Mazzoni, Iacopo
Letterato (Cesena 1548 - ivi 1598); studiò a Bologna e a Padova, procurandosi un'estesa erudizione. Fu associato a molte accademie di Padova, Bologna, Ferrara, Macerata, Firenze. Insegnò filosofia a Macerata, a Pisa e a Roma.
Il suo Discorso in difesa della Comedia del divino poeta D. è una risposta al Discorso nel quale si mostra l'imperfezzione della Commedia di D. contro al Dialogo delle lingue del Varchi del cosiddetto Ridolfo Castravilla. Non si sa chi si celasse sotto tale pseudonimo (e alcuni manoscritti tramandano i nomi di Anselmo, o Pandolfo, o Giorgio, anziché Ridolfo), dal Borghini caricaturalmente deformato in " Castravillani ": inutilmente si è pensato al Landi, al Bulgarini, al Muzio. Una voce del tempo, riferita da Vincenzo Borghini, asseriva trattarsi di un fiorentino. Ed è stato fatto persino il nome del Salviati.
Con argomenti bembeschi e dellacasiani (circa la lingua) e aristotelici (circa la conformità del poema dantesco alle ‛ regole ' dei generi letterari), il Castravilla si era proposto di dimostrare che la Commedia " non è poema; che dato che fussi poema, non è eroico; che dato che fussi eroico, è cattivo poema eroico e pieno d'infinite imperfeczioni in tutte le parti, cioè nella favola, nel costume, nel concetto e nella diczione " (codice Magliabechiano II X 103, c. 6r). Per quanto inedito (fu stampato, dal Bulgarini, solo nel 1608), il suo Discorso - composto nel 1572 e polemico verso l'altissima estimazione di D. fatta nell'Ercolano (edito nel 1570) di B. Varchi - ebbe un'immediata diffusione, e provocò vivaci reazioni particolarmente nell'ambiente fiorentino: l'Accademia degli Alterati lo discusse in sette tornate, e due suoi membri, F. Sassetti e G.B. Vecchietti, difesero D. anche per iscritto. Si ebbero altri interventi del vescovo Antonio Altoviti, di Roberto Titi, di Antonino degli Albizzi, di Leonardo Salviati e di altri. Un violento sonetto compose il Lasca. E del Borghini si conserva, alla Nazionale di Firenze, un abbozzo di confutazione del Castravilla (con riferimenti al Mazzoni).
Da Firenze Tranquillo Venturelli inviò una copia del Discorso antidantesco al concittadino M., allora ventiquattrenne; il quale di buon grado assunse il compito di elaborare il Discorso in difesa della Comedia, stampato (con lo pseudonimo di Donato Roffia) a Bologna nel 1572, e ristampato l'anno successivo, col vero nome, a Cesena. Il proposito del " dottissimo " (così il Muratori) M. è dimostrare, con sfoggio di erudizione e cavillosità avvocatesca, l'obbedienza della Commedia alle presunte ‛ regole ' aristoteliche o comunque la sua conformità a modelli classici.
Dopo un elogio della varia dottrina di D. (meritevole per questo dell'attenzione di un filosofo quale il M.), si dimostra che il poema è imitazione di azione (e non, com'era stato detto dal Castravilla, di un sogno). Si sostiene l'unità della " favola ": " un solo viaggio, in tre parti distinto ": il " viaggio del Purgatorio pende da quello dell'Inferno, e quello del Paradiso nasce da l'uno e dall'altro; e per tutto sempre si palesa una somma grazia ch'egli [Dante] ebbe da Dio ". La favola è verosimile perché Dio può operare, e ogni cristiano lo crede, " cose sopranaturali e miracolose " (come il Tasso per la propria idea di meraviglioso cristiano, così il M. aristotelicamente giustifica l'inverosimile col ricorso al criterio delle credenze comuni). Né le manca la proprietà del " mirabile " (a chi dice il contrario, provare che non sia così) e del " necessario " (in quanto il viaggio è motivato dalla paura della lupa che impedisce l'ascesa al monte). E si tratta di favola " drammatica "; il poema dantesco è, come dice il titolo, una " commedia " (non una satira, come voleva il Castravilla): il poeta " non è persona distinta dalla favola ", ma è egli stesso personaggio. Però, commedia " monodica ", con un solo personaggio recitante: specie di cui parlò Donato, e a cui apparteneva la Cassandra di Licofrone. A differenza della commedia " drammatica pura ", la monodica può legittimamente superare il tempo di " un dì naturale ": di questa non parlò Aristotele e quindi le sue regole non valgono. Il M. difende inoltre il " costume " di D. e degli altri personaggi; e sostiene la " convenevolezza " dei pezzi dottrinali, dei " concetti " troppo plebei, di certe similitudini troppo umili. Riconosce l'eccessiva libertà nelle scelte lessicali, nelle soluzioni morfologiche, nella formazione di neologismi: " Le quali cose ", prosegue però, " se bene e noi medesimamente confessiamo che sono certamente in Dante alle volte quelle ortiche, quei triboli e quelle spine che tanto dispiacquero al Bembo, tuttavia io mi credo che, se con dritto occhio vorremo guardare, ch'elle non saranno tante quante egli ed altri hanno troppo audacemente affirmato ". Inoltre il carattere narrativo del poema lo rendeva linguisticamente più disponibile di quanto accada alla lirica; così operavano già i Greci nell'epopea. Del tutto conforme invece all'" idea del costume " l'inserzione di versi latini, " caldei ", provenzali, in quanto pronunciati da personaggi a cui competevano. E le " voci sporche " sono in regola con " le leggi dell'invettiva e della riprensione " (per il M. la Commedia " abbraccia perfettamente tutto il genere demonstrativo, l'ufficio del quale è lodare e vituperare "), o con quelle dello stile umile a cui talvolta la commedia può scendere. Il Discorso si chiude con la negazione del carattere eccessivamente episodico della tecnica diegetica di Dante.
Il Discorso provocò reazioni negative da parte del senese Bellisario Bulgarini e, in un primo tempo, del padovano Alessandro Cariero (suggestionato dallo Speroni, quest'ultimo si schierò poi, in brevissimo tempo, fra i partigiani di D.); reazioni che indussero il M., su richiesta dei Fiorentini, a rielaborare l'opuscolo, che divenne la mastodontica Difesa della Comedia di Dante, in sette libri di cui tre, costituenti la prima parte, editi vivente l'autore (Cesena 1587; la seconda parte uscì nel 1688). Notevole fra l'altro, nell'Introduzione (una vera e propria " arte poetica "), l'iscrizione della poesia " sotto quella facoltà razionale che fu da gli antichi sofistica nominata ". Qualche posizione è mutata, ma con poco vantaggio: così la Commedia è definita (con sostanziale adesione alla tesi del Castravilla) una " satira mista ", come la seconda di Giovenale. A buon conto, la nuova impresa varrà al M. onori e prebende in Firenze, anche da parte del granduca Ferdinando, che lo volle lettore di filosofia a Pisa. Le polemiche continuarono, per opera soprattutto dell'instancabile Bulgarini: ancora nel 1608, ecco le sue Annotazioni, ovvero chiose marginali sopra la prima parte della Difesa di D. fatta da M. Iacopo Mazzoni per la Commedia di D. Alighieri.
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