ICONA
Termine derivante dal gr. εἰϰών, che significa in senso ampio 'immagine' e più specificamente 'ritratto'. Benché nell'ambito della storia dell'arte bizantina esso sia stato talora applicato, specie di recente, a qualsiasi tipo di immagine sacra, in questa sede si considerano esclusivamente le i. definibili come tali in senso archeologico, ovvero quelle dotate di supporto trasportabile, sia esso legno, avorio o metallo.La rappresentazione di figure sacre deriva da una formulazione antica del ritratto, utilizzata per gli antenati e per i defunti, come per es. nel caso delle note tavole dipinte di elFayyūm in Egitto, oltre che, con un significato cultuale più marcato, per gli imperatori. I ritratti imperiali venivano normalmente onorati - il Codex Theodosianus (15, 4, 1) per es. vieta espressamente di innalzare statue di attori e di aurighi accanto a una statua imperiale, pratica che avrebbe costituito affronto alla dignità del sovrano - ma potevano anche subire la damnatio memoriae. L'idea che il ritratto contenesse una particella dell'archetipo era accettata sin dall'Antichità e il ritratto poteva anche assumere la funzione di modello più dell'individuo stesso.Se per le divinità e per gli imperatori veniva utilizzata soprattutto la scultura a tutto tondo, anche la pittura ebbe un ruolo in quest'ambito, nelle rappresentazioni di divinità orientali, come nel caso degli dei assisi di el-Fayyūm, nei busti di Serapide e di Iside che decorano le ante di trittico conservate a Malibu (J. Paul Getty Mus.) o negli affreschi che mostrano Mitra talora circondato da immagini con scene della sua vita. È interessante notare che formule come quella del trittico o delle scene inserite a incorniciare il soggetto principale centrale, destinate a ricomparire solamente in seguito nelle i. cristiane, avessero radici già nell'Antichità. Lo stesso vale per quanto concerne le tecniche esecutive, in quanto le più antiche i. erano dipinte a encausto, procedimento che consiste nel disporre su una tavola lignea, talora ricoperta di gesso, i pigmenti diluiti a caldo nella cera.Le effigi degli imperatori continuarono a essere venerate anche nei primi secoli dell'era cristiana. Alessandro Severo (222-235) possedeva nel suo grande larario i ritratti del suo nume tutelare, Alessandro Magno, di alcuni imperatori divinizzati e di antenati, oltre a quelli di Apollonio di Tiana - ritenuto miracoloso - e di Orfeo, mentre le menzioni di immagini di Cristo e di Abramo si devono forse a tarde interpolazioni nella Historia Augusta (XXIX-XXX). Ancora nel sec. 6° Giovanni Malala riporta nella sua Chronographia che il lauráton di Costantino il Grande veniva portato in processione ad Antiochia. Lo stesso Costantino appose su una colonna in porfido eretta nel foro le effigi, dipinte su legno, dei primi tre vescovi di Costantinopoli (Parastáseis Sýnthomoi Chronikái).Quanto ai personaggi sacri, Eusebio di Cesarea (Hist. Eccl., VII, 18, 4) e altre fonti testuali dei secc. 4° e 5° menzionano i. di Cristo, degli apostoli Pietro e Paolo e di altri santi e martiri; non si è però conservato alcun esemplare anteriore al 6° secolo. Risale al sec. 5° la leggenda secondo la quale Eudocia, vedova dell'imperatore Teodosio II, avrebbe inviato da Gerusalemme, dove risiedeva, insieme con alcune reliquie, un ritratto della Vergine con il Bambino (del tipo dell'Odighítria), che sarebbe stato eseguito da s. Luca. Intorno alla stessa epoca si formò in relazione al re Abgar, a Edessa e a Kamuliana, la leggenda del mandýlion con il Sacro Volto di Cristo, destinata a svilupparsi specie alla fine del sec. 6°, al tempo delle guerre bizantine contro la Persia (v. Acheropita).La questione dell'autenticità delle effigi sacre sembra sin da allora determinante nel culto loro reso. Per contro, le i. non erano tollerate da chi riteneva che il venerarle costituisse idolatria; Epifanio di Salamina, in una lettera a Giovanni di Gerusalemme (393), narra di come distrusse un'immagine sacra raffigurata su un tendaggio (Ostrogorsky, 1929).Il senso profondo delle i. si ricollega a un'ottica neoplatonica, poiché esse erano considerate un fedele riflesso del personaggio rappresentato. L'immagine, carica di una grazia divina e quasi magica, creava una relazione assai intima tra il santo e il fedele che gli rende culto. Questo ne spiega tanto il carattere astratto e sublime quanto la forza della tradizione iconografica, in quanto i tipi fisici erano considerati come ritratti, dunque immutabili. Le i. servivano tanto al culto pubblico, nelle chiese e in altri edifici - ai quali assicuravano la loro protezione -, quanto al culto privato. Nella Chalké, il complesso monumentale posto all'entrata del Grande Palazzo di Costantinopoli, si trovava un'immagine del Cristo detto appunto Chalkítes; più modeste effigi sacre proteggevano botteghe e laboratori. L'imperatore Eraclio (610-641) aveva l'abitudine di porre effigi della Vergine sugli alberi maestri delle proprie navi.Le i. portate in processione recavano immagini su entrambe le facce della tavola e potevano presentare due diverse effigi sacre, oppure il santo su un lato e una croce sull'altro. Le i. più celebri, molte delle quali appartenevano a monasteri della capitale bizantina, come nel caso della Vergine con il Bambino del monastero degli Hodighoi (Odighítria, 'colei che guida'), furono all'origine di tipi iconografici ripetuti innumerevoli volte.Nel sec. 4° la venerazione dei fedeli era rivolta soprattutto alla croce e alle reliquie, mentre nel 5° la venerazione delle i. si diffuse ampiamente. Nella prima metà del sec. 6° Ipazio di Efeso parla di atti di prosternazione (Diekamp, 1938) e i testi della seconda metà del secolo attestano la progressiva diffusione del culto delle immagini, che sempre più spesso venivano ritenute miracolose. La reazione allo sviluppo di questo genere di culto, che secondo alcuni si configurava come idolatria, fu in seguito una delle cause della crisi iconoclasta scoppiata nell'8° secolo.Le i. dovettero essere diffuse nell'intero orbe cristiano orientale, anche se le più antiche provengono tutte dall'Egitto e, soprattutto, dal monastero di S. Caterina sul monte Sinai; in tutti i casi si tratta di tavole lignee dipinte a encausto. Le i. di Bāwīt, come quella di Cristo con s. Menna (Parigi, Louvre) o l'i. del vescovo Abramo (Berlino, Bodemus., Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz), sono il prodotto di un'arte locale e monastica, assai avanzata nella stilizzazione òrientale', con figure rigide e tozze, in posizione frontale, e volti rischiarati da grandi occhi dallo sguardo fisso. Quelle del Sinai, al contrario, appartengono a un'arte raffinata, dalla tecnica impressionista derivata dalla pittura ellenistica, mentre alcune sono palesemente legate all'iconografia imperiale. L'immagine del Pantocratore, a mezzo busto, nell'atto di benedire con la mano destra mentre tiene un libro nella sinistra, è senza dubbio in rapporto con quella del Cristo Chalkítes; quest'iconografia, legata al potere, ricorre sulla croce di Giustino II, del 565-570 (Roma, Tesoro di S. Pietro), e, successivamente, su alcune monete di Giustiniano II (m. nel 711). L'i. della Vergine in trono con il Bambino, tra due aggraziati arcangeli e due severi santi militari, ricorda i ritratti ufficiali dell'imperatore, al pari della Theotókos assisa tra due angeli che compare su diversi avori contemporanei.In epoca di poco successiva, forza e spiritualità appaiono associate in maniera notevolissima nel ritratto di s. Pietro: la tavola oblunga e, sullo sfondo, l'esedra sormontata da tre clipei con i busti di Cristo, della Vergine e di un santo ricordano i dittici consolari. Quattro i. del gruppo antico del Sinai - tra cui un S. Giovanni Battista stante e un frammento di una Vergine con il Bambino di grande delicatezza (Kiev, Kievskij muz. zapadnogo i vostočnogo iskusstva) - vennero trasferite dal vescovo Porfirio Uspenskij a Kiev nel secolo scorso.Nel sec. 7° su alcune i. del Sinai comparvero nuovi tipi di composizioni: per es. l'impressionante Teofania dell'Antico dei giorni e la scena completa dell'Ascensione. Due altre i. (Kiev, Kievskij muz. zapadnogo i vostočnogo iskusstva) evidenziano uno stadio più avanzato di stilizzazione, come nel caso dei busti dei Ss. Sergio e Bacco abbigliati da alti dignitari: i giovani volti appaiono pressoché disincarnati, con l'espressione vitale tutta concentrata nello sguardo cupo e intenso. La qualità di tali i. indica che esse provenivano dalla capitale o che vennero eseguite sul posto da artisti costantinopolitani, inviati dopo l'edificazione del monastero da parte dell'imperatore Giustiniano I (527-565). Numerose i. ebbero tuttavia origine locale e vennero dipinte nei luoghi stessi nei quali il santo, l'asceta o il martire raffigurato aveva vissuto o dove era stato sepolto; in alcuni casi esse riproducevano senza dubbio immagini dipinte nelle chiese, fenomeno che favorì enormemente lo sviluppo del loro culto. I. provenienti dai luoghi santi della Palestina dovettero essere esportate, come testimonia un cofanetto per reliquie (Roma, BAV, Mus. Sacro) che presenta dipinta, nella parte interna del coperchio, una serie di scene della Vita di Cristo: Natività, Battesimo e Crocifissione, al centro, oltre alle Pie donne al sepolcro e all'Ascensione, temi tipicamente palestinesi.L'utilizzazione di i. è attestata nella stessa epoca anche in Occidente: Gregorio di Tours osserva che alcuni fedeli collocavano tavole dipinte con un'immagine di Cristo nelle chiese e nelle loro abitazioni (De gloria martyrum, 21). A Roma, nell'ambiente assai grecizzato della città, l'uso delle i. è attestato sin dall'Alto Medioevo e se ne conservano numerosi esemplari. La Vergine del Pantheon, copia della Odighítria di Costantinopoli, fu eseguita probabilmente nel 609, quando l'edificio venne trasformato in chiesa; la Madonna di S. Maria del Rosario riprende a sua volta l'immagine della Haghiosorítissa, anch'essa famosa i. della capitale bizantina. In S. Maria in Trastevere, la Madonna della Clemenza, con il Bambino sulle ginocchia, abbigliata come un'imperatrice bizantina e accompagnata da due angeli e da un donatore, forse il pontefice Giovanni VII (705-707), appare incoronata: è dunque la Regina Coeli, in una concezione tutta occidentale, dato che la Vergine e il Cristo, a Bisanzio, non appaiono mai incoronati.Le i. romane fin qui citate sono dipinte a encausto su tavole lignee; l'esemplare della chiesa di S. Francesca Romana, una Odighítria dexiakratúsa (Vergine che tiene il Bambino sul braccio destro) datata intorno al 640, è invece dipinta su tela; a dispetto delle sproporzioni che ne caratterizzano i tratti, è un'opera delicata, dipinta a tocchi leggeri, la cui stilizzazione attribuisce il massimo di importanza allo sguardo profondo degli occhi azzurri. In S. Maria Antiqua, chiesa della diaconia greca, alcuni affreschi, per lo più collocati in nicchie, sembrano effettivamente copie di i., come per es. l'immagine della Vergine con il Bambino denominata 'Maria', la figura di S. Abbaciro o, ancora, le tre sante madri (Anna, la Vergine, Elisabetta) che tengono il loro bambino. In Italia meridionale le i. furono venerate non solo all'interno delle chiese e dei monasteri greci, ma anche in alcune chiese latine e sino al 12° secolo.Nel corso della travagliata epoca storica corrispondente ai secc. 7°-8°, il culto delle immagini, del quale l'i. rappresenta la manifestazione più diffusa, assunse un'importanza vieppiù crescente. La venerazione nei confronti delle immagini, alle quali si attribuivano sempre più spesso proprietà magiche, era favorita dai monaci stabiliti nei monasteri posti in prossimità dei luoghi di culto e ai quali erano affidate le immagini miracolose; tale atteggiamento veniva però considerato idolatra da alcuni membri della corte e dell'alto clero di Costantinopoli. L'avversione del cristianesimo delle origini alla rappresentazione di Dio in forma antropomorfa rimase sempre presente nella società colta, nel clero secolare e nelle popolazioni dell'Asia Minore e delle province orientali dell'impero bizantino; occorre inoltre tenere conto anche dell'influsso delle dottrine giudaica e islamica, entrambe non favorevoli alle rappresentazioni della figura umana. L'iconoclastia cristiana proscrisse le immagini di Dio e dei santi nella volontà di purificare il cristianesimo da ciò che era considerato come sopravvivenza di elementi pagani; solo la croce venne tollerata in quanto simbolo.La crisi esplose quando Leone III l'Isaurico (717-741) fece rimuovere la rappresentazione di Cristo che era collocata al di sopra della porta della Chalké, sostituendola con una croce. Tale azione, perpetrata contro un'immagine che a Costantinopoli godeva di grande popolarità, sollevò proteste tali che l'imperatore dovette temporeggiare fino al 730 prima di decretare guerra aperta alle immagini. Nel 754 suo figlio Costantino V (detto anche Copronimo, 'dal nome di escremento', dai suoi nemici iconoduli) convocò il concilio di Hieria nel quale venne condannato il culto delle immagini; ne seguirono una persecuzione, in qualche caso violenta, nonché la distruzione delle raffigurazioni di personaggi sacri, che ebbe come conseguenza la scomparsa di innumerevoli opere.Durante il regno di Irene e di suo figlio Costantino VI (780-797), il settimo concilio ecumenico, riunito a Nicea nel 787 e noto come concilio niceno secondo, ristabilì il culto delle immagini e i monaci vennero reintegrati nei loro privilegi; veniva tuttavia precisato che tale culto doveva essere un atto di venerazione e non di idolatria.In realtà, la crisi iconoclasta aveva costretto i teologi a rivedere alcuni principi e fu così che Giovanni Damasceno (m. nel 749), sfuggito alle persecuzioni grazie alle importanti funzioni che ricopriva presso il califfato di Damasco, tentò di confutare le dottrine iconoclaste presentando l'immagine santa come simbolo e insistendo sul suo valore didattico: la stessa incarnazione di Cristo autorizzava a rappresentare il Figlio di Dio sotto sembianze umane.La corrente iconoclasta riacquistò tuttavia vigore sotto Leone V l'Armeno (813-820), nel concilio dell'815, anche se i decreti conciliari furono applicati soprattutto nella zona della capitale e in Asia Minore. L'ultimo imperatore iconoclasta fu Teofilo (829-842), stravagante ma colto, al tempo del quale le arti e le scienze ebbero nuovo sviluppo; la sua vedova Teodora (che venne in seguito proclamata santa) e suo figlio Michele III (842-867) ristabilirono definitivamente l'ortodossia nel concilio dell'843. Gli eccessi iconoclasti avevano generato scontento e delusione, tanto più che in terra greca l'uso delle immagini trovava corrispondenza in una mentalità profondamente radicata e basata su una lunga tradizione umanistica.Le immagini sacre erano state dunque bandite dalle chiese, dove vennero sostituite dall'emblema della croce, da motivi vegetali e da volatili, elementi questi spesso caricati di valore simbolico. Le i. erano proibite ma è certo che se ne continuarono a dipingere sia in clandestinità, sia in monasteri lontani dai principali centri dell'impero, sia ancora nelle antiche province bizantine passate sotto il controllo arabo, come Cipro o il Sinai. Teofane Continuato (Chronographia, 13) riferisce di un monaco Lazzaro che, nella prima metà del sec. 9°, subì mutilazioni per avere contravvenuto ai decreti iconoclasti dipingendo alcune icone. Per contro il monastero di S. Caterina sul monte Sinai conserva i. databili ai secc. 8°-9° eseguite senza dubbio in una bottega palestinese; la più notevole raffigura una Crocifissione in cui il Cristo morto, nel suo lungo colobium, presenta per la prima volta gli occhi chiusi; in questo particolare si è voluta talvolta cogliere l'influenza degli scritti di Anastasio Sinaita (fine sec. 7°-inizi 8°).Le miniature anti-iconoclaste nei più antichi salteri a figurazioni marginali, come il Salterio Chludov (Mosca, Gosudarstvennyj Istoritscheskij Muz., Add. gr. 129) e un salterio del monte Athos (Pantocratore, 61), risalgono senza dubbio al primo patriarcato di Fozio (858-867) e mostrano in più punti i. di Cristo di forma circolare sia nell'atto di essere distrutte dagli iconoclasti, sia esibite da iconoduli; non si conservano tuttavia esempi di i. circolari risalenti a quest'epoca e pertanto potrebbe trattarsi anche di busti inseriti in clipei, come era frequente nella pittura monumentale.La crisi iconoclasta, che ebbe certo l'effetto di produrre una pausa oscura nella storia dell'arte bizantina, ebbe conseguenze benefiche sulla dottrina delle immagini, che traeva la sua forza dal fenomeno dell'Incarnazione e che definiva le immagini stesse come simboli, elementi intermediari fra la realtà tangibile di Dio e dei santi e la loro realtà intelligibile e invisibile, con ciò ammettendo che in esse fosse contenuta una particella dell'energia divina.Giustificata in tal modo la venerazione delle i., il loro impiego si diffuse tanto nell'uso domestico quanto in quello pubblico. Attraverso l'i. il fedele poteva entrare in comunione mistica con i personaggi sacri: i cristiani ortodossi pregavano davanti all'i. di un santo particolare, spesso quella della Vergine oppure del loro santo patrono, e la portavano anche in viaggio come misura di protezione; in tal caso le i. assumevano forma di dittici e soprattutto di trittici pieghevoli. Nelle chiese le i. erano esposte sia in maniera permanente sulle iconostasi (il témplon, ovvero la struttura che recingeva e isolava il presbiterio, cominciò ad assumere in quest'epoca tale funzione) sia sul proskynetárion (sostegno destinato all'esposizione della sola i. corrispondente alla festa o al santo commemorati in un determinato giorno). Da quest'ultima pratica deriva la scelta dei soggetti più comunemente rappresentati: figure del Cristo e della Vergine nelle loro diverse varianti, santi isolati o in gruppo, scene della Vita di Cristo e della Vergine che costituivano oggetto delle Grandi Feste liturgiche (Dodekáorton).Le i. bilaterali, destinate alla processione, come attestano alcuni dipinti murali di epoca paleologa, in qualche caso partecipavano anche alla liturgia imperiale: l'effigie della Vergine protettrice di Costantinopoli si trovava perciò alla testa dei cortei trionfali degli imperatori. Il mandýlion e la patrona della capitale proteggevano le mura in caso di assedio, come è attestato nelle rappresentazioni dell'attacco da parte dei Persiani e degli Avari nel 626 contenute nell'inno Acatisto (v.). Il carattere sacro delle i. favorì una certa standardizzazione tramite la fissazione di tipologie di ritratti e le immagini più venerate vennero ripetute innumerevoli volte; va rilevato che alcune caratteristiche fisiche sono indicate in un libello del sec. 9°-10° che si deve a Ulpio il Romano (Chatzidakis, 1938).Si conservano pochi esemplari di i. prodotte tra il sec. 9° e l'11°; si tratta di dipinti eseguiti ormai a tempera, con il tuorlo d'uovo che fungeva da veicolo per i pigmenti colorati; la maggior parte di tali i. si trova nel monastero di S. Caterina sul monte Sinai; alcune sono opera di scuole locali, altre indicano invece rinnovati rapporti con la capitale. In quest'epoca aumentò il numero dei soggetti: S. Teodoro e S. Giorgio a cavallo atterrano l'uno un eretico, l'altro un drago; le Grandi Feste appaiono raggruppate in trittici e negli epistili, una sorta di fregi lignei decorati con una serie di i. posti al di sopra dell'architrave del témplon. Una Lavanda dei piedi dimostra evidenti legami con la tecnica pittorica della prima metà del sec. 10°; un S. Filippo stante e un S. Nicola a mezzo busto, risalenti alla fine dello stesso secolo, si caratterizzano per un disegno preciso ed elegante, per il fine modellato dei volti, e per l'armonia delle proporzioni e dell'incarnato. La più interessante di queste i., composta di due tavolette accostate (forse le ali di un trittico), raffigura Taddeo e il re Abgar seduti al di sopra di una fila di santi in piedi; Abgar dispiega il mandýlion, la famosa i. acheropita che era stata trasportata da Edessa a Costantinopoli nel 944, ed è raffigurato con i tratti somatici di Costantino VII Porfirogenito, al quale si attribuisce la redazione dell'enkómion scritto nel 945 in onore dell'i. miracolosa.Se la miniatura influenzò talora le i., queste a loro volta segnarono in alcuni casi, peraltro ancora rari, la pittura monumentale, come per es. i santi dipinti sui pilastri della Direkli Kilise a Belisırma, in Cappadocia. Nella S. Barbara di Sogănlı, un'altra chiesa rupestre della medesima regione, i Sette dormienti di Efeso sono raffigurati all'interno di cornici appese a un chiodo e lo stesso avviene nel diaconico della Santa Sofia a Ochrida per una serie di busti di gerarchi della Chiesa. Queste rappresentazioni del sec. 11° costituiscono preziose testimonianze sull'uso della pittura da cavalletto, che in epoca medievale fu un genere specificamente bizantino.Alla stessa epoca risalgono alcune lastre marmoree, vere i. scolpite, che raffigurano la Vergine, generalmente in atteggiamento di orante; l'esempio più bello, di stile classicheggiante, è costituito dalla Vergine della chiesa costantinopolitana di S. Giorgio delle Mangane (Istanbul, Arkeoloji Müz.); la lastra in marmo bianco di S. Eudocia orante, abbigliata da imperatrice (Istanbul, Arkeoloji Müz.), presenta un'ornamentazione a incrostazione di marmi policromi e paste vitree (opus alexandrinum) di effetto fortemente pittorico.Tra gli avori, accanto a numerosi soggetti profani e imperiali, alcuni sono vere i. raffiguranti, su singole tavolette o su trittici, Cristo, la Vergine, la Déesis, santi isolati o raggruppati e scene del Dodekáorton. Le Dodici feste sono per es. rappresentate su un dittico conservato a San Pietroburgo (Ermitage), sul quale sono presenti anche i Quaranta martiri di Sebaste. La steatite, destinata a divenire in seguito un sostituto dell'avorio, ebbe una tipologia e una scelta di soggetti assai più ristrette; le più antiche e le più belle tavolette realizzate in questo materiale sono quella con la Dormizione della Vergine, conservata a Vienna (Kunsthistorisches. Mus.), e quella con S. Michele Arcangelo custodita a Fiesole (Mus. Bandini). Occorre inoltre ricordare anche l'esistenza di i. realizzate in pietre dure, come il medaglione in lapislazzuli conservato a Venezia (Tesoro di S. Marco), che presenta in oro le tre figure della Crocifissione.Le i. più sontuose sono quelle in argento dorato, ornate di smalti e arricchite di pietre preziose, con le due effigi di S. Michele - a mezzo busto e stante - conservate a Venezia (Tesoro di S. Marco): di preziosità e qualità tecnica eccezionali, queste opere decoravano senza dubbio un santuario dedicato all'arcangelo e dovettero essere realizzate da un laboratorio collegato alla corte imperiale. Psello (Chronographia, VI, 66) riporta che l'imperatrice Zoe possedeva un'i. di Cristo di questo stesso genere.Anche i piatti di legatura erano spesso spazi per la raffigurazione di personaggi sacri. Alcune i. dipinte venivano dotate di un rivestimento in argento dorato - secondo un procedimento utilizzato soprattutto in età paleologa -, i cui esempi più antichi sono costituiti dalle grandi i. da iconostasi della Vergine e dei Ss. Pietro e Paolo nella Santa Sofia di Novgorod (1050 ca.). Anche dalla Georgia, regione posta ai confini dell'impero bizantino, provengono begli esempi di lavorazione a sbalzo e cesello del metallo; oltre a lastre raffiguranti la Vergine e vari santi, sin dal sec. 9° vi sono attestati rivestimenti per i., come per es. quello della Trasfigurazione di Zarzma, risalente all'886 (Tbilisi, Gosudarstvennyj mus. Gruzii).All'epoca dei Comneni (secc. 11°-12°) l'arte delle i. ebbe uno sviluppo considerevole; il possesso di oggetti di culto personali era peraltro favorito non soltanto dalla società fortemente individualizzata del tempo, ma anche da una nuova funzione che si offriva alle i. stesse, ovvero quella di ornare le recinzioni presbiteriali delle chiese: la trasformazione del témplon è legata a una tendenza della liturgia che spingeva verso un maggiore misticismo, con il rito celato agli occhi dei fedeli (v. Bema). Il monastero di S. Caterina sul monte Sinai conserva molti epistili, che mostrano, intorno a una scena centrale generalmente costituita dalla Déesis, rappresentazioni delle Grandi Feste. I. di grandi dimensioni, dette generalmente 'dispotiche' perché destinate alla proskýnesis (prosternazione dei fedeli), erano collocate negli intercolumni della recinzione presbiteriale e raffiguravano Cristo, la Vergine, il santo patrono e altri santi; le porte del bema erano costituite da due pannelli con l'immagine della Vergine e dell'arcangelo dell'Annunciazione.Alla stessa epoca risalgono le prime i. bilaterali conservatesi: nella maggior parte dei casi esse presentavano un'effigie sul recto e una croce sul verso, come nell'i. di Novgorod dipinta con il Sacro Volto su un lato e una croce, adorata da due angeli, sull'altro (Mosca, Gosudarstvennaja Tretjakovskaja Gal.). Una delle più celebri i., quella della Vergine di Vladimir (Mosca, Gosudarstvennaja Tretjakovskaja Gal.), era anch'essa bilaterale e mostrava sul verso una croce poggiata su un altare. Portata a Kiev da Costantinopoli intorno al 1130 e quindi trasferita a Vladimir dal principe Andrea Bogoljubskij nel 1155, servì da palladium dello Stato russo; considerata miracolosa, essa fu presente a numerosi eventi del Medioevo e diede vita a una tipologia iconografica assai diffusa. Gli abiti sono frutto di un rifacimento, mentre le teste teneramente accostate della Vergine e del Bambino si conservano nel loro stato originale. Il tipo della Vergine intenerita o piuttosto compassionevole raffigurato nell'Eleúsa si contrappone per molti versi alla solennità della Vergine Odighítria, conservando tuttavia una grande misura, e la tristezza di Maria, che vede in anticipo il sacrificio di suo Figlio, appare del tutto interiorizzata. Si tratta di un'immagine che testimonia un delicato equilibrio tra bellezza classica ed espressione dei sentimenti e alla quale il colore conferisce insieme valore estetico e qualità emozionale.Un'altra i. bilaterale, da Kastoria, presenta su un lato una superba Odighítria a mezza figura, dal viso particolarmente preoccupato, che tiene il Bambino benedicente e affiancato in alto da due angeli; sul verso si trova una delle rappresentazioni più antiche del Cristo sofferente raffigurato a mezzo busto. Databile alla seconda metà del sec. 12°, questa i. testimonia l'evoluzione della pittura bizantina nell'espressione dei sentimenti ed essenzialmente del dolore religioso.Fra altre i. recentemente scoperte in Grecia è da ricordare una Vergine Glykophilúsa (in atteggiamento di tenerezza) con il Bambino sul braccio destro, rinvenuta a Salonicco al di sotto di un'altra Vergine del sec. 17°, che mostra posizioni manierate e una grandissima finezza sia nei tratti sia nei panneggi.Il monastero di S. Caterina sul monte Sinai possiede anche effigi di santi isolati o in gruppo - i.-menologio (con santi e avvenimenti di mese in mese), dittici con scene evangeliche, epistili - e costituisce dunque una raccolta emblematica della varietà tipologica del genere, testimoniando peraltro anche la comparsa nelle i., come del resto in tutta la pittura, di nuovi temi e motivi; in una Dormizione della Vergine, per es., compaiono i vescovi Dionigi l'Areopagita, Ieroteo e Timoteo - secondo una tradizione attestata da Giovanni Damasceno -, le donne in lacrime che si sporgono dal piano di un edificio e gli angeli che trasportano l'anima di Maria in forma di neonato. Una bella Vergine seduta, circondata da santi, tiene teneramente il Bambino, vestito di una camiciola e che agita le gambe e le braccia nude, mentre in una pittoresca illustrazione ispirata all'opera di Giovanni Climaco piccoli diavoli agitati cercano di far cadere i monaci dalla scala spirituale. Una Crocifissione della seconda metà del sec. 12° mostra il corpo di Cristo nella posizione sinuosa che si ritrova in seguito sviluppata nel corso del sec. 13°, con una particolare influenza sui pittori italiani del Duecento. Un Giudizio universale completo è disposto a registri sovrapposti, come sulla parete di una chiesa, mentre un'i. dell'Annunciazione, di produzione costantinopolitana, mostra Maria come una leggiadra ragazza ai cui piedi scorre il fiume 'dispensatore di grazia' ricco di fauna acquatica; lo stile si collega alla fase più elegante dell'arte comnena, il colore è quasi interamente ridotto agli ori. L'i. di Mosè davanti al roveto ardente, benché eseguita nello stile proprio della capitale, si riconnette a una lunga tradizione locale dei loca sancta.Le formule iconografiche si ampliarono, come testimoniano due i. di San Pietroburgo (Ermitage): in una i personaggi di una Trasfigurazione spiccano sul fondo rosso, nell'altra alcuni santi in posizione frontale sono disposti al di sotto di arcate a rilievo. Cominciarono ad apparire le i. realizzate a mosaico con tesserine minuscole, sia come ritratti isolati - il grande busto di Cristo a Berlino (Mus. für spätantike und byzantinische Kunst) - sia in composizioni, come quella della Trasfigurazione a Parigi (Louvre), opere di lusso e di una fattura raffinata certamente prodotte a Costantinopoli. Anche in quest'epoca vennero eseguite i. in avorio, steatite, smalto, metalli preziosi, bronzo e marmo.Al di fuori di Bisanzio fu soprattutto la Russia a importare e nel contempo a produrre i., specialmente nelle botteghe di Kiev e di Novgorod. La grande Panaghía di Jaroslav (Mosca, Gosudarstvennaja Tretjakovskaja Gal.) e il S. Demetrio di Kiev (Mosca, Gosudarstvennaja Tretjakovskaja Gal.), l'Annunciazione (Mosca, Gosudarstvennaja Tretjakovskaja Gal.), l'Angelo dai capelli d'oro (San Pietroburgo, Gosudarstvennyj Russkij muz.) e il Sacro Volto di Novgorod (Mosca, Gosudarstvennaja Tretjakovskaja Gal.), opere superbe, devono certo molto a Bisanzio, ma sono anche le più antiche di un genere nel quale gli artisti russi eccelsero.I. bizantine raggiunsero la Georgia, che conobbe anche una produzione locale, sia pure limitata giacché le pratiche liturgiche non accordavano grande spazio alla pittura da cavalletto; una delle i. più notevoli è comunque quella dei Quaranta martiri a Mestia (Mus. Statale di Storia ed Etnografia della Svanezia). Non è invece attestata una produzione locale per quanto riguarda l'Armenia.Il genere delle tavolette scolpite conobbe un considerevole successo in Italia e in particolare a Venezia. A Liegi un'i. scolpita detta la Vergine di Dom Rupert, risalente al 1150 ca., è una Galaktotrophúsa (che allatta il Bambino) locale di ispirazione bizantina.Tra le opere a smalto va ricordata la Pala d'oro di S. Marco a Venezia, che incluse in particolare, nel 1209, elementi del bottino proveniente dal monastero del Pantokrator a Costantinopoli. Tra gli smalti degli inizi del sec. 12° figura il Cristo in trono tra gli evangelisti, posto al di sotto di una serie di angeli e sovrastante la Vergine orante tra l'imperatrice Irene e il doge Ordelafo Faliero (1102-1118) - il cui volto venne sostituito a quello dell'imperatore Alessio -, numerosi santi e la serie delle Grandi Feste. Gli smalti della parte superiore, che rappresentano sei delle Grandi Feste, costituivano senza dubbio la parte destra di un epistilio di iconostasi. Quest'opera associa dunque alla sua qualità intrinseca la testimonianza di una prassi artistica particolarmente attenta al lusso.Oltre agli esemplari conservati, preziose testimonianze sulla produzione e la circolazione delle i. possono essere ricavate da alcuni inventari dei monasteri dei secc. 11° e 12°, che informano sulle opere che essi possedevano. In particolare quello di Patmos, intorno al 1200, enumera, fra le altre, i. ornate da un'incorniciatura o da un rivestimento in argento.Dopo la presa di Costantinopoli da parte dei crociati nel 1204, l'attività artistica nella città subì una drastica riduzione, benché vi venissero realizzati ancora i., manoscritti e certamente anche oggetti d'arte suntuaria. Le i. poterono contribuire in certa misura ad apportare novità nell'ambito della decorazione delle chiese. Si attribuiscono a botteghe costantinopolitane le due i. della Odighítria a mosaico conservate una a Palermo (Gall. Regionale della Sicilia) e l'altra nel monastero di S. Caterina sul monte Sinai, quest'ultima notevole per uno sfondo lavorato a medaglioni. La melanconica dolcezza delle fisionomie e il trattamento delle vesti a pieghe serrate e sottolineate dall'oro sono tratti ereditati dall'arte comnena, mentre i volti mostrano un modellato più pittorico, che ricorre in altre tecniche legate alla pittura.I. e altri oggetti d'arte suntuaria vennero realizzati anche a Salonicco, come l'i. conservata nella cattedrale di Frisinga - una tavola dipinta della Vergine Haghiosorítissa a mezza figura di epoca comnena -, circondata da una cornice in argento dorato con clipei di busti di santi e un'iscrizione che menziona Manuele Disypatos, vescovo di Salonicco tra il 1235 e il 1261. Al Sinai vanno menzionate, fra le altre, numerose i. di santi a mezzo busto (S. Nicola) o stanti (S. Giorgio, S. Caterina), circondati da scene della loro vita, un genere che cominciò a svilupparsi e ampliarsi all'epoca e che è attestato anche da un'i. di S. Giorgio proveniente da Kastoria (Atene, Byzantine Mus.), nella quale il personaggio centrale, in posizione stante ed eccezionalmente in rilievo, è ritratto in abbigliamento militare e tiene uno scudo di influsso franco. Il medesimo santo, con scene della sua vita, è trattato interamente a rilievo policromo su un'i. proveniente dalla Crimea (Kiev, Russkogo iskusstva muz.), mentre in un'i. bulgara di Sozopol è a rilievo solamente la parte centrale raffigurante S. Giorgio e S. Demetrio a cavallo. La formula stilistica del rilievo, tipica dell'epoca, rimase rara e provinciale; per contro, una bella i. di S. Giacomo nel monastero di S. Giovanni a Patmos e quella del Sacro Volto (Laon, duomo) - proveniente da Tarnovo, la capitale del secondo regno bulgaro (1185-1396) - dipendono dal nuovo stile per la loro monumentalità. I. di qualità vennero prodotte anche in Russia, a Novgorod, sfuggita all'invasione mongola; tra di esse va segnalata la Vergine di Bjelozersk (Kiev, Russkogo iskusstva muz.).L'improvvisa diffusione della pittura di cavalletto in Italia - e in misura minore in altre regioni d'Europa -, in uno stile chiamato 'maniera greca' già dagli scrittori del Rinascimento, trae origine dalle relazioni dei Latini con Bisanzio, dove essi appresero a conoscere e anche a dipingere icone. Il caso del monastero di S. Caterina sul monte Sinai è singolarmente rivelatore dell'esistenza di una produzione crociata in questo campo caratteristico dell'arte bizantina e cristiana d'Oriente. Pittori italiani e francesi copiarono opere bizantine, apportandovi tuttavia un maggiore realismo e motivi specifici che consentono di differenziarle. Elementi distintivi sono infatti: l'introduzione di santi e di donatori occidentali e, per i santi militari, di bandiere segnate dall'emblema dei crociati, la croce rossa su fondo bianco, la presenza di iscrizioni latine e, in alcune Crocifissioni, il fatto che i piedi del Cristo siano fermati da un solo chiodo e non da due come nella tradizione iconografica di Bisanzio. Alcune i. di questo gruppo presentano affinità con la miniatura francese di Acri. Gli artisti italiani e soprattutto veneziani eseguirono opere spesso di alto livello artistico e appare fondata l'ipotesi che nel Duecento all'interno del monastero di S. Caterina sul monte Sinai esistesse una bottega italiana. Molte delle i. vennero certamente realizzate sul posto, ma altre poterono provenire come doni dalla Palestina, dalla Siria o da Cipro.In Italia queste pitture vennero adattate agli usi occidentali e si presentavano sotto forma di tavole d'altare che non svolgevano le stesse funzioni delle i. bizantine. Fu imitato anche l'uso degli epistili di iconostasi, in particolare nella forma di architravi con una Déesis circondata da arcangeli e apostoli o santi; ma il severo ordine di precedenze bizantino non venne sempre seguito con coerenza. D'altronde l'iconografia poté restare locale anche nel caso in cui lo stile era bizantineggiante, come attesta la Madonna di S. Martino, del 1270 ca. (Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo), che presenta, intorno alla figura centrale della Vergine, una serie di scene della sua vita tratte dal Vangelo dello pseudo-Matteo latino e non dal Protovangelo di Giacomo greco. La pittura bizantina influenzò il Duecento non solamente nello stile ma anche nei tipi iconografici, soprattutto quelli della Vergine: le due immagini della Madonna con il Bambino assisa su un trono sontuoso - uno dei quali dalla spalliera curvilinea (Washington, Nat. Gall. of Art) - sono state attribuite sia a Bisanzio sia a una bottega italo-greca attiva in Italia.Con la riconquista di Costantinopoli da parte dei Bizantini nel 1261 si aprì l'età paleologa, che rappresentò una fase assai importante per la pittura. Le i. conobbero all'epoca il massimo del loro sviluppo: eseguite in gran numero e nelle diverse tipologie già attestate all'epoca dei Comneni, esse mostrano un considerevole allargamento dei soggetti rappresentati e seguono un'evoluzione stilistica analoga a quella della pittura monumentale. Il moltiplicarsi delle i. si spiega con lo sviluppo delle iconostasi nelle chiese e con la moda sempre più diffusa di possedere oggetti d'arte e di valore, sia per farne oggetto di culto individuale - fenomeno al quale si deve la diffusione delle i. a mosaico e con rivestimento in metallo prezioso - sia per farne dono a un santuario.Il massimo centro di produzione fu Costantinopoli, ma anche a Salonicco è attestata una produzione di rilievo che interessò la Macedonia e il monte Athos; in altri centri e nei grandi monasteri si realizzarono i. spesso più modeste. Sono soprattutto le i. raffiguranti scene cristologiche a riflettere l'evoluzione della pittura monumentale, sia nell'introduzione di nuovi motivi sia nell'aggiornamento stilistico: i personaggi divengono più numerosi e i paesaggi più ricchi di particolari; alle forme pesanti, quasi 'cubiste', della fine del sec. 13°, si sostituirono, agli inizi del 14°, figure delicatamente dipinte più che disegnate, mentre intorno alla metà dello stesso secolo si rileva un certo inaridimento delle forme, dovuto all'influenza delle dottrine tradizionaliste dell'esicasmo. Ne sono un chiaro esempio due Crocifissioni a Ochrida (Naroden muz.) e una ad Atene (Byzantine Mus.), che presentano d'altra parte una notevole maestria nel disegno e una sottile armonia cromatica.Le i. influenzarono a loro volta con maggiore efficacia la pittura monumentale. I grandi riquadri a mosaico raffiguranti Cristo e la Vergine con il Bambino che affiancano il bema del S. Salvatore in Chora a Costantinopoli hanno l'aspetto di i. monumentali. I pittori itineranti erano polivalenti e in alcune chiese eseguirono sia affreschi sia i.; dalla chiesa della Theotokos Peribleptos (od. S. Clemente) di Ochrida proviene uno splendido S. Matteo 'volumetrico' prossimo per stile ai dipinti murali della chiesa (Ochrida, Naroden muz.). Michele Astrapas (v.) ed Eutichio, artisti tessalonicesi attivi soprattutto in Serbia, dipinsero ad affresco sull'iconostasi della chiesa di S. Giorgio nel monastero di Staro-Nagoričino in Macedonia santi a mezzo busto raffigurati alla maniera di icone. Anche la circostanza che questi e altri pittori abbiano firmato le proprie opere costituisce un altro segno del mutare della concezione della figura e del ruolo stesso dell'artista.Benché molte delle opere si mantengano aderenti ai tradizionali canoni compositivi, alcune di esse rivelano sotto questo aspetto maggiore sottigliezza, come mostra un'i. degli apostoli (Mosca, Gosudarstvennaja Tretjakovskaja Gal.) nella quale S. Giovanni Evangelista sembra costituire la figura principale. Innumerevoli i. continuarono a rappresentare sempre santi isolati, che potevano essere circondati da scene illustranti la loro vita, da busti di santi o, ancora, essere accompagnati da donatori; è il caso per es. del Pantocratore di San Pietroburgo (Ermitage), dal volto segnato da sottili linee di biacca, affiancato dalle due figurette inginocchiate del megastratopedarca Alessio e del megaprimicerio Giovanni, che avevano fondato il monastero atonita del Pantocratore nel 1363. Il pittore che eseguì l'i. bilaterale del monastero bulgaro di Poganovo, donata da Elena Paleologa, nipote dello zar bulgaro Ivan Alessandro (1331-1371), raffigurò su un lato la Vergine e s. Giovanni Evangelista e sull'altro una Teofania dalla cromia luminosa, ispirata al mosaico paleocristiano di Hosios David a Salonicco. La grande Déesis (1360 ca.) del monastero serbo di Chiliandari sul monte Athos, opera di un pittore greco, è di straordinaria qualità; la Trinità dell'Antico Testamento di Atene (Benaki Mus.) è dipinta su di una lunga tavola, destinata a essere collocata al di sopra della porta della protesi; il S. Michele a mezzo busto (Atene, Byzantine Mus.), nobile e idealizzato, dimostra un'eccezionale presenza fisica; la Vergine con il Bambino che il metropolita Pimen portò da Costantinopoli in Russia intorno al 1385 (Mosca, Gosudarstvennaja Tretjakovskaja Gal.) è caratterizzata da una dolcezza malinconica, mentre il Gregorio Palamas di Mosca (Gosudarstvennyj Muz. izobrazitel'nych iskusstv im. A.S. Puškina) rende bene l'austerità del personaggio.L'età paleologa fu anche la grande epoca delle i. a mosaico, dalle preziose e minuscole tesserine, che potevano raffigurare sia santi - una delle più belle è il S. Demetrio (Sassoferrato, Mus. Civ.), in veste di giovane soldato, proveniente senza alcun dubbio da Salonicco - sia scene narrative, come nel caso della piccola Annunciazione di Londra (Vict. and Alb. Mus.) e del Dodekáorton sul grande trittico di Firenze (Mus. dell'Opera di S. Maria del Fiore). Venivano realizzate inoltre i. con rivestimento in oro o, più spesso, in argento dorato, anch'esse prodotte prevalentemente nella capitale. Tali rivestimenti, che coprivano solo in parte la superficie dell'i., erano a rilievo eseguito a sbalzo, con fili metallici che formavano cellette ovvero 'filigrane a nastri', ed erano in qualche caso decorati a niello o a smalto; potevano raffigurare santi a mezzo busto, come per es. nella Trinità del monastero atonita di Vatopedi, scene figurate e anche donatori.La produzione delle i. dipinte fu considerevole anche nelle province periferiche dell'impero e negli altri paesi di religione ortodossa come la Serbia, la Bulgaria e la Russia, dove assunse progressivamente carattere nazionale. L'iconografia tuttavia rimase sempre legata alle regole tradizionali, prescritte ancora nell'Ermeneutica della pittura di Dionisio di Furnà, monaco atonita del 18° secolo.
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