ICONOGRAFIA (gr. εἰκονογραϕία)
Arte antica. - Con tale parola s'intende il complesso delle rappresentazioni figurate che riproducono l'aspetto d'un personaggio; quando questi sia realmente esistito, con i suoi caratteri fisici e fisionomici, l'iconografia, nel suo significato più semplice, è formata dai ritratti. Ma poiché questi costituiscono un genere artistico per sé stante, essi vanno considerati a parte (v. ritratto). Quanto all'iconografia degli dei e degli eroi nell'età classica, mentre esiste di ciascuno un certo tipo ideale e convenzionale prevalente, che è la traduzione plastica o pittorica di determinati concetti religiosi e poetici più diffusi nell'antichità e ancor oggi più noti, le rappresentazioni mutano e si evolvono, seguendo il generale sviluppo dell'arte. D'altro lato nell'ambiente greco una stessa divinità fu diversamente concepita nei diversi centri religiosi, le furono prestati culti sostanzialmente diversi e in conseguenza diverse ne furono le immagini.
In linea generale la rappresentazione artistica delle divinità si evolve dall'età più arcaica (quando incomincia a essere antropomorfica, e la figura è caratterizzata essenzialmente dagli attributi) fino a quando si costituiscono i varî tipi di ciascuna, determinati da caratteri differenziali, e si manifesta la tendenza dell'arte matura, già esperta dei mezzi tecnici a dare tipica e significativa espressione a ogni testa eroica o divina. La concezione ideale così dei numi come degli eroi - concezione cui gli artisti dànno forma - riflette tuttavia sempre il gusto e l'indirizzo del pensiero nelle singole età; per esempio fino a tutto il sec. V a. C., e anche in parte del IV, la religione olimpica faceva immaginare i numi grandiosi, austeri e solenni, dalle ampie forme, dagli atteggiamenti gravi e imponenti; dalla metà circa del sec. IV invece non solo si prediligono le divinità giovanili, ma si tende a rappresentare anche gli altri numi con forme slanciate, velate appena da leggiere vesti.
In senso lato si può parlare anche di un'iconografia dei fatti mitici, in quanto la tradizione figurata si riferisce anche alle scene ispirate dal mito, nella quale compare la figura singola.
Arte medievale e moderna. - Nella storia dell'arte medievale e moderna il termine iconografia ha più lata accezione che nella storia dell'arte antica: indica in genere, ma specialmente rispetto a relazioni di tradizione oppure di contrasto tra più opere, quanto concerne il modo di rappresentare nelle arti del disegno, riferendosi sia all'immaginare degli artisti, sia agli studî che lo riguardano. Questi studî, iconografici, non s'identificano con quelli che considerano le opere d'arte in ogni aspetto e soprattutto nell'interezza del loro stile; ne sono tuttavia parte integrante. Essi hanno un oggetto loro particolare - i modi e gli elementi figurativi derivati da tradizioni - che isolano nelle opere d'arte, considerandole analiticamente: procedimento legittimo d'indagine, a cui non si possono negare nemmeno i prodotti d'arte, e necessario perché esso introduce a conoscere fattori spirituali, altrimenti inavvertiti, della concezione artistica.
A chi, osservando in codesto modo parziale, ricerchi nelle opere d'arte certi tratti generici nel rappresentare le immagini (composizione generale delle figure, gesti e loro espressione; particolarità di vestiario, di sfondi, ecc.) si presenta ovvio un fatto importante: quando un soggetto ricorra di frequente nell'arte, le sue rappresentazioni, se pur di tempi, di luoghi, di artisti diversi, mostrano somiglianze e ripetizioni, ora limitate ad alcune parti, ora più vaste, spesso così estese da dimostrare l'accettazione d'uno schema iconografico prestabilito. Né questo si vede soltanto in quei prodotti inferiori d'arte dove si potrebbe spiegare come ripetizione meccanica, fuori d'ogni ispirazione viva; si verifica perfino in altissime creazioni: per esempio negli affreschi di Giotto a Padova (p. es.: Resurrezione di Lazzaro, il cui schema iconografico è già in una miniatura del secolo VI nel codice purpureo di Rossano); nella S. Anna di Leonardo, con una sovrapposizione di figure già usata da un secolo; nella Pietà vaticana di Michelangelo, che ha precedenti di composizione fin dal Trecento. Da ciò si potrebbe dedurre che a nulla giovino gli studî iconografici nel definire il carattere e il valore delle opere d'arte, anzi che essi lo avversino, tutte eguagliandole in somiglianze di soggetto e di tratti generici; e per contrario, col porre in evidenza ciò che vi è di tradizionale nelle opere d'arte, quegli studî fanno risaltare quanto esse hanno di più individuale, in altre parti a cui gli artisti stessi, ideandole, intesero assai più che all'invenzione iconografica.
In questa, per diversi motivi gli artisti non rifuggirono da quelle ripetizioni, e spesso si adattarono a vere tradizioni iconografiche. Motivo non raro furono la scarsa facoltà o l'inerzia dell'immaginare, favorite dall'uso frequente delle copie e di serbar memoria di composizioni e di particolari d'opere d'arte in taccuini di disegni. Ma un motivo assai più forte, e d'arte, fu che i soggetti ripetutamente e a lungo trattati, dopo esser giunti, anche attraverso una lenta elaborazione, a comporsi in un insieme estremamente chiaro, o soddisfacente, o decifrabile subito da tutti, furono poi mantenuti appunto per ciò in quelle loro compiute linee iconografiche: ed è singolare documento letterario di tale tradizione, illustrato da molti monumenti figurati, il Manuale della pittura del Monte Athos, opera di redazione tarda (sec. XVIII) ma di antica tradizione iconografica, che stabilisce a grandi tratti le composizioni, i particolari, la disposizione delle scene e delle figure sacre da dipingere nelle chiese. Quei motivi erano rincalzati da necessità estranee all'arte ma inevitabili: le imposizioni dei committenti delle opere, e soprattutto, mentre l'arte serviva a ornare gli edifici sacri, la vigilanza e perfino l'intervento (basti ricordare l'azione del Concilio di Trento) della chiesa a frenare la libertà degli artisti, a costringerli in tradizioni accettate.
Risultato non trascurabile degli studî iconografici è spesso il sicuro deciframento dei soggetti, anche se possa essere indifferente alla più pura contemplazione dei capolavori, intenta a ciò ch'essi hanno di più profondo e universale. Quel deciframento può condurre l'iconografia a uno dei suoi risultati più notevoli: a ritrovare tra le opere d'arte e la cultura del loro tempo relazioni altrimenti non sospettate, o non bene accertate, dalle quali l'opera d'arte è chiarita e acquista nuovo valore per la storia del pensiero; così l'aver ritrovato i rapporti fra le rappresentazioni dei sarcofagi cristiani e le preghiere per i defunti ha spiegato l'affollarsi di figure in quei rilievi, apparentemente disordinato, e la loro semplificazione; così nelle sculture delle cattedrali gotiche sono riapparse in visibile modo tante dottrine e tante credenze del Medioevo. Risultati ancor più preziosi, e suoi proprî, dà l'iconografia alla storia dell'arte riuscendo a porla o a confermarla sulla traccia di fattori che operarono nell'arte, non soltanto negli schemi iconografici, quando essa ritrova influssi e correnti d'arte, anche dal remoto (e ben lo dimostra l'iconografia dei mosaici della Genesi nel S. Marco di Venezia, collegata a miniature del sec. VI), accertabili nei caratteri iconografici prima che in altri aspetti. Basti ricordare per un esempio, sebbene d'interpretazione non sempre pacifica, come l'iconografia del Crocifisso riveli o confermi l'esistenza di contrastanti correnti d'arte nell'Italia medievale, tra Oriente e Occidente, prima con la diffusione del tipo siriaco del Crocifisso dalla lunga tunica, poi col Cristo vivente e quasi ignudo (qualche volta con corona regale come nell'arte oltramontana) che infine cede al Cristo già spirato, secondo il più comune canone bizantino, mentre nel sec. XIII tutta la pittura era sempre più invasa dai modi bizantini.
Non è possibile dettare precise norme alle ricerche sulla svariatissima materia iconografica, ma giovano alcune riflessioni generali. Nella esegesi delle singole opere d'arte è da tener conto di tutti gli elementi che ad esse abbiano potuto offrire materia, non dipendenti dall'immaginativa dell'artista (cultura del tempo, fonti letterarie, credenze religiose, ecc.), ma soprattutto è da ricercare se non si ritrovino rappresentazioni analoghe, in tutto o in parte, che possano guidare a chiarire il soggetto da decifrare. Nello studio iconografico di un tema (p. es.: iconografia del Cristo; dell'Ultima Cena, ecc.) la ricerca si deve prima fare in estensione raccogliendo il maggior numero possibile di monumenti, poi dovrà volgersi a distinguere i principali schemi iconografici in quanto hanno di più caratteristico, a ritrovare il tempo e il luogo di formazione, le reciproche relazioni, il modo e le cause del loro variare, ecc.
Dell'iconografia in senso più ristretto, cioè come ritrattistica, si occupa una Commissione per l'iconografia nel Comitato internazionale di scienze storiche.
Bibl.: Per l'arte antica, v. G. E. Rizzo, Storia dell'arte greca, Torino 1913, p. 40 segg. - Per l'arte medievale e moderna: opere generali: Annales archéologiques, Parigi 1844-1881; A. N. Didron, Manuel d'iconographie chrétienne, Parigi 1845 (trad. francese del Manuale del pittore trovato nei monasteri del M. Athos, ed edito anche nell'originale da A. Papadopoulos Kerameus, Διοννσίου τοῦ ἐκ Φουρνᾶ ‛Ερμηνεια τῆς Ζωγραϕικῆς, Pietroburgo 1909); X. Barbier de Montault, Traité d'iconographie chrétienne, Parigi 1890; K. Künstle, Ikonographie der christlichen Kunst, Friburgo 1926-28; Ch. Cahier, Caractéristiques des Saints, Parigi 1867; Ch. Rohault de Fleury, Les Saints de la Messe, Parigi 1893 segg.; H. W. Singer, Allgemeiner Bildniskatalog, Lipsia 1930, voll. 6. - Alcuni studi di maggior importanza: N. Kondakoff, Iconografia di G. Cristo, Pietroburgo 1905; id., Iconografia della Madonna, ibid. 1911; J. Strzygowski, Ikonographie der Taufe Christi, Monaco 1885; H. Kehrer, Die heiligen drei Könige in Literatur und Kunst, Lipsia 1909; E. Mâle, L'art religieux du XIIe siècle en France, Parigi 1928; id., L'art religieux du XIIIe siècle en France, Parigi 1931; id., L'art religieux après le concile de Trente, Parigi 1932; O. Grossmann, Das Reiterbild, Berlino 1931; W. Stechow, Apollo und Daphne, Lipsia 1932; E. Müntz, Le Musée de portraits de P. Jove, Parigi 1900; F. Kenner, Die Porträtsammlung d. Erzherz. Ferdinand v. Tirol, in Jahrb. d. kunsth. Samml. d. aller. Kaiserh., XVIII (1897), pp. 181-261. - Importanti le pubblicazioni della "Warburg Bibliothek" di Amburgo. Bibliografia corrente in Byzantinische Zeitschrift (Lipsia 1892 seguenti), in Repertorium für Kunstwissenschaft (Stoccarda-Berlino 1876 seguenti) e in altri periodici.