PAOLETTI, Iacopo Maria
– Nacque a Volterra da Francesco e da Alessandra Nardini il 21 marzo 1728.
Sulla famiglia e la sua infanzia si hanno scarse notizie, se si eccettua quella del matrimonio con Maria Rosa Spigliati, dalla quale ebbe, stando ad alcune fonti, numerosa prole.
Conseguì la laurea in utroque iure presso lo Studio pisano il 24 novembre 1751 con Leopoldo Andrea Guadagni. Fin da subito intraprese la strada della magistratura, dapprima come giudice presso varie corti provinciali toscane (a Poppi nel 1753 e quindi a Pieve Santo Stefano) e poi, grazie al sostegno dell’influente auditore fiscale Domenico Brichieri Colombi, nel novembre 1755 fu nominato coadiutore del banco di città, una delle articolazioni interne del magistrato degli Otto di guardia e balia di Firenze. Da allora e fino al suo pensionamento restò nei ranghi del Tribunale criminale centrale fiorentino (dall’aprile 1768 come cancelliere del Banco dei furti) e, dopo la sua soppressione, in quelli della corte che lo sostituì, il Supremo tribunale di giustizia.
Nel 1773, nelle sue relazioni, il granduca Pietro Leopoldo lo ricordava in queste vesti come «abilissimo, accorto, fatigante, esatto, ma intrigante, furbo, politico» e lo additava per una promozione e per «tutte le commissioni particolari, e nelle occasioni straordinarie» (Gori, 2011, p. 143). In effetti, già nel 1764 Paoletti era stato spedito a Pistoia per una delicata missione al fine di sostituire temporaneamente il giudice ordinario Francesco Tallinucci, messo sotto accusa.
Nel nuovo Supremo tribunale Paoletti fu subito cancelliere, quindi terzo assessore nel 1779 e primo assessore nel 1785 e in queste vesti suo compito fu rilasciare voti, cioè pareri in ordine alla risoluzione di cause criminali. Prima ancora, però, Pietro Leopoldo aveva centrato su di lui una importante iniziativa volta alla formazione dei futuri giudici e notai secondo il nuovo spirito che il sovrano intendeva trasmettere e far applicare. Nel febbraio 1778 Paoletti fu scelto quale lettore della nuova cattedra di giurisprudenza criminale fiorentina istituita dal granduca, la frequenza della quale divenne obbligatoria per un anno per tutti gli aspiranti giudici e notai. Il docente doveva illustrare agli allievi sia i principi generali del diritto criminale sia la pratica per l’istruzione dei processi in base alle consuetudini forensi del Supremo tribunale, che veniva così espressamente elevato a modello da seguire per tutti i tribunali locali.
Per ordine del granduca, Paoletti stese il testo delle proprie lezioni, che circolò dapprima in versione manoscritta. Si può fondatamente ritenere che agli inizi degli anni Ottanta risalgano due inediti attribuibili a Paoletti e corrispondenti alle due sezioni in cui si articolava il corso di lezioni: il primo in latino, dal titolo Universum ius criminale: notiones theorico-practicae, dedicato a ciò che oggi chiameremmo diritto penale sostanziale; il secondo in volgare (Instruzioni per compilare i processi criminali) sull’istruzione del processo criminale. Nonostante la spinta di Brichieri Colombi, essi non vennero stampati ancora per molti anni, presumibilmente per la volontà del granduca di controllarne il contenuto e di procrastinare l’edizione al momento in cui il suo proposito di riforma normativa complessiva si fosse attuato. In effetti, queste opere furono edite, con differenti titoli, a Firenze soltanto tra 1790 e 1791, dopo la promulgazione della “Leopoldina”, delle disposizioni della quale fornirono una prima illustrazione.
Le Institutiones theorico-practicae criminales, dopo avere posto alcune basilari nozioni teoriche generali, si svilupparono in due volumi, seguendo la fondamentale partizione tra crimini pubblici e privati. La nozione di delitto, comprensiva anche dell’omissione, era già ben ancorata al principio di legalità: la valutazione in termini morali della condotta delittuosa non era ritenuta sufficiente senza una previsione legislativa. Anche le Istruzioni per compilare i processi criminali si apprezzano per semplicità e chiarezza espositiva: la marcata attenzione per il foro toscano si tradusse in ricchi e precisi rinvii alla giurisprudenza inedita del Supremo tribunale e in un formulario di atti processuali in chiusura dell’opera. Il felice contemperamento dei nuovi principi riformatori leopoldini (maggiore terzietà del processante nella ricerca della verità e spirito umanitaristico) con la tradizione di diritto comune – in piena sintonia con la cultura giuridica toscana, contraria a brusche rotture – ne fece ben presto un punto di riferimento non solo per l’insegnamento, ma più in generale per tutti i criminalisti del Granducato come aggiornamento della classica, ma oramai datata Pratica universale di Marc’Antonio Savelli, come avrebbe ricordato poi anche uno dei discepoli di Paoletti, Giovanni Carmignani.
Le opere di Paoletti ebbero una seconda e terza edizione a Milano (1805-06 e 1820), per l’editore Sonzogno, con modifiche e aggiornamenti relativi alle riforme criminali del 1795 e della prima Restaurazione. Il successore di Paoletti sulla cattedra fiorentina, Guido Angelo Poggi, ampliò e illustrò le Istruzioni nel 1816.
Nel periodo dei moti rivoluzionari Paoletti non assunse una posizione nettamente contraria ai francesi e forse per questo nel 1799, all’arrivo delle truppe austriache, fu soggetto a epurazione, alla quale scampò solo dopo aver fornito alcune giustificazioni al comando militare, che lo riabilitò in ragione dell’età e del lungo servizio prestato, non presumendolo propenso alle idee democratiche. Con il nuovo governo francese, però, Paoletti fu inserito in una commissione incaricata di valutare a chi dovesse spettare un’azione per il risarcimento dei danni per le misure politiche repressive adottate dal Senato fiorentino. Proprio nel 1801 il presidente del Supremo tribunale, Alessandro Rivani, ritenendolo «il più pratico di tutti nelle materie criminali» (Archivio di Stato di Firenze, Segreteria di Stato (1765-1808), 708, prot. 7, n. 16), ne suggerì l’elevazione ad auditore della stessa corte, cosa che avvenne nel 1804.
Paoletti, già sollevato nel 1802 della docenza di istituzioni criminali, fu giubilato come magistrato per motivi d’età il 5 luglio 1806 con una pensione annua di 900 scudi.
Opera minore, ma nient'affatto trascurabile, è La politica o sia il governo di polizia (Firenze 1804), poi rivista e inserita nel quinto tomo della Raccolta di trattati e memorie di legislazione e giurisprudenza criminale (Firenze 1822).
In questo libello Paoletti identificava l’arte di ben governare con la polizia, intesa come l’insieme di mezzi e interventi tesi a favorire sicurezza e benessere pubblico e privato attraverso l’estirpazione dei vizi e il sostegno della virtù dei sudditi. Per la storiografia, tale scritto è testimone dello spostamento della scienza di polizia dal campo amministrativo a quello penale.
Ritiratosi a vita privata, si occupò (stando al necrologio comparso in Gazzetta di Firenze, 152, 1816, p. 4) solo di «atti di pietà» e di «religione». Morì a Firenze il 10 dicembre 1816.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Reggenza, b. 555, c. 1154; Segreteria di Stato (1765-1808), bb. 708, 711, 788; Supremo Tribunale di giustizia, bb. 2451-2452; Siena, Biblioteca del circolo giuridico, XVI.FA.128, 130 (opere manoscritte); Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena, Relazione dei dipartimenti e degli impiegati (1773), a cura di O. Gori, Firenze 2011, p. 143; Gazzetta universale, XXVIII (1801), pp. 76 s.
C. Mangio, La polizia toscana. Organizzazione e criteri d’intervento (1765-1808), Milano 1988, pp. 11, 210 s.; P. Napoli, Polizia d’Antico Regime: frammenti di un concetto nella Toscana e nel Piemonte del XVII e XVIII secolo, in Policey im Europa der frühen Neuzeit, a cura di M. Stolleis, Frankfurt a.M. 1996, pp. 1-53; M. Battistini, Ricerche storiche volterrane, a cura di A. Marrucci, Volterra 1998, p. 412; D. Edigati, Prima della «Leopoldina». La giustizia criminale toscana fra prassi e riforme legislative nel XVIII secolo, Napoli 2011.