IBĀḌITI (in arabo Ibāḍiyyah, dialettalmente nell'Africa settentrionale Abāḍiyyah)
Appartenenti ad una setta musulmana eretica, la quale è un ramo moderato, ed unico sopravvissuto sino ad oggi, dei Khārigiti (v.) e prende il suo nome da ‛Abd Allāh ibn Ibāḍ al-Murrīat-Tamīnī, che fiorì nella Mesopotamia nella seconda metà del sec. I dell'ègira, VII-VIII d. C. Spesso aggiungono alla qualifica di Ibāḍiti l'altra di Wahbiti, in contrapposto alla suddivisione dei Nakkāriti (sorta nel X secolo e ancor oggi esistente nell'isola di Gerbah e a Zuara) e per attestare la continuità delle loro idee con quelle di 'Abd Allāh ibn Wahb ar-Rāsibī, capo dei Khārigiti caduto nella terribile rotta a loro inflitta dalle truppe del califfo 'Alīad an-Nahrawān (Mesopotamia orientale, alle falde del monte Zagros) nel 38 èg., 658 d. C. La prima rivolta ibādita alle autorità statali ebbe luogo, ma con successo di brevissima durata, nel 129 èg., 746-747 d. C., nel Hadramawt, Yemen e Higiāz; la seconda invece, nel 134 èg., 751-752, portò al-Giulandà alla conquista dell'‛Omān, che, attraverso varie dinastie, rimase ibādita per sempre e portò l'ibādismo nella classe dominante dello Zanzibar nel terzo decennio del sec. XIX. D'altra parte, nella prima metà del sec. II dell'ègira gl'Ibāditi penetravano nell'Africa settentrionale parallelamente all'altra setta khārigita (ma questa estremista) dei Sufriti, e riuscivano a fondare colà alcuni stati: nel Marocco di sud-est a Sigilmāsah (gruppo delle odierne oasi del Tāfílālt, dinastia dei Midrāridi, 155-366 èg., 772-976/977, dapprima ṣufrita, ma da circa il 270 èg., 883-884, passata all'ibādismo), nell'Algeria centrale, con capitale Tāhart la nuova, a 9 km. ovest-sud-ovest dell'attuale Tiaret (dinastia dei Rustamidi, 160-296 èg., 776/777-909 d. C.) e nella Tripolitania sul Gebel Nafūsah (serie di imām 140-311 èg., 757/758-923/924 d. C.). Attualmente gl'Ibāditi formano gran parte della popolazione delle oasi del Mzāb in Algeria, dell'isola di Gerbah appartenente alla Tunisia, di Zuara (Zuwārah) e del Gebel Nafūsah nella Tripolitania, dell'Omān e della classe dominante nello Zanzibar. È notevole il fatto che gli Ibāditi dell'Africa settentrionale, pur usando l'arabo nello scrivere, adoperano dialetti berberi nella loro conversazione, malgrado siano cinti da popolazioni da molti secoli completamente arabizzate.
In dogmatica gl'Ibāḍiti accolsero la maggior parte delle dottrine dei Mu‛taziliti (su ciò v. C. A. Nallino, in Riv. studi orientali, VII, 1916, pp. 455-460), respingendone soltanto due, ossia il completo libero arbitrio dell'uomo (e in ciò concordano con la dottrina ortodossa) e la qualifica intermedia di fāsiq (dissoluto) per i colpevoli di grandi peccati (secondo gl'Ibāditi essi sono infedeli fuori dell'islamismo, secondo i sunniti od ortodossi non perdono la loro qualità di musulmani, secondo i mu‛taziliti non sono né musulmani né infedeli). Perciò oltre che in quest'ultimo punto, il quale nelle comunità ibāḍite fa mettere al bando (tabri'ah) i rei di peccati mortali, le credenze ibāḍite comprendono le seguenti in contrasto con la dogmatica sunnita: gli attributi (ṣifāt) di Dio non sono nulla di diverso dalla sua essenza; le espressioni d'apparenza antropomorfista contenute nel Corano a proposito di Dio sono da ritenersi metafore; Dio non sarà visibile ai beati nel paradiso; le pene infernali saranno eterne anche per i musulmani colpevoli di peccati mortali dei quali non si siano pentiti prima di morire; il Corano è creato. Nel campo politico divergono dai Sunniti nel ritenere che l'imām o capo dello stato musulmano possa essere scelto fra qualsiasi musulmano probo (quindi anche se non sia di origine quraishita, v. califfo, VIII, p. 413) e che debba essere deposto quando cada in gravi colpe materiali o morali. Il principio suddetto della tabri'ah e quindi la rigorosa applicazione del principio musulmano di "comandare il bene e vietare il male" a proposito dei correligionarî, dànno alle comunità ibāḍite un carattere austero. Rifuggono dalla mistica e quindi non hanno le confraternite religiose su essa fondate.
Il governo francese in Algeria sottopone gl'Ibāḍiti ai loro qāḍī o giudici nello Mzāb e al giudizio dei tribunali francesi (ma applicando il loro statuto personale) nel resto del paese. Nella Tripolitania essi hanno i qāḍī loro proprî nel Gebel Nafāsah, mentre nel tribunale supremo sciaraitico (specie di corte d'appello musulmana), di recente istituzione a Tripoli, con strano provvedimento si fanno giudicare in appello le cause fra Ibāḍiti da un collegio sunnita comprendente nel suo seno un ibāḍita.
Bibl.: Indicazioni bibliografiche si trovano alle voci Abāḍites e ibāḍīyah in Encyclopédie de l'Islām, I (1908), pp. 3-4 e II (1916), p. 372. Per le credenze: A. de C. Motylinski, L'‛aqida des Abadhites, in Recueil de Mémoires et de textes en l'honneur du XVIe Congrès des orientalistes, Algeri 1905, pp. 505-545; E. Sachau, in Mitteil. d. Seminrs f. oriental. Sprachen zu Berlin, II, ii (1899), pp. 47-82. Per il diritto: E. Zeys, Législation mozabite, Algeri 1886 (prolusione universitaria); E. Zeys, Droit mozabite, Algeri 1891 (solo la parte concernente il matrimonio); A. Imbert, Le droit abadhite chez les musulmans de Zanzibar et de l'Afrique orientale, Algeri 1903 (elementare); Ed. Sachau, Muhammedanisches Erbrecht nach der Lehre der ibaditischen Araber vom Zanzibar und Ostafrika, Berlino (Akad.) 1894 (trad. ital. di I. Guidi, in Rivista coloniale, giugno-luglio 1906); M. Mercier, Étude sur le waqf abadhite et ses applications au Mzab, Algeri 1927 (cfr. Z. Smogorzewski, in Rocznik orjentalistyczny, VI, Lwów 1929, 243-258). Per il diritto consuetudinario: M. Morand, Études de droit musulman algérien, Algeri 1910, pp. 418-453 (Les kanouns du Mzab).