ICHIBOKU-ZUKURI
Il termine giapponese (letteralmente «fabbricazione con un solo legno») indica la tecnica di esecuzione o la struttura di una scultura lignea ricavata da un solo blocco, e si contrappone a yosegi-zukuri (letteralmente «fabbricazione in legni composti»), che designa il procedimento della composizione dell'immagine mediante più pezzi riuniti insieme, adottato a partire dall'XI secolo. Anteriormente, furono eseguite in i.-z. tutte le sculture buddhistiche giapponesi in legno la cui produzione secondo il Nikon Shoki risalirebbe già al VI sec., anche se i più antichi reperti documentati sono databili alla prima metà del VII secolo.
In realtà sono assai rare e per lo più inferiori alla grandezza naturale le sculture ricavate interamente da un unico blocco di legno, ma non mancano splendidi esempì di dimensioni non esigue come l'Avalokiteśvara «della salvezza universale» (Guze Kannon) dell'Hōryūji di Nara, alta 179 cm, composta di un unico blocco di legno che comprende anche le braccia, e il Bodhisattva Maitreya (Miroku Bosatsu) del Kōryūji di Kyoto, alto 144 cm, entrambi databili alla prima metà del VII sec.; datato alla fine del secolo è il Bhaisajyaguru ( Yakushi Nyorai) stante del Jingoji di Kyoto, alto 170 cm; esemplari che risalgono tra la fine dell'VIII e l'inizio del IX sec. sono rispettivamente l'Avalokitešvara «a undici teste» (Jūichimen Kannon) dell'Hōkkeji di Nara, alta 100 cm, e il Bodhisattva stante del museo di Boston, alto 178 cm. Generalmente il termine i.-z. si utilizza anche per tutte quelle immagini lignee di cui almeno testa e tronco facciano parte di un unico ceppo, anche se braccia e gambe, fianchi ed elementi del panneggio o della capigliatura sono stati aggiunti separatamente.
Le sculture dei secoli VII e Vili sono per lo più inj legno di canfora, come, p.es., la c.d. Avalokiteśvara di Paekche (Kudara Kannon) dell'Hōryūji di Nara, alta 209 cm, della prima metà del VII secolo. Tali immagini sono generalmente rivestite di un lieve strato di vernice, o di sottili fogli d'oro, che ricordano la precedente produzione di icone in bronzo dorato, iniziata in Giappone già alla fine del VI secolo. Ma la produzione della scultura in i.-z. non si limitò esclusivamente a soggetti del pantheon buddhistico, e comprese anche una copiosa ritrattistica di monaci, che dal periodo di Nara (710-794) si protrasse fino alla metà dell'XI secolo. Fra le immagini di religiosi, improntate a un manifesto realismo, si ricordano i ritratti di Dosen, databili al IX sec., che si conservano nell'Hōryūji di Nara (alt. 88 cm), di Gien, nell'Oka-dera di Asuka (alt. 90 cm) e di Gyōkyō, nel Jinnōji di Kyoto (alt. 73 cm); fra le più tarde si segnala l'immagine (alt. 92 cm), datata al 1019, del monaco Roben, conservata nel Tōdaiji di Nara.
Anche se la tecnica dell'i.-z. rimane sostanzialmente invariata, a partire dalla fine del VII sec., in seguito a nuovi influssi stilistici continentali, si comincia ad adottare materiale ligneo più duttile, come il mayumi (Euonymus alatus), e intorno alla metà dell'VIII sec. si diffonde l'impiego di legno più tenero di aghifogli come Yhinoki (Chamaecyparis obtusa) e il kaya (Torreya nucífera), che favorirono l'evoluzione tecnica dell’ichibokuzukuri.
La principale innovazione nel procedimento dell'i.-z. consistette nel rendere l'interno dell'immagine completamente cavo, il che, oltre ad alleggerire notevolmente il peso della statua, evitava le spaccature del legno durante le stagioni secche. Tale tecnica, chiamata warihagizukuri (letteralmente «dividere e ricomporre») avveniva sezionando la scultura secondo una linea ortogonale che partiva dalla metà del capo dietro le orecchie, dividendo la figura in due parti, anteriore e posteriore, le quali, dopo essere state debitamente incavate, venivano ricomposte. Bisogna rilevare tuttavia che cavità interne, seppure di minori dimensioni, erano già praticate anche nelle prime sculture in i.-z., per la caratteristica, comune a tutte le icone buddhistiche, di contenere satra, mantra e reliquie. Esempio classico della tecnica warihagi-zukuri è il Bhaisajyaguru stante (Yakushi Nyorai) dello Shōjōji di Fukushima, alto 137 cm, databile alla prima metà del IX secolo. Le immagini eseguite in queste tecniche sono generalmente lasciate nel colore originale del legno, che viene talora rivestito soltanto da un tenue strato di vernice o lacca e si contraddistinguono nettamente dalle policrome icone coeve in lacca secca (kanshitsu, v. lacca).
Verso la seconda metà del X sec. l'evoluzione della tecnica warihagi-zukuri, che divide ulteriormente le sezioni anteriore e posteriore in due parti, destra e sinistra, riesce talora a utilizzare il legno intagliato all'interno del corpo per ricavare parti minori dell'immagine. È questo il momento decisivo per il passaggio alla tecnica yosegi-zukuri che, attraverso squadre di artigiani addetti alla preparazione delle singole parti, consentiva in tempi minori una produzione su grande scala di sculture di notevoli dimensioni. Tale tecnica, atta a soddisfare la crescente richiesta del mercato, era destinata a dominare tutta la scultura lignea giapponese fino alle epoche più recenti. L'immagine assisa di Amitābha (Amida Nyorai) del Byōdōin di Uji in legno hinoki, alta 279 cm, della metà dell'XI sec., la quale vista dall'alto in proiezione ortogonale appare suddivisa in quattro sezioni, mostra già una fase notevolmente avanzata del nuovo procedimento, che non avendo riscontri nella scultura continentale coeva non può che configurarsi come un'innovazione tecnica tipicamente giapponese.
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