IACOPONE da Todi (Iacobus de Tuderto)
Poeta francescano, nacque. a Todi circa il 1230 dalla nobile famiglia dei Benedetti. Della sua vita poco o nulla sappiamo. Scarso valore storico hanno gli elementi biografici che un tardo frate minore, probabilmente Iacopo Oddi, morto nel 1488, trasfuse nella cronaca La Franceschina, desumendoli in parte dalla Chronica XXIV generalium (1374) o dal Catalogus sanctorum Fratrum Minorum (1335 circa) o dal Liber conformitatum di Bartolomeo da Pisa (1385) e rielaborandoli con materiali leggendarî insieme con una grossolana interpretazione delle sue laudi spirituali. Pare studiasse leggi a Bologna ed esercitasse in patria la professione di procuratore legale. Verso il 1268 sposò una gentildonna cui la leggenda dà il nome di Vanna, figlia di Bernardino conte di Collemedio. La tragica morte di lei, avvenuta poco dopo durante una festa, operò un'improvvisa conversione del marito, che vestì l'abito terziario francescano e si diede, per dieci anni, a dolorose prove di mortificazione e di penitenza (Laude LV, 62-67). Entrato quindi nell'ordine dei frati minori a Todi (1279 circa), I. si schierò contro i conventuali a favore degli spirituali per la stretta osservanza della regola di San Francesco. A quanto testimonia Angelo Clareno nella Chronica septem tribulationum (1323), egli fece parte della deputazione inviata a papa Celestino V (Laude LIV), nel 1294, perché agli spirituali fossero accordati privilegi e una certa autonomia nell'ordine. Le concessioni allora ottenute vennero abrogate da papa Bonifazio VIII, contro il quale, a Lunghezza (10 maggio 1297), I. firmò il famoso manifesto di opposizione insieme coi cardinali Iacopo e Pietro Colonna, protettori degli spirituali. Ma Palestrina (Laude LV, 2), la fortezza dei Colonna, fu occupata dalle milizie papali (1298), e I. dovette scontare nella prigione di Castel San Pietro la sua ribellione al pontefice (Laude LV), che lo escluse dall'indulgenza giubilare del 1300 con bolla speciale contro i Colonna e i loro partigiani (Laudi LVI, LVII). Dopo la morte di Bonifazio (11 ottobre 1303), che parve a I. una punizione divina (Laude LVIII), egli fu liberato, e trascorse gli ultimi anni a Pantanelli e quindi a Collazzone, fra Perugia e Todi, dove morì, nel convento di San Lorenzo tenuto dalle Clarisse, il 25 dicembre 1306.
I. è il mistico che diede alla poesia italiana le note più acute di un'esperienza religiosa vissuta nelle sue accese esaltazioni, nei suoi prorompenti entusiasmi e nelle sue tormentose nostalgie del divino. Le sue laudi costituiscono la storia di un'anima che dal ricordo e dalla meditazione del peccato e della miseria umana, attraverso l'ascesi, con uno sforzo continuo per affermarsi sulla natura che la limita e la chiude in un cerchio di dolore, attinge, col lume della grazia, le vette della sua eterna spirituale essenza, operando beata secondo la volontà di Dio. La dottrina che sostiene questa esperienza è, senza esatta corrispondenza di gradi, quella desunta dalla tradizione mistica dei Vittorini e di san Bonaventura: la restaurazione delle facoltà dell'anima in un'ordinata gerarchia delle sue potenze secondo un principio divino, per cui essa con umiltà, castità e povertà ritrova la via per salire a Dio, ne scopre l'immagine in sé stessa, si conforma a lui con vigile perseveranza e si dispone, con la vittoria delle virtù cardinali sui vizî e con l'infusione delle virtù teologali, al gaudio dell'unione immediata (Laudi LXIX, LXXXVIII). Ma la dottrina è la forma razionale di un'esperienza che rivela il dramma di un'anima che si ripiega su sé stessa sentendo urgenti le insidie della terra: immagini di piaceri e di diletti che ritornano con insistenza e contro le quali si sfrena l'ira, l'ironia e il sarcasmo. Ne scaturisce una poesia didascalica e morale le cui forme sono il crudo realismo che, negato spiritualmente, si afferma in rappresentazioni concrete, scabre e discordanti. Quindi i toni cupi della sua lirica; le formule esagerate del sentimento; l'odio a tutti gli affetti terreni, dissennato nelle sue negazioni. Quando poi dall'esperienza ascetica il poeta passa all'esperienza mistica, ardore di carità in cui rifulgono le scintille dell'amore divino, la lirica si fa espressione degli slanci dell'anima per conquistare sé stessa: ansia del sentimento che sta di là dalla concretezza della parola: esclamazioni, invocazioni, periodi rifranti, cioè l'alogico che tenta di esprimere l'ineffabile (Laude XC). Come in tutti i mistici affettivi, anche in I. l'espressione d'amore ha il colore del tempo e s'attiene agli atteggiamenti, alle movenze e alle forme dell'amore profano, quello della lirica provenzale, trasposto e affinato entro un'ardente atmosfera religiosa che lo protende verso il puro sentimento e lo fa grido che misura le profondità dei silenzî contemplativi in cui l'anima si è obliata adorando.
Ediz.: Laude di frate I. da T., impresse da ser Francesco Bonaccorsi, Firenze 1490. Questa edizione, considerata come l'editio princeps, è stata ripubblicata da G. Ferri, Bari 1915; 2ª ed., riveduta da S. Caramella, ivi 1930; per le altre edizioni si veda a p. 257 segg. Le satire di I. da T. a cura di B. Brugnoli, Firenze 1914.
Bibl.: A. D'Ancona, I. da T. il giullare di Dio del sec. XIII, Todi 1914; F. Novati, Freschi e minii del Dugento, Milano 1925, p. 198 segg.; A. Gottardi, L'albero spirituale in I. da Todi, in Rass. critica della lett. ital., XX (1915); E. Underhill, I. da T. Poet and Mystic, Londra e Toronto 1919; M. Casella, I. da T., in Archivum Romanicum, IV (1920), pp. 281 segg., 429 segg.; N. Sapegno, Frate I., Torino 1926.