iato
Con il termine iato (lat. hiatus «apertura») si intende una sequenza di due vocali eterosillabiche, in cui cioè ciascuna delle due vocali mantiene il valore di nucleo sillabico (➔ sillaba): appare iato, ad es., in faina, follìa, baule, poeta, beone, semiaperto, coesione.
Lo iato è tradizionalmente considerato il contrario del ➔ dittongo, in cui invece le vocali appartengono alla stessa sillaba (ad es., piede, guanto, zaino, Europa). Sia i dittonghi che gli iati sono considerati strutture fonetiche dotate di un alto grado di marcatezza, dal momento che vìolano l’ideale alternanza tra gesti vocalici e consonantici nella catena fonica (cfr. Marotta 1987; ➔ fonetica).
Gli iati ricorrono con una frequenza relativamente bassa nel lessico italiano, come pure nei corpora di italiano parlato (cfr. Chiari 2002: 221); inoltre, delle molte combinazioni vocaliche teoricamente possibili, soltanto una decina sono attestate con una certa frequenza: per es., ciao, paese, mio, tuo, ecc. Nel parlato, la ricorrenza di iato fonetico aumenta se si passa dalla parola al sintagma o all’enunciato, a causa della struttura fonotattica dell’italiano (➔ fonetica sintattica; ➔ parola italiana, struttura della), che prevede vocali finali di parola, cui possono seguire vocali iniziali in parole funzionali, per es., articoli (il, un, una) o di altra categoria lessicale (verbi, nomi, ecc.).
Diamo qui qualche esempio per illustrare la rilevanza statistica del fenomeno: sento una grande anima in te; vedete anche ampi cieli azzurri. In questi casi, tuttavia, si parlerà di incontri vocalici a confine di parola, e l’ambito di analisi sarà di pertinenza della fonetica sintattica.
Nella metrica poetica (➔ metrica e lingua), per indicare lo iato si usa il termine dieresi (Beltrami 20024), che si applica sia a parole che nell’uso letterario ammettono la doppia sillabazione (visione / visïone, ubbidiente / ubbidïente), sia a parole che nell’uso comune presentano dittongo (grazïa per grazia).
In italiano, data una sequenza vocalica, non sempre risulta semplice discriminare tra iato e dittongo. L’ambiguità riguarda in modo particolare i dittonghi discendenti, dal momento che le ➔ semivocali (ma non le semiconsonanti) hanno caratteristiche sia articolatorie che acustiche assai simili alle vocali vere e proprie. Vi sono tuttavia alcuni criteri di carattere generale che guidano in maniera solidale la percezione del parlante e la classificazione del linguista.
Un primo criterio consiste nel considerare il grado di apertura delle ➔ vocali contigue: dal momento che la tendenza a perdere il valore sillabico di un segmento vocalico è direttamente proporzionale alla sua altezza, e quindi inversamente proporzionale alla sua apertura e alla sua durata intrinseca (cfr. Maddieson 1984; Mioni 2001), nei casi di combinazioni vocaliche in cui nessuno dei due segmenti sia /i/ o /u/, si può assumere che, in condizioni di eloquio normale (v. oltre per ulteriori differenze), si tratti di iato e non di dittongo.
Un secondo criterio è la presenza di accento: se la vocale alta che ricorre nella sequenza fonetica è tonica, l’accento garantisce il mantenimento dello statuto sillabico della vocale stessa. Pertanto, avremo iato in parole come ìo, vìa, zìo, zìa, mìo, tùa, tùo, sùo, bùe, come in follìa, baùle. Il potere di conservare lo statuto sillabico della vocale esercitato dall’accento sembra mantenersi anche nelle parole derivate, dal momento che, ad es., in viale, bauletto, zione («grande zio») viene di norma mantenuto lo iato; d’altra parte, in altri casi, specialmente in parole funzionali e in condizioni di elevata velocità di elocuzione, è possibile la riconversione di uno iato in dittongo: il mìo cane, la tùa gatta, ma i m[j]èi cani, i t[w]òi gatti.
Un terzo parametro concerne la combinazione tra la consonante precedente e il primo segmento della sequenza vocalica: con le liquide, in particolare nelle combinazioni [lu + V], [ri + V], le vocali alte tendono a mantenere il proprio statuto sillabico: pertanto, si ha iato in lessemi come Luana, Luigi, Luisa, liana, rione, settentrione, Friuli, friulano, Trieste, triestino.
Un ulteriore criterio di distinzione riguarda la struttura morfologica della parola: se c’è un confine morfologico è infatti preferito lo iato sul dittongo (cfr. Gili Fivela & Bertinetto 1999): biennio, semiaperto, antiallergico, idroelettrico. Anche la notorietà della parola costituisce un parametro rilevante: in caso di parole di uso comune, lo iato originario può facilmente diventare dittongo; per es., straordinario, video, viaggio.
Dal momento che la durata è il parametro acustico e percettivo principale per discriminare tra dittongo e iato, come per distinguere le semiconsonanti dalle semivocali (cfr. Salza 1988), gioca un ruolo importante anche la velocità d’eloquio: a velocità sostenuta, la lunghezza segmentale diminuisce e pertanto gli iati vengono facilmente convertiti in dittonghi. Così, le vocali alte anteriori di viale, vialetto, triestino, ambiguo possono trasformarsi nei loro allofoni asillabici [j w].
Analogamente, nell’ambito dell’enunciato, gli incontri vocalici a confine di parola, assai frequenti a causa della struttura fonotattica e morfosintattica dell’italiano, pur costituendo in linea di principio iati, possono divenire dittonghi nella catena fonica, specialmente a velocità di elocuzione elevata.
Un ultimo fattore è la posizione della parola nel sintagma e nell’enunciato: dato il fisiologico allungamento segmentale che si verifica alla fine di un’unità sintattica o pragmatica, una stessa parola può presentare iato oppure dittongo a seconda della sua collocazione; si confronti il contrasto tra poi veniamo, non l’ho mai visto, con dittongo, e veniamo poi, non l’ho visto mai, con iato (cfr. Marotta 1987).
Beltrami, Pietro G. (20024), La metrica italiana, Bologna, il Mulino (1a ed. 1991).
Chiari, Isabella (2002), Ridondanza e linguaggio. Un principio costitutivo delle lingue, prefazione di T. De Mauro, Roma, Carocci.
Gili Fivela, Barbara & Bertinetto, Pier Marco (1999), Incontri vocalici tra prefisso e radice (iato o dittongo?), «Archivio glottologico italiano» 84, pp. 129-172.
Maddieson, Ian (1984), Patterns of sounds, Cambridge, Cambridge University press.
Marotta, Giovanna (1987), Dittongo e iato in italiano: analisi fonetico-fonologica per una difficile discriminazione, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa» s. 3a, 17, pp. 847-887.
Mioni, Alberto M. (2001), Elementi di fonetica, Padova, Unipress.
Salza, Pier Luigi (1988), Duration of Italian diphthongs and vowel clusters, «Language and speech» 31, pp. 97-113.