ICONOGRAFIA e ICONOLOGIA
L'i. e l'iconologia usano l'immagine, sia essa òpera d'arte' o meno, come fonte storica sui generis per ricostruire il passato. Il significato dei due termini e la loro differenza furono stabiliti nel 1928 da Hoogewerff in un convegno dedicato all'argomento a Oslo (definizione ripresa da Panofsky, 1955); la distinzione è la stessa che intercorre, secondo il paragone istituito dallo studioso, fra geografia e geologia: la prima si occupa dell'aspetto esteriore di un fenomeno, la seconda ne esamina le strutture interne (Cieri Via, 1994, p. 13). Riconoscere nella figura di una donna che tiene in braccio un bambino, entrambi nimbati, la Vergine e Cristo è compito dell'i.; cogliere nel cambiamento di posizione dell'una rispetto all'altro la spia di un nuovo atteggiamento mentale ed emotivo, sintomo di una diversa situazione nella storia della cultura e delle idee, è invece compito dell'iconologia.In Occidente, finché si rappresentò la natività seguendo lo schema bizantino, con la Madonna sdraiata sul letto esausta dopo il parto mentre due levatrici lavano il neonato, si è voluto mettere in rilievo il carattere storico-narrativo dell'evento; quando, a partire dalla fine del Trecento ca., si cominciò invece a rappresentare il Bambino deposto sulla paglia al centro della scena, fra Maria e Giuseppe in ginocchio che gli fanno ala, si intese sottolineare una scena di adorazione: protagonista non è più Maria sofferente ma il Bambino divino. Maria e Giuseppe sono il tramite fra i fedeli e il Salvatore e invitano a identificarsi con loro nel gesto del devoto raccoglimento. Il piccolo sarcofago che a volte sostituisce la paglia come culla allude alla passione redentrice e al sacrificio divino, e intende suscitare da parte dell'osservatore gratitudine ed emozione; illustra - con la stessa chiarezza di un testo scritto - quel nuovo tipo di religiosità sentimentale ed effusiva, sensibile alla vita umana di Cristo più che alla componente divina del giudice terribile, diffusa dagli Ordini mendicanti, in particolare da quello francescano.Per gli studi iconologici è quindi importantissimo considerare le immagini all'interno d'una tradizione, o almeno di un corpus con caratteristiche unitarie, in cui hanno grande peso varianti anche minime. Il favore poi che qualunque immagine ottiene in tali ricerche, a prescindere dal livello artistico raggiunto, porta a prendere in considerazione prodotti spesso umili e opere trascurate, che, pur essendo l'espressione di classi sociali molto ampie, rimasero escluse dal canone dei prodotti artistici propri della classe dominante; in tal modo è possibile recuperare una parte ingente di fonti finora rimaste mute. Si pensi per es. agli ex voto, modesti quadretti che, se interrogati correttamente, possono offrire una messe di informazioni sull'atteggiamento religioso, la società (malattie, mestieri, arredo domestico) e il territorio (l'ambiente rurale o cittadino). A volte poi le immagini, come dimostra il caso clamoroso di s. Francesco, permettono di attingere a un filone di testimonianze di cui non si sospettava l'importanza. La censura che cadde sulle biografie scritte del santo non operò con la stessa capillarità su quelle figurate. Sarebbe stato impossibile distruggere tavole miracolose o comunque oggetto di una intensa devozione, e proprio questa circostanza ha permesso di conoscere un altro Francesco e di dare una interpretazione differente da quella tradizionale a un problema cruciale come quello delle stimmate (Frugoni, 1993).L'immagine, come del resto il documento scritto, è però un messaggio complesso e sta alla finezza, all'esperienza e all'abilità dello storico interpretarla, stabilendo con il tempo che l'ha prodotta la necessaria rete di rapporti. Spesso carica di simboli, con un proprio codice di convenzioni interpretative perfettamente comprensibili per i destinatari del tempo, l'immagine non è oggi alla portata di chiunque: allo stesso modo che una pagina di un manoscritto latino, ovviamente comprensibile al fruitore medievale alfabetizzato, richiede attualmente, per essere letta e capita, almeno la conoscenza della paleografia e della lingua latina. Per una corretta analisi dell'immagine medievale si devono inoltre conoscere il linguaggio dei gesti, il significato dei simboli, dei colori, della posizione reciproca delle figure e della tradizione iconografica; per es. il fatto che Giuseppe nella scena della Natività volga le spalle a Maria o dorma non significa colpevole indifferenza, ma, riprendendo l'i. antica del disconoscimento di paternità, enfatizza la sua estraneità all'evento imposta dal dogma, lasciando con discrezione che sia lo Spirito Santo a illuminare il Bambino divino (Frugoni, 1977).Altro esempio classico di convenzioni dominanti è l'ambito della prospettiva: un'arte religiosa e didascalica come quella medievale riteneva giusto mostrare tutti i dettagli, anche quelli che in teoria sarebbero rimasti invisibili all'osservatore. Se una chiesa, per es., era rappresentata secondo il lato lungo della navata, venivano riportati sul piano anche i lati che secondo regole prospettiche dovrebbero restare nascosti, cosicché l'abside o il campanile, che si dovrebbero disegnare dietro, finiscono alla ribalta, adiacenti al muro della navata. Tante scene svoltesi in un interno vengono trasferite all'esterno, ma non si deve per questo pensare che le annunciazioni o le nascite rappresentate stiano avvenendo all'aperto, al di fuori della città di Nazareth e di Betlemme. Allo stesso modo quello che è dietro viene mostrato sopra, le teste di una folla sono scalate secondo una disposizione in verticale che spetta all'osservatore ricomporre mentalmente: nella Predica agli uccelli da parte di s. Francesco sulla tavola della cappella Bardi in Santa Croce a Firenze, gli animali si dispongono su tante righe, una sopra l'altra, come fossero le linee d'una pagina, mentre devono essere 'visti' a terra, posati sul prato.Le immagini infine non vanno mai scisse dalle fonti scritte coeve, ma intese assieme a queste come due fonti di pari statuto in una reciproca interazione; la separazione di figura e parola è una mutilazione rispetto alla ricostruzione storica di una realtà in cui esse erano naturalmente fuse, nella coscienza di quegli uomini e nel quotidiano scorrere di quelle vite che si vogliono ridestare, a maggior ragione quando scrittura e illustrazione sono poste l'una accanto all'altra sullo stesso medium, come per es. sulla pagina di un manoscritto; solo considerando la reciprocità dei due messaggi si può giungere a una piena comprensione.Una condizione di inevitabile inferiorità patiscono però le immagini rispetto ai testi scritti, molti dei quali vengono letti in edizione critica, perché esse sono spesso danneggiate o pericolosamente ridipinte: falsate, sottoposte ad adeguamenti a seconda che variasse il patrimonio teologico-dogmatico che rappresentavano o per restauri indotti e dissennati. Inoltre la riproduzione fotografica è conquista relativamente recente: per molti secoli citare immagini non fu ovviamente così semplice come citare testi, e comunque non si poté farlo se non a prezzo di copie più o meno fedeli, cosicché la tradizione visiva fu - ed è tuttora per i costi di riproduzione delle illustrazioni - un fenomeno infinitamente meno totalitario della tradizione scritta. Senza contare il peso del pregiudizio aristotelico a favore dell'elemento testuale rispetto a quello visivo. Tutto quanto è stato detto spiega la nascita relativamente recente delle discipline iconografiche e iconologiche, che non si possono far risalire - almeno nei tratti d'una scienza sistematica e consapevole - a prima dei lavori di Aby Warburg (1866-1929) dedicati in gran parte alle influenze e alla persistenza della tradizione classica nell'arte e nella cultura occidentale. Allo studioso si deve anche la fondazione di una straordinaria biblioteca e fototeca, trasportata da Amburgo a Londra (dove ancora si trovano) dopo le persecuzioni razziste, conosciuta oggi come Warburg Institute.
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