Vedi IALISO dell'anno: 1961 - 1961 - 1995
IALISO
(᾿Ιαλυσοᾒς, ᾿Ιαᾒλυσος, Ialysus). - Città nell'isola di Rodi.
La leggenda attribuisce la fondazione della città all'eroe eponimo I., fratello di Lindo e Camiro, figlio di Kerkaphos e Kydippe (Kyrbia), e nipote di Helios (Pind., Ol, vii, 74; Diod., v, 57, 8; Strab., xiv, 654; Steph. Byz., s. v. Kamiros e Lindos). Ma si fanno anche i nomi di altri due fondatori, il fenicio Phalanthos e il greco Iphikles: quest'ultimo avrebbe vinto e cacciato dall'acropoli i Fenici. Il nome di I. sembra di origine orientale, semitica, forse fenicia, sicuramente pre-greca. Fatto è che come primi abitatori del luogo si ricordano i Fenici, subito destituiti dagli Achei e questi a loro volta dai Dori. In età storica I. fu retta da dinastie di tiranni, i Diagoridi e gli Eratidi, tra cui spiccano le figure di Diagora e di Damageto. La città partecipò alla lega delio-attica; durante la guerra del Peloponneso, sotto un Diagora, discendente da una delle due grandi famiglie citate, fece parte della pentapolis (o exapolis), con alcune città dell'Asia Minore. Nel 408 (o 402), avvenuto il sinecismo con Camiro e Lindo, e la conseguente fondazione di Rodi, dovette perdere molta della sua importanza e forse parte del suo territorio (Tucid., viii, 44; Diod., xiii, 75; Strab., xiv, 654-5; Plin., Nat. hist., v, 31, 132).
Il più antico insediamento di I. è stato identificato a circa 15 km a S-O di Rodi sul Monte Fileremo (anticamente chiamato Achaia od Ochyroma), ma il territorio archeologico comprende anche le propaggini del monte e la sottostante pianura di Trianda, fino alla baia di Schedia. Per primi descrissero la località A. Salzmann e G. Biliotti (1868-1871). Seguirono alcune ricerche occasionali nella necropoli arcaica; fino a quando la Missione Archeologica Italiana non intraprese nel 1914 e vi continuò le sue ricerche saltuarie, ma sistematiche.
Acropoli, tempio e fontana. − All'estremità N di una larga spianata sul Monte Fileremo è stata identificata l'acropoli di Ialiso. Il tempio e il santuario di Atena erano rimasti sotto le fondazioni bizantine e medievali di un bastione fortificato, rifatto e ingrandito nei secoli XIV-XV dai Cavalieri. Qualche cenno se ne aveva dai viaggiatori del secolo scorso e L. Pernier aveva richiamato l'attenzione sulla traccia appena visibile di un muro in tecnica pseudoisodoma. Negli anni 1914 e 1923, la Missione Italiana scavò ed isolò l'intera pianta di un tempio dorico tetrastilo anfiprostilo, con probabili resti di colonnato all'interno della cella, che nella sua ultima fase appare del III-II sec. a. C.; la datazione è confermata da iscrizioni dedicatorie ad Atena Poliòs e Zeus Polièus. Un rozzo pavimento di lastroni ineguali, tagliato posteriormente dalla base per la statua di culto, testimonia una fase più antica; e tracce di un culto anellenico all'aperto sembrano alcuni pozzetti artificiali sottostanti la platea di fondazione dell'attuale tempio. Sul lato O di questo fu anche scoperta una stipe votiva ricca di vario materiale minuto databile tra il IX ed ilV sec. a. C. (dalla ceramica geometrica a statuette fittili votive del V-IV sec. a. C.; su alcune centinaia di frammenti di vasi del V sec. sono graffite iscrizioni dedicatorie ad Atena Poliòs; testimonianza certa che il luogo di culto era in auge circa due secoli prima dell'ultima ricostruzione del tempio).
Sotto lo sperone S dell'acropoli, adoperata e trasformata in periodo medievale e ricoperta in seguito da una frana che la nascose ai viaggiatori dell'800, è la nota fontana di I., rinvenuta nel 1923. Essa ha pianta rettangolare: la parete di fondo è in opera isodomica e si appoggia alla roccia, l'acqua fuorusciva da due protomi leonine (due altre erano decorative), il bacino di raccolta era chiuso sul davanti da 6 pilastri architravati, collegati con lastroni a mo' di parapetto, decorati con protomi leonine di cui tre sole funzionali. Il prospetto era costituito da un portichetto di 6 colonne doriche, in asse con i pilastri retrostanti, e allineate con due ante. L'insieme sosteneva l'architrave, il fregio dorico e la cornice. La costruzione può essere datata al IV sec. a. C.
Necropoli e abitazioni. − Il sito archeologico di I. è noto soprattutto per le sue ricche e interessanti necropoli di epoca micenea, geometrica e arcaica. Le campagne di scavo effettuate dal 1914 al 1928, saltuariamente, nelle necropoli micenee in località Macrà Vunàra e Moschu Vunàra, hanno portato alla scoperta di più di 120 tombe a dròmos, il cui materiale ceramico rientra nelle ultime fasi dello stile miceneo (1425-1100 circa a. C.). Dal 1916 al 1928 sono state esplorate le necropoli geometriche e arcaiche. In particolare, lo scavo sistematico eseguito vicino e dentro il villaggio di Cremastò e in località Marmaro e Dafnì, ha rivelato ben 341 sepolcri di vario tipo, con prevalenza delle aree a cremazione e delle tombe "a cassa"; i reperti si dispongono cronologicamente dalla fine dell'VIII agli inizi del V sec. a. C. Nel 1934 furono esplorati altri sepolcreti a Dafnì e Marmaro, nonchè quelli di S. Giorgio e Annuachia, che, nel complesso, resero materiali databili tra il VII e il V sec. a. C.
Negli anni seguenti (1935-36), si intrapresero gli scavi nell'abitato miceneo di I., nella pianura vicino Trianda, e vennero alla luce alcune case, delle quali si è potuta stabilire la planimetria e le modifiche subite nel corso dei secoli: da una prima fase di costruzione più ampia e accurata, all'ultima meno rifinita. I materiali rinvenuti nei tre strati riconoscibili vennero riferiti dagli scavatori alle ultime fasi del periodo miceneo; dal Furumark, invece, che ha rielaborato tali reperti, ai primi tre periodi dello stile miceneo, con stretti addentellati con la tarda civiltà minoica (Miceneo 1-Miceneo iii A 1 = Tardo Minoico 1 A-Tardo Minoico iii A 1; 1550-1410 a. C. circa).
Tempio e teatro di Apollo Eretimio. − Nell'agro ialisio, a S-O del Monte Fileremo, tra le località di Tholos, Villanova e Soroni, è stato rinvenuto un tempietto dorico in antis dedicato ad Apollo Eretimio (ricostruibile anche come dorico prostilo), forse eretto dopo il sinecismo delle tre stirpi rodie; la datazione cade alla fine del V sec. a. C. Alla stessa divinità era pure dedicato un teatro di cui restano scarsi avanzi della cavea; la cronologia oscilla intorno al IV sec. a. C.
Bibl.: In generale: Enciclopedia Italiana, XVIII, 1933, p. 649, s. v.; A. Momigliano-G. Iacopi, ibid., XXIX, 1936, p. 552 ss., s. v. Rodi; Bürchner, in Pauly-Wissowa, IX, 1914, cc. 629 ss., s. v., n. 3; Ch. J. Karouzos, Rodi, Atene 1949, p. 112 ss. (in greco); R. Matton, Rhodes, Atene 1954, p. 17 ss.; E. Kirsten-W. Kraiker, Griechenlandkunde, Heidelberg 1955, pp. 372-3. Per l'acropoli, il tempio e la fontana: A. Maiuri-G. Iacopi, in Clara Rhodos, I, 1928, p. 72 ss.; B. Dunkley, in Ann. Br. School Athens, XXXVI, 1935-36, pp. 183-4, figg. 15-16; L. Talcott, in Archaeology, I, 1948, p. 135. Per le necropoli: cfr. le relazioni di A. Maiuri, G. Iacopi, L. Laurenzi, in Clara Rhodos, I, 1928, p. 56 ss.; III, 1929, p. 7 ss.; VIII, 1936, p. 7 ss. Inoltre B. Pace, Ricerche nel terr. di I. (Ricogn. Arch. nelle Sporadi, III), Atene 1913; A. Maiuri, in Ann. Atene, III, 1916-20 (1921), p. 252 ss.; id., ibid., VI-VII, 1923-24 (1926), p. 83 ss.; G. Iacopi, in Ann. Atene, XIII-XIV, 1930-31 (1933), p. 253 ss.; L. Laurenzi, in Mem. Ist. Fert, II, 1938, p. 49 ss.; id., in Ill. Ital., LXII, 1935, n. 2, pp. 48-49; M. Cagiano de Azevedo, in Clara Rhodos, X, 1941, p. 185 ss.; A. Furumark, Mycenaean Pottery, Stoccolma 1941: Analisis a. Classification, pp. 456, 553, 566, 573,648; The Chronology, pp. 42,53, 58-59, 63-64, 67, 74, 99; F. Martz, Die Aegaeis (Handb. d. Arch), Monaco 1950, pp. 275, 291, 297, nota 1; D. Feytmans, in Bull. Corr. Hell., LXXIV, 1950, p. 135 ss.; W. Schiering, Werkstätten orient. Keramik auf Rhodos, Berlino 1957, p. 10. Per le abitazioni: G. Monaco, in Mem. Ist. Fert, III, 1938, p. 57 ss.; id., in Clara Rhodos, X, 1941, p. 41 ss.; id., in Bull. Palet. Ital., N. S., V-VI, 1941-1942, p. 217 ss.; A. Furumark, in Op. Arch., VI, 1950, p. 150 ss. Per il tempio e il teatro di Apollo Eretimio: G. Iacopi, in Clara Rhodos, II, 1932, p. 77 ss.