LIGOZZI, Iacopo (o Jacopo)
Nacque a Verona, probabilmente nel 1547, se si può dar credito a un documento anagrafico datato 1555 che lo dice di otto anni (Gamba, pp. 1 s.). Discendente di una famiglia di ricamatori di origini milanesi, il L. fu figlio di Giovanni Ermanno, a sua volta pittore e ricamatore, e di Lucia.
A dispetto delle indicazioni della letteratura antica, che gli attribuivano periodi di apprendistato presso i maggiori artisti attivi a Verona (a cominciare da Paolo Caliari), la formazione del L. avvenne certamente all'interno della bottega paterna: una delle sue prime prove documentate, datata 24 maggio 1567 e firmata congiuntamente col padre, è, in effetti, l'altare a due ante della chiesa di S. Silvestro a Vigo Lomaso, la cui tavola centrale rappresenta la Madonna col Bambino e i ss. Silvestro e Lorenzo. Giovanni Ermanno si era trasferito a Trento nel 1557 alle dipendenze del vescovo Cristoforo Madruzzo, e in quella città si trattenne senza soluzione di continuità sino al principio dell'ottavo decennio. Il L., peraltro, aveva già realizzato un'opera pubblica prima dell'altare di Vigo Lomaso, avendo datato nel 1566, e firmato, stavolta da solo, una pala raffigurante S. Anna con la Vergine e i ss. Gerolamo e Gregorio Magno, posta nella chiesa di S. Antonio Abate a Bivedo. Ambedue questi incerti cimenti d'esordio, strettamente dipendenti dalla maniera rigida e attardata del padre, non consentono di cogliere alcun nesso consapevole con gli orientamenti della contemporanea maniera veronese.
Dopo queste due prove trentine, non esistono dipinti documentati del L. per circa vent'anni, il che rende di fatto impossibile ricostruirne l'attività giovanile.
Fra le diverse opere veronesi che gli venivano tradizionalmente ascritte, solo l'Epifania della chiesa della Ss. Trinità, assai deperita, la più matura Trinità e santi della chiesa di S. Eufemia e forse il Ritrovamento della Croce nella chiesa di S. Luca possono essere confermate alla sua paternità con convincenti argomenti di ordine stilistico.
Più ricca di dati certi si presenta la biografia del L. per quanto concerne la permanenza a Verona nel corso dell'ottavo decennio. Il 22 sett. 1572 egli prese in sposa Angela di Francesco Baldassini da Como, dalla quale ricevette come dote 300 ducati, che vennero consegnati a Giovanni Ermanno. Nel gennaio del 1575, il pittore vinse la causa che si era risolto a intentare a suo padre al fine di entrare in possesso di quei denari.
Il 1° genn. 1577 il L. si allontanò da Verona, affidando la moglie e i figli al cognato Antonio Botti, marescalco, quasi certamente per recarsi a Firenze, al servizio del granduca Francesco I: colà, infatti, fu conosciuto e apprezzato da Ulisse Aldrovandi, nel corso di un soggiorno fiorentino che quest'ultimo compì entro il giugno dello stesso anno.
Il trasferimento presso la corte medicea fu l'evento fondamentale della vita del L. sia dal punto di vista biografico, sia da quello professionale. All'artista venne attribuito uno stipendio di 25 ducati mensili, e gli furono assegnati un servitore e un appartamento piuttosto ampio presso il casino di S. Marco: ivi, il L. avrebbe accolto di lì a pochi anni tutta la sua famiglia (Conigliello, 1990, pp. 22 s.).
Egli si trovò da subito impegnato in quella che sarebbe divenuta la sua più acclamata specialità e che costituiva una delle grandi passioni del granduca: l'illustrazione naturalistica.
Le sue tavole botaniche e zoologiche (la maggior parte si trova nel Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi: 78 tempere di piante e 65 di animali; qualcun'altra è conservata nella Biblioteca Universitaria di Bologna, Fondo Aldrovandi), spesso a grandezza naturale, si presentano assolutamente eccezionali per precisione e finezza disegnativa, delicatezza, brillantezza e armonia coloristica, equilibrio e nitore compositivo. In esse, il supremo virtuosismo mimetico viene costantemente sostenuto e innervato da uno sguardo sulle forme della natura di sottile e garbato lirismo. La presenza di alcune tavole non finite consente di apprezzare la complessa e paziente lavorazione miniaturistica messa in opera dal L., il quale da principio profilava leggermente i contorni con la matita nera, procedendo poi con una prima stesura di colore che veniva pazientemente velata e rifinita a tempera con pennelli sottilissimi, che gli permettevano la restituzione delle più ricercate variazioni cromatiche, e infine fissata con una vernice lucida (forse chiara d'uovo). Le illustrazioni naturalistiche furono realizzate dall'artista essenzialmente nei primi dieci anni della sua permanenza fiorentina, fino al 1587, anno di morte di Francesco I, indiscusso regista di quella vasta impresa enciclopedica di catalogazione della natura della quale il L. fu il principale artefice pittorico. Si può anzi precisare che le illustrazioni scientifiche costituirono l'attività prevalente, seppure non esclusiva, del pittore sino alla metà del nono decennio.
Tra il 1583 e l'inizio del 1584 il L. fu nominato da Francesco I responsabile di tutta l'ampia decorazione pittorica della tribuna degli Uffizi: volta, strombi delle finestre, porta e fregio dello zoccolo del pavimento, che constava di una fantasiosa e variegata composizione di naturalia.
Questa prestigiosa impresa artistica, che fu ultimata nell'autunno del 1586 e coinvolse svariati assistenti fra i quali il fido Donato Mascagni, ma anche il Cigoli (Ludovico Cardi), Agostino Ciampelli e Gregorio Pagani, è andata perduta. Nello stesso prezioso ambiente degli Uffizi trovarono quindi posto - non oltre il 1589, quando venne stilato il primo inventario dei beni artistici ivi conservati, ma con ogni probabilità già entro il marzo 1587 - ben cinque dipinti di piccole dimensioni del L.: tre paesaggi, in uno dei quali era rappresentata la Parabola del buon samaritano; una sorta di natura morta con fiori e farfalle (tutte opere oggi irreperibili); e infine un S. Gerolamo, abitualmente identificato con l'esemplare oggi in casa Vasari ad Arezzo. A queste, che sono le opere riferite al L. nell'inventario, è stato opportunamente aggiunto un sesto dipinto, che è descritto come la Strangolatrice con l'attribuzione a Raffaello, nel quale è stata riconosciuta una tavola, conservata nei depositi delle Gallerie fiorentine, raffigurante quello stesso, anomalo, soggetto, e probabilmente di mano del Ligozzi. È stato altresì convincentemente proposto di individuare in una tavoletta del L., conservata alla Galleria degli Uffizi, un Sacrificio di Isacco stilisticamente molto prossimo al S. Gerolamo di casa Vasari, che sempre nello stesso inventario veniva registrato come opera di Alessandro Allori (Conigliello, 1992, pp. 24 s.). Stando a una dettagliata descrizione fornita da Aldrovandi nella memoria di un viaggio fiorentino da lui compiuto nel giugno del 1586, il L. partecipò ai lavori di decorazione del parco della villa di Pratolino, affrescando sulle pareti della grotta di Tetide due vedute dell'isola d'Elba e di Livorno e una selezione di varietà ittiche tipiche della zona: anche di queste pitture non è rimasta traccia.
Nella seconda metà degli anni Ottanta, venne decisamente a infittirsi l'attività pittorica del L., e in particolare la sua produzione da cavalletto.
Risalgono a questo periodo l'originale e macabra Allegoria della Redenzione della collezione Lowe a Locko Park, Derbyshire (ripr. ibid., fig. 11) e la Resurrezione, siglata e datata 1587, conservata a Lovere nella collezione Tadini (ripr. ibid., fig. 12, dove però si sollevano forti perplessità sull'autografia, stimando che l'opera possa essere di Giovanni Ermanno). Inoltre, nell'inventario della galleria del casino mediceo di S. Marco, steso nella primavera del 1588, si trova registrato con l'attribuzione al L. un Cristo nell'orto, anch'esso oggi disperso, del quale tuttavia è possibile avere un'idea attraverso un'altra notevole versione del tema, diversa per supporto, ma da riferirsi allo stesso periodo, se non ad anni immediatamente precedenti, attualmente da Colnaghi a Londra (ripr. in Magnificenza alla corte dei Medici, p. 66).
Con la morte di Francesco I si chiuse una fase della vita del L. e della sua carriera di artista di corte.
Egli partecipò attivamente alle solenni esequie del granduca, che si tennero nella chiesa di S. Lorenzo il 15 dic. 1587. Dipinse, infatti, la Fortificazione di Livorno in una delle dodici grandi tele a chiaroscuro che facevano parte dell'apparato funebre, raffiguranti episodi particolarmente significativi ed esemplari della vita di Francesco I (tutte perdute).
Alla fine di ottobre il L. rivolse una supplica scritta a Ferdinando I de' Medici, che da pochi giorni era succeduto a Francesco I. Le richieste, soprattutto economiche, che vi venivano formulate non trovarono udienza. Per contro il pittore dovette abbandonare la sua abitazione al casino di S. Marco. Prese così un appartamento in via Larga (l'affitto del quale richiese e ottenne che fosse di spettanza del granduca) e trasferì il suo studio agli Uffizi, ove poté approntare infine una vera e propria bottega.
Tra il dicembre del 1588 e l'aprile del 1589 il L. e i suoi collaboratori furono intensamente impegnati nei lavori di decorazione in occasione delle nozze tra Ferdinando de' Medici e Cristina di Lorena: fra essi si ricorda una grande tela che fu posta sulla facciata di palazzo Vecchio, oggi perduta, raffigurante l'Allegoria della Toscana, della quale si conserva al British Museum di Londra un minuzioso disegno preparatorio quadrettato.
Ancora nel 1589 il L. si recò a Pratolino, dove realizzò un ritratto della principessa Maria de' Medici, all'epoca sedicenne (che Conigliello, in Magnificenza alla corte dei Medici, p. 215, con buoni argomenti ha ritenuto di identificare in una piccola e sfarzosa tavola conservata agli Uffizi), e nello stesso anno dipinse la prima di una cospicua serie di pale d'altare che ne avrebbero contraddistinto l'attività nei decenni successivi: l'Allegoria del cordone di s. Francesco per la chiesa di S. Bonaventura del convento del Bosco ai Frati, in Mugello.
Nell'ottobre del 1590 il L. cominciò a lavorare a quella che può essere considerata la commissione più prestigiosa ch'egli avesse sino allora ricevuto: i due quadri di enormi dimensioni, su lavagna, per il salone dei Cinquecento in palazzo Vecchio, raffiguranti l'Incoronazione di Cosimo I a granduca di Toscana (firmato e datato 1591) e Bonifacio VIII riceve gli ambasciatori fiorentini (datato 1592 e firmato: in questa lavagna il L. si dichiarò significativamente, e quasi ironicamente, date le dimensioni delle opere da lui compiute, "miniator").
Per gran parte della durata di tale impegno, che fu certamente ultimato prima dell'aprile 1592, il pittore poté contare sull'assistenza del cugino Francesco di Mercurio Ligozzi. Un simile cimento costrinse il L. a rifinire le sue competenze e il suo repertorio di pittore di storia, capace di confrontarsi adeguatamente con le esigenze retoriche di quell'arte celebrativa e monumentale che proprio nel salone dei Cinquecento aveva trovato uno dei suoi compimenti paradigmatici. Nella fattispecie, l'esito risultò compositivamente piuttosto schematico e farraginoso, pur se non privo di parti sontuose e raffinate, soprattutto nei brani decorativi ove ebbe modo di rifulgere la diligenza tecnica del pittore.
Nel 1591 il L. datò e siglò la Deposizione per la chiesa del convento dei cappuccini di San Gimignano, opera particolarmente riuscita nel suo patetismo composto e quasi severo, che ben si accorda col classicismo rigoroso, prosciugato da ogni enfasi e alieno da qualsiasi esplicito virtuosismo, che si afferma nella migliore pittura religiosa fiorentina di fine Cinquecento. È probabile che l'opera, eseguita dal L. aggirando i vincoli professionali che era tenuto a rispettare in quanto artista di corte, sia costata al pittore la risoluzione dei suoi legami contrattuali coi Medici, con la chiusura della bottega che egli teneva agli Uffizi e la perdita, a partire dal gennaio 1593, del suo salario mensile.
Si aprì così una nuova fase della carriera del L., quella di artista "indipendente", impegnato prevalentemente nella realizzazione di pale d'altare e attivo nell'ampliamento della trama dei suoi rapporti professionali.
Già dal gennaio del 1592, in effetti, egli intraprese una relazione con la committenza mantovana dei Gonzaga che si sarebbe interrotta bruscamente, e piuttosto velenosamente, solo nel 1602: da principio egli prestò i suoi servigi come intermediario per il reperimento di pittori che affrescassero la villa di Marmirolo; poi eseguì per la nobile famiglia una serie di ritratti andati perduti e quattro dipinti raffiguranti S. Francesco, S. Antonino, S. Bernardino e una Storia di Lot, anch'essi perduti.
Nel 1593 il L. dipinse l'impeccabile e sontuoso Ritratto femminile conservato al Museu nacional de arte antiga di Lisbona, nonché uno dei suoi capolavori, il S. Girolamo sorretto dall'angelo per la chiesa fiorentina di S. Giovannino (oggi si trova nell'annesso convento), della quale all'epoca erano titolari i gesuiti.
La grande tela risulta particolarmente ammirabile per lo studiato bilanciamento compositivo, per l'intensità espressiva del gruppo principale, per la luminosa brillantezza dei colori e la felice sovrabbondanza e pertinenza simbolica dei particolari realistici che la punteggiano, arricchendola di diversi straordinari episodi naturamortistici. Con ogni probabilità il dipinto si trovava sull'altare della prima cappella sinistra della chiesa, collocazione dalla quale fu scalzato in breve, per ragioni non note, da una tela raffigurante i Tre arcangeli, anch'essa firmata dal L. e datata 1594; mentre sulle pareti laterali della cappella furono poste altre due sue opere, un Sogno di Giacobbe e un S. Michele abbatte Lucifero. Tutte e tre le tele sono ancora in situ.
Nello stesso 1594 il L. portò a termine, firmandole o siglandole, altre cinque opere religiose pubbliche di ampie dimensioni.
Oltre alle Nozze mistiche di s. Caterina per la chiesa del convento dei cappuccini di Montughi e all'Apparizione della Vergine a s. Giacinto, oggi conservata nel convento di S. Domenico a Fiesole, ma realizzata per la chiesa di S. Marco a Firenze, il L. dipinse quell'anno tre tele, nonché i perduti affreschi della tribuna, per l'oratorio lucchese della Confraternita del Nome di Gesù: le tele furono trasferite al principio dell'Ottocento nella chiesa dei Ss. Vincenzo e Anastasia e alienate intorno alla metà del secolo. Si tratta della Circoncisione, che era sull'altare maggiore dell'oratorio ed è oggi conservata nella curia arcivescovile di Lucca, opera di compiuto equilibrio formale e di fatto tra i vertici riconosciuti del L., del Battesimo di Cristo, conservato nel Museo di Villa Guinigi a Lucca, e dell'Adorazione del Nome di Gesù, nella collezione Mazzarosa ancora a Lucca, queste ultime originariamente collocate sugli altari laterali dell'oratorio.
Altre due opere di alto profilo vennero licenziate dal L. nel corso del 1595: il Martirio di s. Dorotea per la chiesa di S. Francesco a Pescia, in cui si possono cogliere inedite suggestioni carraccesche, in particolare verso la maniera di Ludovico, e il S. Diego d'Alcalà risana i malati nella chiesa fiorentina di S. Salvatore d'Ognissanti. Nel 1596, ancora sul fronte delle pale d'altare, fu la volta di due tele piuttosto macchinose.
Provenienti dalla chiesa del Ponte Santo di Imola e oggi nella Pinacoteca comunale di Ravenna, la Visitazione per il duomo di Lucca e il Martirio dei ss. Quattro Coronati documentano una cultura figurativa sempre più ampia e composita, nella quale confluirono, oltre ad alcuni riferimenti già consolidati, anche le suggestioni della coeva produzione di Federico Barocci, di Aurelio Lomi e di Giovan Battista Paggi.
Nel 1597 il L. firmò e datò la smagliante e rifinitissima Epifania conservata nella Galleria Palatina di Firenze. Quell'anno segnò anche l'inizio del suo impegno coi monaci del monastero di Monte Oliveto, per i quali avrebbe dipinto due tele: la Natività della Vergine, per l'abside della chiesa, e un tondo raffigurante l'Assunta, posto sul soffitto al centro del transetto.
Una prima versione della Natività della Vergine venne ultimata dal L. entro il luglio del 1598: il dipinto riuscì, però, tanto gradito al granduca Ferdinando che questi decise di acquistarlo per 300 scudi, per poi offrirlo come regalo di nozze all'infanta Isabella di Spagna. Il pittore eseguì, così, una seconda versione dell'opera, datata 1599, tuttora in situ (Conigliello, 1992, pp. 33, 44). Si tratta di una tela particolarmente dinamica, affollata e magniloquente, che fa sfoggio di scorci arditi e monumentalità architettonica.
Nel 1598 il L. portò a termine la Pietà nella chiesa fiorentina della Ss. Annunziata, collocata sull'altare principale della cappella della Madonna del Soccorso, ristrutturata integralmente dal Giambologna (Jean Boulogne) e inaugurata il 24 dicembre di quell'anno.
Per la stessa chiesa il pittore avrebbe dipinto, nel 1602, la tela con Papa Clemente IV conferisce i privilegi dell'Ordine servita al beato Manetto Dell'Antella, uno dei quattro episodi della vita del beato che furono appesi sulle pareti laterali della cappella Dell'Antella (le altre tele furono compiute, pure nel 1602, da Alessandro e Cristofano Allori e da Domenico Cresti detto il Passignano).
Nei primi anni del XVII secolo, il L. avviò una serie di impegni che avrebbero rivestito un notevole rilievo all'interno della sua parabola artistica e professionale.
Come effetto di una significativa ripresa dei rapporti col granduca, prese infatti corpo la sua attività di fornitore di disegni di mobilia e suppellettili per l'Opificio delle pietre dure; egli intraprese, inoltre, per il duca Vincenzo Gonzaga un'attività di copista di alcuni celebri capolavori pittorici delle collezioni medicee: repliche di una Madonna di Andrea del Sarto e di una Giuditta di Raffaello. Quest'ultima copia, oggi conservata nella Galleria Palatina di Firenze, fu trattenuta da Ferdinando I dietro un compenso di 40 scudi per il pittore, il che determinò una grave incrinatura delle relazioni del L. con la corte mantovana e conseguenti strascichi legali: tali fatti danno la misura del carattere difficile del pittore e fotografano la cattiva fama che lo circondava (Conigliello, 1992, pp. 34 s.). L'artista realizzò, inoltre, proprio nel 1600, il primo di una serie di cimenti per l'area del Casentino: la bella tela raffigurante la Madonna col Bambino e i ss. Michele Arcangelo e Antonio Abate per la chiesa di S. Ippolito a Bibbiena, alla quale fece seguito, l'anno successivo, il S. Benedetto in adorazione della Vergine della badia di S. Fedele a Poppi. Infine, ancora a partire dal 1600 e nel corso di gran parte del primo decennio, il L. dipinse gli affreschi con Storie francescane nel chiostro della chiesa fiorentina di Ognissanti (molto malridotti), di cui ultimò due pareti più altre due lunette prima di essere sostituito, per ragioni non chiare, da Giovanni da San Giovanni.
Ancora entro il primo laboriosissimo decennio del secolo il L. realizzò diverse altre opere significative.
Al 1604 risale la coppia di ritratti pendant, oggi nella collezione Aberconway di Bodnant, Galles, che presentano sul verso due straordinarie rappresentazioni macabre e iperrealistiche di Vanitas (tra le più alte prove della natura morta italiana di primo Seicento). Tra il 1604 e il 1607 il L. compì due dei sei riquadri su tavola, rispettivamente con il Ritorno da Lepanto e la Presa di Nicopoli, che ornano il soffitto della chiesa pisana di S. Stefano dei Cavalieri (gli altri furono dipinti da C. Allori, dal Cigoli e da Iacopo Da Empoli); entro il luglio del 1606 dipinse il Miracolo di s. Raimondo di Penyafort sull'ultimo altare della navata destra di S. Maria Novella a Firenze. Nel 1607 firmò la Maddalena in adorazione del Crocifisso per la chiesa di S. Martino a Pisa, nonché la Natività della Vergine e i ss. Sebastiano e Raimondo di Penyafort per il santuario di S. Maria del Sasso a Bibbiena, pala d'altare fra le più compiutamente articolate e pittoricamente più raffinate dell'artista.
Sempre nel 1607 il L. si recò a visitare, in compagnia del frate osservante Lino Moroni, i luoghi francescani della Verna, per realizzare un gruppo di disegni concepiti per essere tradotti a stampa al fine di illustrare la Descrizione del Sacro Monte della Verna, una guida pubblicata nel 1612 a cura dello stesso Moroni. Nel 1611 il L. fu ancora attivo, con magistero e autorevolezza assolutamente integri, in una commissione di grande spicco e prestigio come il Martirio di s. Lorenzo per la chiesa di S. Croce a Firenze, ma nel secondo decennio la sua produttività cominciò a rallentare: il che non gli impedì di portare a termine almeno quattro opere di destinazione pubblica di grandi dimensioni.
La prima è anche la migliore di esse: l'intensa e misuratissima Annunciazione per la chiesa di S. Bartolomeo a Modena, firmata e datata 1614. Nel 1618, su commissione medicea, il L. realizzò il S. Francesco in adorazione della Vergine, dipinto che nel 1621 fu posto sull'altare della cappella della villa di Poggio Imperiale e che oggi si trova nella Galleria Palatina di Firenze. Nel 1619 eseguì la Resurrezione di Lazzaro nella prepositura dei Ss. Marco e Lorenzo, a Poppi, un dipinto firmato e datato, nel quale, peraltro, si è ritenuto di riconoscere un ruolo preponderante dell'unico figlio del L. che professò l'attività di pittore, Francesco (Conigliello, 1992, pp. 55 s.). Allo stesso anno risale la grande e poco felice tela raffigurante Gli ambasciatori veronesi consegnano al doge le chiavi della città, oggi nella loggia di Fra' Giocondo a Verona, una commissione del Consiglio cittadino che risaliva a parecchi anni prima e che il L. dovette condurre a termine piuttosto faticosamente. L'ultima commissione pubblica di notevole impegno e importanza, che il L. ricevette insieme con Da Empoli e con il Passignano nel 1619 (ciascuno con l'incarico di dipingere una tela), fu l'Apoteosi di s. Giulia per il soffitto del duomo di Livorno. I tre pittori onorarono il contratto entro il novembre del 1623.
Sono però alcune buie rappresentazioni di piccolo formato della Passione di Cristo, nelle quali si può cogliere qualche inedita eco del caravaggismo, i risultati migliori e più personali dell'ultimo L.: come la serie di quattro tele, da poco riunite nei depositi di Palazzo Pitti, raffiguranti l'Orazione nell'orto, la Flagellazione, l'Incoronazione di spine e il Cristo Portacroce, datato 1622; oppure l'Ecce homo conservato nello Stonyhurst College nel Lancashire (ripr. ibid., fig. 55).
Verso la fine del 1620 Cosimo II, a seguito di una supplica inoltrata per conto del L., concesse al pittore una provvigione mensile di 15 scudi della durata di tre anni, che in seguito fu confermata sino alla fine dei suoi giorni.
Il L. morì nel 1627 a Firenze, dove il 26 marzo fu sepolto nella chiesa di S. Marco.
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