MELANI, Iacopo
– Nacque a Pistoia, il 6 luglio 1623, primogenito di Domenico e Camilla Giovannelli. Appartenente all’importante famiglia di musicisti pistoiesi, fu anch’egli indirizzato alla studio della musica e del canto. Le prime notizie su di lui riguardano la sua attività di cantante. Nel 1644-45, insieme con il fratello Atto e la virtuosa Anna Francesca Costa, si recò a Parigi per esibirsi in quella corte, chiamato dal cardinale G. Mazzarino. Vi ritornò nel 1646-47 e in questa occasione cantò nell’Orfeo su libretto di Francesco Buti messo in musica da Luigi Rossi, nel ruolo di Giove. Risale a questi anni la sua ordinazione sacerdotale, che non interruppe però la sua carriera di interprete teatrale.
Dalla seconda metà degli anni Quaranta il M. assunse l’incarico di organista della cattedrale di Pistoia. È documentata la sua partecipazione a un concorso nel novembre 1645 nel quale fu giudicato vincitore, anche se la prova fu invalidata, non essendosi verificate due votazioni con identico risultato, come prescritto dal regolamento. Successivamente riuscì comunque a ottenere il posto, nel quale fu annualmente riconfermato, sino alla metà degli anni Sessanta.
Alla fine del 1651 il M. si trovava, ancora con il fratello Atto, a Firenze mentre si andava progettando l’allestimento di uno spettacolo voluto dal principe Leopoldo, nel quale avrebbe dovuto ricoprire il ruolo di Ruggero. La sua disponibilità a recitarlo era ritenuta poco probabile, dato che all’epoca il M. era entrato al servizio degli arciduchi d’Austria e conti del Tirolo Ferdinando Carlo e Sigismondo Francesco, in quel momento ospiti della corte fiorentina, ma in procinto di ripartire. Ancora con il fratello Atto nella primavera del 1652, a Modena, partecipò ai festeggiamenti che Alfonso I d’Este aveva allestito per il passaggio degli stessi arciduchi. Durante il grande torneo svoltosi nel cortile del palazzo ducale, intitolato «la gara delle stagioni», Atto si esibì probabilmente nella parte della Primavera e il M. in quella di Giano.
Grazie alla fama acquisita e alla protezione dei Medici, gli inviti a recitare in opere in musica anche fuori Firenze diventarono più frequenti. In previsione del carnevale del 1653 fu richiesto a Mattias de’ Medici dal fratello Leopoldo per l’allestimento fiorentino dell’Alessandro vincitor di se stesso (libretto di F. Sbarra; musica di P.F. Caletti, detto Cavalli), poi rinviato, e da Paolo Emilio Fantuzzi, che intendeva mettere in scena a Parma il suo Ratto d’Europa, musicato da F. Mannelli. Il M. declinò entrambi gli inviti, perché era già impegnato a Venezia con il teatro dei Ss. Giovanni e Paolo, di cui era proprietario Giovanni Grimani, per il quale lavorò quasi certamente anche l’anno successivo.
La partecipazione del M. alla stagione veneziana del 1652-53 al teatro Ss. Giovanni e Paolo, durante la quale furono allestite la Veremonda e l’Helena rapita da Theseo, ha fatto avanzare l’ipotesi che la seconda opera, di autore sconosciuto ma erroneamente attribuita a Caletti, possa essere stata da lui messa in musica (Bianconi - Walker). Tuttavia questa attribuzione è stata confutata, collocando posteriormente al 1654 l’inizio della sua carriera di compositore d’opera (Weaver, 1977).
Il 13 gennaio e il 25 sett. 1656 il M. indirizzò due suppliche a Mattias de’ Medici, con cui chiedeva il patrocinio per ottenere una rendita fissa come maestro di cappella. Nel luglio dell’anno seguente la raccomandazione ebbe il suo effetto, poiché divenne maestro di cappella e insegnante di musica della cattedrale di Pistoia. A quanto risulta il nuovo impiego andò ad aggiungersi a quello di organista. Il doppio ruolo sembra confermato dal fatto che, durante il periodo in cui diresse la cappella, mancano attestazioni di pagamento di altri organisti e l’entità del suo stipendio era assai superiore a quello dei maestri di cappella che ricoprirono l’incarico immediatamente prima e dopo di lui. In uno dei testamenti lasciati dal M. è poi esplicitamente affermato che nel 1662 ricopriva entrambe le cariche.
In quegli stessi anni diventò organista anche presso un’altra istituzione cittadina, la Congregazione dello Spirito Santo. Nell’aprile del 1653, in occasione della festa della congregazione, fu chiamato a sostituire Francesco Fedi, titolare di quel ruolo. In seguito ne prese definitivamente il posto, mantenendolo quasi ininterrottamente dal 1655 alla morte; al riguardo va notato che i Fedi e i Melani furono due famiglie di Pistoia divise da un’aspra rivalità per il controllo delle attività musicali nella città. Nell’ottobre del 1657 il M. fu coinvolto in una rissa avvenuta durante un vespro. Secondo la ricostruzione dell’episodio fatta dal vescovo in una lettera al cardinale Giovan Carlo de’ Medici, egli si unì a due suoi fratelli che erano venuti alle mani con un chierico, afferrando quest’ultimo per i capelli e atterrandolo, mentre i fratelli lo colpivano con gli archetti dei violini e con pugni. Essendo sacerdote, il comportamento del M. fu sanzionato dal vescovo unicamente con un breve periodo di arresti domiciliari e con la proibizione di eseguire musiche nei conventi di suore, punizione che fu revocata solo nel marzo del 1659, grazie a un nuovo intervento del cardinale suo protettore.
Dagli anni Cinquanta è documentata la collaborazione del M. con alcune delle principali accademie da cui dipendevano gli spettacoli musicali fiorentini, in particolare quella dei Sorgenti e quella degli Immobili. I Sorgenti potevano contare su un gruppo di affiliati con diversi ruoli professionali, in grado di allestire autonomamente le varie manifestazioni spettacolari progettate dal sodalizio. Il M. faceva parte di questo gruppo di accademici, esentati dal pagamento della quota associativa, perché contribuivano, quando necessario, con le loro prestazioni professionali, ed era l’unico che avesse la mansione di compositore di musica. Per i Sorgenti – che sostituirono gli Immobili nella conduzione del teatro del Cocomero quando nel 1654 questi si spostarono alla Pergola – il M. lavorò certamente in più occasioni, non tutte documentate. È sicura la sua partecipazione alla messa in scena nel carnevale 1656 degli intermedi della commedia La donna più costante. Rimane invece ancora incerta l’attribuzione al M. per la parte musicale e a G.A. Moniglia del libretto dell’opera Scipione in Cartagine, allestito l’anno seguente.
Contemporaneamente il M. collaborò con gli Immobili alla Pergola, componendo l’opera inaugurale di questo teatro: il dramma «civile rusticale» Il podestà di Colognole, su libretto di Moniglia (ediz. moderna a cura di J. Leve, Middleton, WI, 2005), rappresentato nel carnevale 1657 (nel 1661 fu ripreso al teatro del Cocomero). Seguirono altre quattro opere, sempre su libretti di Moniglia: Il pazzo per forza (carnevale 1658), Il vecchio balordo (carnevale 1659; poi replicata con il titolo Il vecchio burlato), l’Ercole in Tebe (facsimile a cura di H.M. Brown, New York - Londra 1978) e Amor vuol inganno. L’Ercole in Tebe andò in scena, con un allestimento di straordinario impegno scenico e macchinistico, l’8 giugno 1661 nell’ambito dei festeggiamenti per il matrimonio del principe Cosimo de’ Medici con Margherita Luisa d’Orléans. Amor vuol inganno fu composta per il carnevale 1663, ma non arrivò alla rappresentazione per la sopravvenuta morte del cardinale Giovan Carlo de’ Medici il 22 genn. 1663. L’opera fu ripresa soltanto nel 1680 quando, col titolo La vedova, ovvero Amor vuol inganno, fu messa in scena nel giardino del marchese Bartolomeo Corsini a Firenze.
Oltre che cantante, organista e maestro di cappella il M. fu anche insegnante di musica e canto. Della sua attività di didatta rimangono però pochissime testimonianze. Si sa, per esempio, che nella primavera del 1657 inviò a Ferrara al marchese Cornelio Bentivoglio il musico castrato Angelo Gabriele Battistini, dopo averlo opportunamente preparato. Nel settembre 1661 l’abate Giovanni Bentivoglio scrisse da Parigi che il re voleva un castrato, appena esibitosi nell’opera messa in scena a Firenze, che il cardinale de’ Medici faceva studiare presso il Melani. Al di là della scarsità di notizie, è comunque verosimile che l’attività didattica abbia occupato uno spazio non irrilevante della sua vita professionale.
Non è noto per quanto tempo il M. abbia proseguito la carriera di cantante; tuttavia se ne hanno testimonianze sicure sino alla prima metà degli anni Sessanta, quando già si era affermato come compositore. Nel 1658 l’abate Vittorio Grimani Calergi lo fece richiedere per il proprio teatro al cardinale de’ Medici, che lo voleva in qualità di compositore, specificando, tuttavia, che avrebbe dovuto anche esibirsi come interprete dell’opera.
Negli anni seguenti il M. fu chiamato più volte a Ferrara dai Bentivoglio, per cantare in occasione della festa della Pentecoste organizzata dall’Accademia dello Spirito Santo, sodalizio che era sotto la protezione di questa famiglia. Per svariati motivi il M. non accettò quasi mai l’invito: nel 1659 non poté perché impegnato nella villa medicea di Poggio a Caiano in una commedia fatta allestire dal cardinale Giovan Carlo. L’anno successivo era invece indisposto, tanto che non poté recitare neppure nell’opera messa in scena dal cardinale de’ Medici. Solo nel 1664, dopo la morte del cardinale suo protettore, Ippolito Bentivoglio riuscì finalmente a ottenerlo, grazie all’intercessione della madre presso il granduca di Toscana e il principe Leopoldo.
Nonostante il costante patrocinio dei Medici, in particolare del cardinale Giovan Carlo, il M. compare nei ruoli della corte fiorentina come musicista soltanto a partire dal 30 ott. 1667, con una riconferma il 10 ott. 1670. Stando a quanto emerge dai documenti, alla posizione non corrispondeva però il pagamento di uno stipendio fisso; nel libro dei salariati della corte mancano infatti registrazioni di regolari emolumenti a suo carico.
In occasione dell’elezione al soglio pontificio del pistoiese Giulio Rospigliosi, papa Clemente IX, il 20 giugno 1667, il M. si recò a Roma, dove già risiedeva il fratello Atto e dove poco dopo giunse anche l’altro fratello Alessandro.
È da connettere a questa circostanza una supplica non datata nella quale egli dichiarò di voler lasciare il servizio di maestro di cappella e insegnante presso la cattedrale di Pistoia, chiedendo di nominare suo successore il fratello Alessandro. Il M. dichiarava che per motivi di salute non era più in grado di ricoprire l’incarico, ma non è chiaro se l’indisposizione fosse reale o costituisse soltanto un pretesto. È un dato di fatto comunque che lasciò il servizio (l’ultimo pagamento è registrato al 30 giugno 1667) e si trasferì a Roma.
L’unica sua opera conosciuta del periodo romano è Il Girello su libretto di Filippo Acciaiuoli, rappresentato a palazzo Colonna in Borgo durante il carnevale 1668, con un prologo su versi di Giovan Filippo Apolloni messi in musica da Alessandro Stradella. L’opera riscosse un notevole successo e negli anni successivi fu replicata in molte città italiane.
Nel 1669 e nel 1670 il M. compose ancora due opere rappresentate a Pisa nel palazzo de’ Medici: Enea in Italia e Il ritorno di Ulisse, entrambe su libretti di Moniglia; a quest’ultimo si deve anche il libretto dell’ultima opera del M. di cui si abbia notizia, Tacere et amare, messa in scena a Firenze durante il carnevale 1674, nel teatro del Cocomero, dagli accademici Infuocati. In quegli anni risultano due pagamenti al M. per il suo servizio come organista della cattedrale di Pistoia, il primo nel luglio 1673 e l’altro nel 1676, pochi mesi prima della morte.
Il M. morì a Pistoia il 18 ag. 1676.
Le sue musiche furono ereditate dai padri della Congregazione del Chiodo della sua città. Una clausola testamentaria ne consentiva la vendita, con l’esclusione di quelle necessarie al servizio della chiesa. È dunque probabile che di questo lascito facessero parte anche composizioni sacre del M., delle quali al momento non resta traccia. Nel settembre del 1676 al marchese Ippolito Bentivoglio, che chiedeva informazioni sulla possibilità di acquistare il clavicembalo e le musiche del M. (in particolare le commedie in musica), il fratello Bartolomeo rispose che le opere migliori erano state già acquistate dal granduca di Toscana, mentre le altre, ancora nelle mani dei padri del Chiodo, erano disponibili. È dunque probabile che gli autografi delle composizioni teatrali del M. siano stati divisi, subito dopo la sua morte, tra Firenze e Ferrara.
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