idea
Nel linguaggio dantesco, il termine i. vale " causa esemplare e formale ", " modello ", e ritiene il significato proprio della dottrina platonica, cui D. spesso esplicitamente si richiama.
Innanzi tutto, i. per eccellenza è il Verbo o Intelletto divino, che è il luogo delle i., e, generalmente, il modello ideale del creato. Così in Pd XIII 53 Ciò che non more e ciò che può morire / non è se non splendor di quella idea / che partorisce, amando, il nostro Sire: tutto ciò che è creato da Dio direttamente (ciò che non more) e mediatamente (ciò che può morire) è effetto del Verbo, generato dal Padre con atto d'amore.
L'esposizione dantesca fa propria la dottrina neoplatonica che presenta l'emanazione dall'Uno come il diffondersi della luce da un unico centro (cfr. Plotino Enn. V 1, 6 e VI 8, 18; Alberto Magno Metaph. I IV 10, 61a " quoniam ex quo secundae causae virtutem causandi esse non habent a se, sed a lumine super eas a prima causa fluente, lumen primae causae causativum est omnis esse, et sic nihil in esse actu constituitur nisi a lumine causae primae ", e XI II 21, 509a " fons totius luminis est esse et prima causa "). I commentatori antichi ritengono che i. stia per " forma exemplaris " (Benvenuto), " causa formalis " o " exemplaris " e cioè " rationes in ipsa mente divina existentes " (Pietro), " forma, o vero ragione stabile et incommensurabile de le cose che non sono anco formate " che " si contiene ne la divina mente e non nasce e non muore " (Buti): si tratterebbe cioè dell'i. delle cose che Dio ha in sé, non del Verbo; ma, a parte la considerazione che ciò che è in Dio è Dio stesso e quindi l'i. nel Verbo è lo stesso Verbo, il testo sembra giustificare meglio la lettura proposta (fatta propria, tra l'altro, dal Sapegno): il ché del v. 55 essendo esplicativo, l'espressione splendor di quell'idea è illustrata dalle parole quella viva luce... per sua bontade il suo raggiare aduna (vv. 55 e 58), dove viva luce sta certamente per la seconda persona della Trinità.
In secondo luogo, i. sono, secondo Platone, le Intelligenze: Cv II IV 5 E volsero che sì come le Intelligenze de li cieli sono generatrici di quelli [cieli], ciascuna del suo, così queste [altre Intelligenze] fossero generatrici de l'altre cose ed essempli, ciascuna de la sua spezie; e chiamale Plato ‛ idee ', che tanto è a dire quanto forme e nature universali. Le Intelligenze delle cose di quaggiù sono generatrici di queste cose e delle loro forme (essempli; ma v. FORMA).
Più generalmente i. è, ancora secondo Platone, il principio unico di ogni specie di esseri, così come l'i. di uomo lo è dell'uomo: Cv IV XV 6 avvegna che 'l Filosofo non pogna lo processo da uno primo uomo, pur vuole una sola essenza essere in tutti li uomini, la quale diversi principii avere non puote; e Plato vuole che tutti li uomini da una sola Idea dependano, e non da più, che è dare loro uno solo principio. Sottolineando la differenza tra Aristotele e Platone, D. ricorda che il primo ammette un solo principio per tutti gli uomini, principio che fonda la comunanza dell'essenza (ed è la forma, individuata dalla materia), mentre il secondo sostiene l'esistenza dell'i. trascendente di uomo, alla quale ogni individuo umano sarebbe legato da un rapporto di partecipazione o d'imitazione.
In Mn III XII 7 i. vale " modello ", " paradigma ", e quindi " misura ideale " in una specie, nel caso specifico, dell'uomo: Nam, prout sunt homines, habent reduci ad optimum hominem, qui est mensura omnium aliorum, et ydea, ut dicam, quisquis ille sit, ad existentem maxime unum in genere suo: ut haberi potest ex ultimis ad Nicomacum (per il luogo aristotelico, il Ricci rimanda a Eth. Nic. X 2, 1173a 26 e 5, 1176a 16, ma il Vinay ricorda la parafrasi tomistica a IX 4, nr. 1803 " In quocumque enim genere [oportet] habere pro mensura id quod est perfectum in genere illo, in quantum scilicet omnia alia iudicantur vel maiora vel minora, secundum propinquitatem vel remotionem a perfectissimo. Unde, cum virtus sit propria perfectio hominis, et homo virtuosus sit perfectus in specie humana, conveniens est, ut ex hoc accipiatur mensura in toto humano genere ". Si veda anche Mn III XV 3, dove D. afferma che la vita di Cristo ydea fuit et exemplar militantis Ecclesiae: qui i. è " misura ideale ", " norma " (cfr. Petr. i Epist. 5, 3 " neque ut dominantes in cleris, sed forma [τύπος] facti gregis ex animo ").