'inventario Archivio Mediceo del principato, I-IV, Roma 1955-66); Raccolta genealogica Sebregondi, 2573; Signori, Legazioni e Commissarie, Istruzioni ed elezioni di oratori, 27, cc. 17, 18, 20v, 21v, 23; Carte Strozziane, s. I, 241, c. 16; 339, c. 10; Raccolta genealogica Ceramelli, 2341; B. Varchi, Storie fiorentine, Colonia 1721, pp. 458, 467, 480, 483, 599; D.M. Manni, Osservazioni sopra i sigilli antichi dei secoli bassi, XXX, Firenze 1736, p. 10; Id., Il Senato fiorentino, Firenze 1771, p. 53; I. Nardi, Istorie della città di Firenze, Firenze 1858, I, p. 110; II, p. 28; G.B. Busini, Lettere a Benedetto Varchi, Firenze 1860, pp. 7, 38; Epistolario di Bernardo Dovizi da Bibbiena, a cura di G.L. Montallero, II, Firenze 1955, pp. 143, 150, 158, 168, 174, 196, 198, 202; Carteggi delle magistrature dell'età repubblicana. Otto di pratica, I, Firenze 1987, ad indicem; H.C. Butters, Governors and government in early sixteenth century Florence, 1502-1519, Oxford 1985, pp. 127, 167, 189, 243, 262, 281, 283, 292. Per la storia della famiglia fino al secolo XIV, A. Sapori, Le compagnie bancarie dei Gianfigliazzi, in Id., Studi di storia economica, II, Firenze 1955, pp. 927-973.