Appiano, Iacopo IV d’
Figlio di Iacopo III e di Battistina Campofregoso, Iacopo IV (1459 o 1460 - 1510) diventò signore di Piombino, succedendo al padre, il 17 marzo 1474, all’età di quindici anni. Il territorio di quella che era una delle più piccole tra le signorie italiane del Rinascimento comprendeva l’insediamento di Piombino, alcune rocche circostanti (Scarlino, Suvereto, Buriano, Populonia) e cinque isole dell’arcipelago toscano: l’Elba, Pianosa, Montecristo, Cerboli e Palmaiola. Situata in posizione strategica, Piombino rappresentava uno scalo importante negli scambi mediterranei e contava sul reddito derivante dalle miniere di ferro dell’Elba.
La sua rilevanza si accrebbe nella seconda metà del 15° sec., allorché, dopo la scoperta delle cave di allume di Tolfa, nel Lazio, e di Montioni, nel Piombinese, l’intera area diventò lo snodo del commercio del prezioso minerale tra Civitavecchia e le Fiandre.
Di conseguenza, il territorio degli Appiano costituì l’oggetto delle mire dei maggiori potentati della penisola.
Per assicurare il proprio dominio, i signori di Piombino conclusero dei contratti di accomandigia – protezione politica e accordi commerciali – con Siena, con Firenze e con il Regno di Napoli. I rapporti con quest’ultimo si strinsero nella seconda metà del secolo, come attestano due eventi biografici relativi a Iacopo IV: il suo matrimonio con Vittoria Todeschini Piccolomini, figlia del duca d’Amalfi (e nipote del futuro papa Pio III), nel 1476, e il debutto militare, avvenuto nel 1479 sotto il comando del duca di Calabria.
Proseguendo le strategie inaugurate dai predecessori, A. difese militarmente l’Elba, le cui attività commerciali erano disturbate dalle rotte delle navi genovesi e spagnole. Il problema fu risolto mediante due accordi diplomatici gravidi di conseguenze: nel 1489 egli pose la propria signoria sotto la protezione di Ferdinando il Cattolico e il 2 settembre 1494 stipulò un trattato di neutralità con Ludovico il Moro, che all’epoca dominava su Genova. In tal maniera, Iacopo allacciò uno stretto rapporto con la monarchia iberica e, d’altro canto, si mantenne neutrale in occasione della calata di Carlo VIII nella penisola. Nel contempo, si dedicò al mestiere delle armi, che lo impegnò in misura crescente durante le prime fasi delle guerre d’Italia.
Dopo un periodo trascorso al servizio di Siena, il 31 agosto 1498 A. fu assoldato da Firenze, che lo adoperò nella guerra contro Pisa. La città, liberatasi dai francesi, si era posta sotto la protezione di Venezia.
Il pericolo rappresentato, a quel punto, dall’espansionismo veneziano in Toscana spinse Milano ad allearsi con Firenze, concedendole mano libera nella riconquista di Pisa. In questo quadro si spiegano i termini della condotta del signore di Piombino, inizialmente stabiliti in venticinquemila ducati, pagati per metà dal duca di Milano (Frammenti storici, p. 947).
Nel settembre 1498, assieme a Ranuccio da Marciano, A. fu inviato a Marradi, assediata dai Veneziani che avevano invaso il Casentino (M. ad Andrea de’ Pazzi, 27 sett. 1498, LCSG, 1° t., p. 73). In questa impresa le truppe fiorentine dimostrarono scarso ardimento. Iacopo, in particolare, rifiutò di portarsi con i propri armati fin sotto le mura del borgo: in seguito M. rilesse l’episodio della liberazione di Marradi in termini favorevoli all’esercito fiorentino, elogiando l’intelligenza tattica dei suoi comandanti, che avevano saputo antivedere le mosse dei nemici (Discorsi III xviii 16-20). Tuttavia, nei Frammenti storici egli formulò un giudizio molto duro nei riguardi del comportamento tenuto in quel frangente dal signore di Piombino: riportando le parole di Antonio da Venafro, cancelliere di Pandolfo Petrucci, definì A. come un uomo che «conchiudeva male e eseguiva peggio […] non aveva né obbedienza né riputazione» (Frammenti storici, p. 952).
Al ritorno dalla spedizione, Iacopo si acquartierò a Pontedera, chiedendo un aumento della paga nonché degli effettivi militari. Il 24 marzo 1499 i Dieci ordinarono a M. di recarsi a Pontedera al fine di blandire il condottiero, rassicurandolo circa un futuro incremento del soldo (LCSG, 1° t., pp. 236-39).
Stante la breve distanza tra Pontedera e Firenze, M. riferì a voce sull’esito dell’incarico. Questa legazione al signore di Piombino rappresentò, tuttavia, un episodio di rilievo nella biografia politica di M., poiché fu la sua prima e gli consentì di esaminare da vicino la questione pisana. La missione precedette di poco, infatti, la stesura del Discorso sopra Pisa (maggio 1499).
Nel 1501 la Toscana fu invasa dalle truppe di Cesare Borgia. Piombino fu assediata; il 16 agosto A. fuggì via mare, mentre la città si arrese il 3 settembre.
Due anni più tardi, la caduta dei Borgia mutò nuovamente gli assetti e A. recuperò la signoria con l’appoggio di Firenze e del re di Francia. Dopo la battaglia del Garigliano (dic. 1503), che assicurò il Regno di Napoli a Ferdinando il Cattolico, A. si accostò ulteriormente al sovrano spagnolo, ormai egemone nell’area tirrenica. Questo sbilanciamento impensierì Firenze, la quale temeva che le forze iberiche occupassero la costa toscana, impedendole di riconquistare Pisa. In tale scenario, il 2 aprile 1504, i Dieci inviarono per la seconda volta M. a conferire con l’A., a Piombino (LCSG, 3° t., pp. 493-94). I fiorentini ipotizzavano che A., sobillato da Pandolfo Petrucci, aderisse ai disegni filospagnoli di Bartolomeo d’Alviano, il quale, muovendosi entro un’ampia rete di alleanze, appoggiava il ritorno dei Medici a Firenze. Anche in questo caso, la legazione non produsse alcuna corrispondenza. M. fu incaricato di vagliare l’atteggiamento di Iacopo nei confronti di Firenze e di Siena, nonché i sentimenti dei piombinesi verso il loro signore. Pochi mesi più tardi, il 14 dicembre 1504, sempre per conto dei Dieci, M. scrisse due missive a Doffo Spini, capitano fiorentino di Campiglia (LCSG, 4° t., pp. 291-93). Costui doveva recarsi da A. avvisandolo del pericolo rappresentato dall’Alviano: «ricordera’li che ‘l maggior nimico che abbi un uomo che tenga stato è uno che sia in su l’arme e abbi reputazione in quelle e sia sanza stato». E va qui notato un precorrimento stilistico del Principe.
Nel 1505 il progetto di una restaurazione medicea si affievolì, come lo stesso M. si premurò di comunicare al signore di Piombino tramite una missiva inviata per conto dei Dieci (3 genn. 1505, LCSG, 4° t., p. 321). Ciò nonostante, l’avvicinamento della piccola signoria toscana alla Spagna continuò: nel 1507 Ferdinando il Cattolico visitò Piombino e nominò Iacopo governatore generale delle armi spagnole in Toscana. Il 18 maggio di quell’anno M. si recò per la terza volta presso l’A.: di questa missione ci è giunta soltanto la lettera inviata a Iacopo dalla Signoria fiorentina (LCSG, 6° t., pp. 46-47). Due anni più tardi, l’8 novembre 1509, A. riuscì a formalizzare la posizione giuridica della sua dinastia, ottenendo da Massimiliano I d’Asburgo l’erezione della signoria piombinese in feudo imperiale. Rassicurato dagli autorevolissimi appoggi internazionali che lo circondavano, ai primi di marzo del medesimo 1509 Iacopo si propose come mediatore nel conflitto tra Firenze e Pisa, ormai stremata dall’assedio. Il 10 marzo M. fu incaricato, per la quarta volta, di recarsi presso il signore di Piombino (LCSG, 6° t., pp. 304-06). Arrivato la sera del 14, M. parlò con A. e poi con gli ambasciatori inviati da Pisa. Avendo compreso che i pisani volevano soltanto temporeggiare, il giorno dopo, cioè il 15, egli compose la relazione che spedì ai Dieci (LCSG, 6° t., pp. 306-12). Riferendo minutamente circa i colloqui avuti, M. raccontò, tra l’altro, di essersi specificamente rivolto ai membri dell’ambasceria pisana originari del contado:
Volsimi poi a quelli contadini e dissi che m’incresceva della loro semplicità, perché giucavono un gioco dove e’ non poteno vincere; perché come e’ Pisani avessin vinto la gara loro, e’ non li vorrebbon per compagni ma per servi, e tornerebbono ad arare.
Il signore di Piombino non aveva saputo o voluto svolgere fino in fondo il ruolo del mediatore, dimostrandosi, ancora una volta, inaffidabile; la missione si risolse, quindi, in un fallimento. Il ricordo di questa inaffidabilità trovò, forse, un’eco nel Principe, dove Iacopo fu menzionato due volte (iii e vii), ma senza alcun rilievo.
Bibliografia: L. Cappelletti, Storia della città e stato di Piombino dalle origini fino all’anno 1814, Livorno 1897, Bologna 19782; P. Pieri, Appiani Iacopo, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 3° vol., Roma 1961, ad vocem; P. Meli, S. Tognetti, Il principe e il mercante nella Toscana del Quattrocento. Il Magnifico Signore di Piombino Jacopo III Appiani e le aziende Maschiani di Pisa, Firenze 2006; D. Abulafia, The mouse and the elephant: relations between the kings of Naples and the lordship of Piombino in the fifteenth century, in Communes and despots in Medieval and Renaissance Italy, ed. J.E. Law, B. Paton, Farnham 2010, pp. 145-60.