Ice
(USA 1969, 1970, bianco e nero, 132m); regia: Robert Kramer; produzione: David C. Stone per Monument Film/American Film Institute; sceneggiatura: Robert Kramer; fotografia: Robert Machover; montaggio: Robert Machover, Norman Fruchter.
New York, futuro imprecisato ma non troppo lontano. Spezzoni di film militanti girati da un immaginario Comitato Nazionale delle Organizzazioni Rivoluzionarie, un gruppo di giovani terroristi che vorrebbe uscire allo scoperto, abbandonando la clandestinità e promuovendo azioni di guerriglia urbana, la cosiddetta "offensiva primavera". Una voce fuori campo illustra la storia dell'imperialismo americano ‒ in Messico il Fronte di Liberazione sta già combattendo alla frontiera con gli Stati Uniti ‒ e gli obiettivi perseguiti dal gruppo: alleanza strategica tra rivoluzionari bianchi e neri, attualmente divisi da diffidenze e incomprensioni; addestramento militare delle nuove reclute; tecniche di elusione dei servizi segreti; identificazione di nuovi soggetti rivoluzionari. Alternata alle proiezioni, si sviluppa la discussione sui filmati: un dibattito teso che rivela come il nucleo ‒ non più di una dozzina di giovani, tra ragazzi e ragazze ‒ sia attraversato da mille lacerazioni e contraddizioni, private e politiche; un groviglio di dubbi e paure che il leader del gruppo, Ted, non riesce minimamente a sciogliere, vittima come tutti del clima di confusione e di esasperazione ideologica. Finché non scatta l'offensiva: distribuzione di giornali sovversivi, incendio di una raffineria a Port Arthur, sabotaggio delle linee elettriche e delle stazioni radiotelevisive, assalto alle prigioni. Ted viene eliminato dalla polizia. Lo sostituisce il più ortodosso del gruppo, Jim, che da una cabina telefonica dà istruzioni a un compagno su come coordinare la battaglia decisiva.
Terzo lungometraggio del regista, dopo In the Coun-try (1967) e The Edge (1968), Ice porta a piena maturazione l'idea krameriana di un 'film nel film' che vada ben al di là della banale retorica dell'immagine che commenta se stessa. Il 'film nel film' di Robert Kramer è un lavoro complesso e stratificato sul farsi stesso del cinema inteso come inesauribile testimonianza visivo-sonora, in presa diretta, del vissuto individuale e collettivo (dove i due termini non sono necessariamente antitetici), frammento potenzialmente illimitato di un'esperienza totale, anche 'fisica', che si immedesima con lo stesso flusso vitale, con il magma stesso dell'esistenza: un lavoro che trova nel clima politico di fine anni Sessanta il proprio alimento ideale, tra le proteste studentesche per la guerra in Vietnam e la grande avventura politico-esistenziale del Movement. Girato nell'autunno del 1968 con lo stesso personale tecnico e umano del Newsreel ‒ la pratica collettiva di cinema militante nata nel 1967 e legata alla 'nuova sinistra' radicale ‒ Ice risente in modo particolare, a detta dell'autore, "dell'esperienza di Chicago nell'estate del 1968", quando, per la presenza della convention del Partito democratico, la città finisce in stato d'assedio e migliaia di dimostranti inermi vengono aggrediti, feriti e arrestati. Risente cioè di un'idea di cinema assoluto, nella quale confluiscono e si confondono le ragioni dell'arte e quelle del cuore, gli imperativi della tecnica ‒ in termini di tecnologie leggere e sperimentali ‒ e gli imperativi dell'autobiografia ‒ in termini di diario intimo e confessione corale.
Tutto appare sapientemente intrecciato, privato e politico, documento e finzione, e la tecnica ‒ calcolatissima nei tempi e nel montaggio ‒ dell'estrema frammentazione visiva intende tradurre, nel disegno dell'autore, il senso di lacerazione esistenziale e di dissidio ideologico che sta attraversando un'intera generazione. Perché quello di Kramer è sì un progetto d'intervento politico sulla realtà, ma è insieme, e forse in primo luogo, un progetto d'intervento estetico. La sua 'messa in scena' ‒ non dimentichiamo che Ice è una distopia relativa a un prossimo futuro, quindi una fiction, resa solo più verosimile dal fatto che questo futuro somiglia molto al presente in cui il film viene girato ‒ è, al di là dell'apparente spontaneismo, altamente formalizzata, sottoposta a quel rigoroso autocontrollo espressivo (il ghiaccio del titolo) che diventerà d'ora in poi la cifra espressiva del regista, sempre in bilico tra pulsione lirica e distacco formale. Ice è un'opera d'avanguardia (include anche le prove del gruppo teatrale Bread and Puppet) che usa le intenzioni documentarie del Newsreel per andare oltre, per essere cinema a tutti gli effetti, al di là del falso (per Kramer) dilemma fiction/non fiction. Tanto che, come tutte le opere di svolta, segna una frattura con il cinema militante tradizionale (l'esperienza del Newsreel si esaurirà di lì a poco) e diventa, con la sua opzione estetica, un catalizzatore di opzioni politiche ‒ nel senso che molti non si riconoscono nell'avventurismo documentato dal film e cercano altre strade. Ancora una conferma della doppia corrente che attraversa l'estetica 'visionaria' di Kramer: un'estetica che trae alimento dall'etica e contribuisce a trasformarla.
Interpreti e personaggi: attori anonimi di New York e Tom Griffin (Ted), Paul McIsaac (Jim), Robert Kramer (Robert), Howard Loeb Babeuf (Howard), il gruppo teatrale Bread and Puppet.
R. Kramer, Presentazione di 'Ice', seguita da Ice. Lista delle inquadrature, Pesaro 1970.
[G.] Mosk[owitz], Ice, in "Variety", May 6, 1970.
"Cahiers du cinéma" n. 225, novembre-décembre 1970, in partic. Débat: 'Ice' de Robert Kramer, (con interventi di J. Aumont, P. Bonitzer et al.), B. Eisenschitz, 'Ice' et les U.S.A.
R. Bassan, Un utopiste américain: Robert Kramer, in "CinémAction", n. 25, mars 1983.
R. Carney, Uno stile rivoluzionario: 'Ice' e 'Milestones', in Robert Kramer, a cura di R. Turigliatto, Torino 1997.