Identità del fatto e ne bis in idem
La pronuncia 21.7.2016, n. 200 della Corte costituzionale, che ha fatto seguito alla sentenza della C. eur. dir. uomo, 10.2.2009, Zolotoukhine c. Russia, ha segnato una svolta decisiva per definire la medesimezza del fatto ai fini del divieto di bis in idem in materia penale. Il contributo che segue esamina la fattispecie, ponendo in luce la definitiva affermazione della nozione di idem factum,e la crisi del modello applicativo dell’art. 649 c.p.p. seguito dalla giurisprudenza nazionale. In particolare, la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p. potrebbe condurre a ulteriori sviluppi, ove si evolvesse la giurisprudenza europea.
SOMMARIO 1. La ricognizione 2. La focalizzazione 2.1 Il caso Eternit 2.2 La costituzionalizzazione dell’idem factum 2.3 Il definitivo superamento dell’idem legale 2.4 Concorso formale di reati e bis in idem 2.5 La nozione polivalente di idem factum 3. I profili problematici
I criteri per identificare la medesimezza del fatto, ai fini del divieto di bis in idem in materia penale, sono da sempre oggetto di controversia in letteratura, pur a fronte di una giurisprudenza di legittimità saldamente ancorata alla verifica della unicità di condotta, nesso causale ed evento, nell’ambito di una nozione empirica di tali elementi (cd. idem factum). Tuttavia, l’omogeneità dell’indirizzo curiale non sana la ferita del confronto dialettico, giacché, in realtà, numerosi restano i profili critici di una disciplina, che, riannodandosi ad un principio di civiltà giuridica, meriterebbe invece un assetto di più confortante certezza. In particolare, possono individuarsi due punti di fibrillazione. Anzitutto, la scelta di campo a favore dell’idem factum in luogo dell’idem legale espone il fianco alla critica per cui spetta pur sempre al diritto selezionare i tratti di un accadimento che assumono rilievo normativo. La qualificazione giuridica del fatto, per testarne la medesimezza, sarebbe perciò inevitabile, come affermato di recente dal Tribunale costituzionale spagnolo1. In secondo luogo, tale ultimo rilievo apre le porte ad un inquinamento della coerenza giurisprudenziale, che, pur postulando la bontà dell’idem factum, ripiegherebbe in concreto su criteri attinenti alla natura del reato e del bene giuridico tutelato, tali da segnare la rivincita dell’idem legale. Infine, quand’anche si sappia rifuggire dalla tentazione di colorare il fatto grazie alla tavolozza impressa dai criteri normativi, è comunque incerta l’identificazione dei segmenti di esso da assumere in considerazione, ovvero se attenersi alla mera condotta dell’agente, oppure includervi l’oggetto su cui essa si esercita, o finanche l’evento naturalistico che ne è conseguito.
Infatti, pur nell’ambito della concezione naturalistica del fatto, si potrà sostenere, perlomeno, che per medesimo fatto deve intendersi: a) l’identità della condotta (azione o omissione) realizzata dall’agente, ovvero il «movimento corporeo o inerzia», già oggetto di accertamento nel primo giudizio2; b) l’identità della condotta inclusiva, tuttavia, dell’«oggetto fisico» su cui essa eventualmente cade, perché aver colpito Caio è diverso dall’aver colpito Sempronio3; c) la triade «condotta-nesso di causalità-evento», pur da dosare secondo un apprezzamento storico4, perché avere leso Caio è diverso dall’averlo ucciso.
Nella palude dell’ormai stanco dibattito nazionale, ancora una volta, ha agito lo tsunami del diritto europeo, che, quanto alla CEDU, enuncia il principio ne bis in idem in materia penale all’art. 4 del Protocollo addizionale n. 7. Fin dalla sentenza della Grande Camera 10.2.2009, Zolotoukhine c. Russia, la C. eur. dir. uomo ha sposato definitivamente, dopo pronunce contrastanti, l’approccio naturalistico al fatto, venendo sulla posizione assunta, sulla base dell’art. 50 della Carta di Nizza, anche dalla Corte di giustizia5. Nel giro di pochi anni, e in occasione di un processo che ha suscitato vasta eco mediatica (il caso Eternit), la novità ha prodotto effetti sistemici dirompenti, ma benefici, nell’ordinamento giuridico nazionale, generando una questione di costituzionalità che ha smascherato l’ipocrisia di certe formule apparentemente anodine, ma in sostanza regressivamente punitive, della nostra giurisprudenza, incrementando il livello di tutela dei diritti. La Corte costituzionale non si è sottratta alla dichiarazione di incostituzionalità di un diritto vivente, formatosi sull’art. 649 c.p.p., che aveva ormai circa 80 anni di esistenza sulle spalle, confermando di essere pronta a conferire attuazione alla CEDU, quando davvero il caso lo richieda.
Giova anzitutto riassumere il caso Eternit, risolto dalla sentenza n. 200/2016 della Corte costituzionale, per poi verificare che insegnamenti se ne possano trarre, con riferimento ai profili problematici enunciati nel paragrafo precedente.
Un dirigente della società Eternit è stato rinviato a giudizio una prima volta in relazione ai reati previsti dagli artt. 434, co. 2, e 437, co. 2, c.p. Nella sostanza, gli si è addebitato di avere dolosamente omesso gli accorgimenti tecnici necessari a prevenire l’inquinamento ambientale da amianto, indotto dagli stabilimenti industriali del gruppo. A tale condotta sarebbero dovute la malattia o la morte di circa duemila persone. A seguito dell’estinzione per prescrizione dei delitti di pericolo originariamente contestati, il pubblico ministero ha esercitato l’azione penale verso il medesimo imputato, stavolta con riferimento al delitto di omicidio doloso. Il giudice dell’udienza preliminare, nel sollevare questione di legittimità costituzionale, ha ritenuto che l’art. 649 c.p.p., come interpretato dal diritto vivente, gli imponesse di escludere il bis in idem, benché il fatto, alla luce della unicità della condotta dell’agente, dovesse ritenersi il medesimo. In particolare, secondo il rimettente, la giurisprudenza di legittimità avrebbe imposto di valutare la medesimezza dell’evento in senso giuridico, ovvero avuto riguardo alla natura del reato e agli interessi tutelati (e, in tal caso, l’evento morte di cui all’art. 575 c.p. si sarebbe differenziato dal disastro e dall’infortunio previsti dagli artt. 434 e 437 c.p.); in ogni caso, i reati già giudicati e l’omicidio si troverebbero in rapporto di concorso formale, con l’effetto di inibire l’applicazione dell’art. 649 c.p.p. Da ciò il contrasto con la CEDU, che esigerebbe invece di valutare la medesimezza del fatto con esclusivo riguardo alla condotta dell’agente.
La Corte costituzionale si è prodotta in un’articolata risposta. Anzitutto, ha rinvenuto un fondamento costituzionale al divieto di bis in idem in materia penale negli artt. 24 e 111 Cost., e lo ha dimensionato con riguardo alla sola scelta dell’idem factum, in luogo dell’idem legale. Poi ha testato con favore, alla luce della Costituzione, l’opzione del diritto vivente nazionale per lo schema triadico “condotta-nesso causale-evento”, ma alla tassativa condizione che tali elementi, e l’evento nello specifico, siano valutati nella sola componente empirica. Ciò premesso, la Corte ha reputato compatibile con la consolidata giurisprudenza della C. eur. dir. uomo quest’ultimo approdo, escludendo che il giudice di Strasburgo esiga, invece, di limitare il test comparativo alla azione od omissione dell’imputato. Infine, la Corte ha preso atto che il divieto di applicare l’art. 649 c.p.p. per la sola circostanza che ricorra concorso formale di reati contrasta, invece, con l’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, perché allontana il giudice penale dal giudizio sulla medesimezza del fatto storico (il solo a rilevare), prescrivendogli un’indagine sulla convergenza reale di norme incriminatrici connaturata alle scelte sostanziali di penalizzazione del legislatore, ma non alla assolutezza del divieto processuale di procedere nuovamente.
Un primo effetto importante della giurisprudenza europea è che essa ha condotto la nostra Corte a fornire all’art. 649 c.p.p., legato al fatto storico, una copertura costituzionale, di cui finora era privo. Questa operazione prende implicitamente le mosse dal ripudio della diffusa idea secondo cui la decisione sul rilievo dell’idem factum, piuttosto che dell’idem legale, dipenda da una scelta interamente legislativa6. Sono, infatti, le ragioni del costituzionalismo classico, barriera di protezione dell’individuo contro gli abusi di un potere eteronomo e privo di limiti opponibili all’interesse pubblico, a dirigere l’interprete verso una concezione rigorosamente empirica del fatto. In caso contrario, nella moltiplicazione delle figure di reato si nascondono l’insidia dell’arbitrio punitivo e la perenne compressione delle libertà (che sono poste a repentaglio, ed è un’altra affermazione molto significativa, per la sola precarietà cui ne è costretto il godimento, nella pendenza del processo penale). Certo, un’altra soluzione è possibile laddove la fairness processuale, in particolare da parte della pubblica accusa, divenga oggetto di un sindacato giudiziario idoneo a travolgere la legalità stessa degli atti compiuti dall’apparato statale repressivo. Nell’ordinamento italiano, ancora lontano dalla suggestione di moduli così flessibili, il solo usbergo è offerto dalla rigida regola normativa. È vero che il fatto storico resta oggetto di una descrizione normativa. Essa, tuttavia, è un posterius rispetto alla materialità dell’accadimento. Prima vi è il gesto e ciò che ne viene, e solo in seguito si decide se ciò possa o no ricondursi a una figura legale. Quando ciò accade, siamo già sul piano della qualificazione giuridica, ma con ciò nulla è aggiunto e nulla è tolto alla verifica aletica per cui A è A. Normativa, piuttosto, è la decisione di definire i contorni di A con riferimento alla sola condotta, oppure all’oggetto di essa, ovvero anche all’evento che ne è causato. Ma questo è un discorso che non riguarda più la medesimezza del fatto (e, quindi, il giudizio comparativo tra accadimenti, che è il nucleo del principio ne bis in idem) quanto invece ciò che per fatto penale debba intendersi in un certo ordinamento giuridico.
Benché in apparenza innocuo, l’avallo concesso dalla nostra Corte al carattere storico-naturalistico della triade “condotta-nesso causale-evento” segna, in realtà, un punto di svolta nella metodica curiale di accertamento della medesimezza del fatto ai fini dell’art. 649 c.p.p. Perché, se è vero che esso corrisponde a quanto predicato dalla Corte di cassazione a Sezioni Unite, è altrettanto innegabile che, nella pratica, numerosissimi sono stati fin’ora i casi in cui si è razzolato nell’orto dell’idem legale. Per limitarsi a pochi esempi, si è così escluso un bis in idem: nel rapporto tra appropriazione indebita e bancarotta fraudolenta per distrazione del medesimo bene (Cass. pen., 29.10.2014, n. 48743); tra i reati di collusione del militare della Guardia di finanza e di corruzione, avendo essi diverse obiettività giuridiche (Cass. pen., 29.1.2014, n. 12943); tra la distruzione di documenti contabili a titolo di bancarotta fraudolenta e la medesima distruzione punita ad altri fini dalla legge tributaria (Cass. pen., 1.3.2011, n. 16360); con riguardo all’omesso versamento, in un unico contesto di accertamento doganale, dei diritti di confine e dei diritti di monopolio sui tabacchi (Cass. pen., 16.11.1999, n. 3755). Sono tutti casi che, a seguito della pronuncia della Corte costituzionale, andrebbero e andranno decisi nel senso opposto, a pena di una dichiarazione di incostituzionalità che potrebbe nuovamente colpire l’art. 649 c.p.p., ove ciò non accadesse. Per essi, infatti, al di là delle formule impiegate nell’ottica del galateo istituzionale tra Corti nazionali, e del riconoscimento di un diritto vivente contrario (ma dai contorni in realtà sbiaditi), la sentenza n. 200/2016 vale, piuttosto, come una decisione interpretativa di rigetto, che preannuncia un ulteriore intervento, in caso di resistenza da parte del giudice di legittimità.
Il capo di accoglimento della sentenza n. 200/2016 offre almeno due spunti stimolanti. Per un verso, esso impone la capitolazione ad un caposaldo della teoria, pur autorevolmente sostenuta, del cd. Tatbestand concreto, che, convinta del carattere illusorio di una concezione meramente naturalistica del fatto, considera il bis in idem processuale una mera proiezione del bis in idem sostanziale, avallando la regola giurisprudenziale che esclude(va) l’applicazione dell’art. 649 c.p.p. al concorso formale di reati7. Per tale tesi, se manca quest’ultimo (e non vi è quindi concorso di norme, se non apparente), sarà vietato procedere nuovamente. Se, invece, il concorso è reale, al cumulo dei reati dovrebbe seguire la duplicazione dei processi, anche quando il primo si è concluso con una pronuncia definitiva. Una conclusione che pare in netto contrasto con le ragioni giustificatrici che separano le scelte di politica criminale dal fascio delle garanzie processuali, ad esse opponibili inderogabilmente, e che la Corte costituzionale ha giustamente ripudiato. Per altro verso, si fa ulteriore chiarezza su un punto che curiosamente stenta a essere percepito con la dovuta nitidezza: il divieto di bis in idem, nello stesso sistema della CEDU, ha esclusivo carattere processuale, e non sostanziale. Il legislatore resta libero di duplicare illeciti penali (ex art. 7 CEDU) e sanzioni, a condizione che, formatosi un giudicato, non si proceda nuovamente per il medesimo fatto storico.
Il nodo tra le alternative concezioni di fatto storico cui si è accennato nel primo paragrafo non è sciolto definitivamente dalla Corte costituzionale, che non ne aveva necessità. È stato sufficiente verificare che esse sono tutte compatibili con la radice costituzionale del divieto di bis in idem, ovvero con una proiezione naturalistica dell’accadimento, e con lo stato attuale del diritto europeo. Ciascuna di esse, sia pure con gradi differenti, soddisfa le esigenze poste a fondamento del divieto, perché vale a scongiurare uno stato di perenne inquisizione a carico dell’imputato e a prevenire al contempo il contrasto di giudicati. Da un punto di vista epistemologico il fatto non è necessariamente restringibile alla condotta, perché si presta a includere l’episodio della vita oggetto del giudizio penale e dunque a raggiungere con ciò gli accadimenti materiali che esorbitano dal movimento corporeo o dall’inerzia dell’agente, ma che ugualmente connotano quanto successo. Tuttavia, la sopravvivenza della triade “condotta-nesso causale-evento” è incerta, perché essa non è costituzionalmente illegittima, ma neppure costituzionalmente necessaria. Lo stadio vigente della giurisprudenza della C. eur. dir. uomo fa inclinare il piatto verso la compatibilità del nostro assetto con la Convenzione, ma non si possono escludere sviluppi più garantisti, che ci obbligherebbero a riposizionarci lungo l’asse dell’idem factum, benché non manchino in Europa indicazioni di segno opposto8.
Questo, dunque, è il dilemma attuale. Il diritto vivente europeo evolverà verso una nozione di idem factum più sensibile alla tutela dell’imputato, o si frenerà a favore di un afflato vittimologico, che tenga in considerazione le pretese punitive avanzate dalle vittime dei reati più gravi? Arriverà il momento in cui la C. eur. dir. uomo prenderà partito per la tesi che valuta la medesimezza del fatto alla luce della sola condotta? Non è ancora così, perché vi sono indizi che il fatto muta, se cambia l’oggetto dell’azione (la sentenza n. 200/2016 non manca di citare i precedenti in tal senso), ma siamo pur sempre nell’ambito di giudizi casistici, affollati da criteri valutativi troppo numerosi e indefiniti per trarne convincimenti sistematici. Né si può dire che il giudice di Strasburgo abbia finora valutato la questione della rilevanza e della medesimezza dell’evento in senso storico. Per ora, infatti, la nostra Corte ha avuto la buona ventura di avere pubblicato per tempo la sentenza 26.3.2015, n. 49, che l’ha tolta da un grave imbarazzo. Con la sentenza 14.1.2016, Tsonev c. Bulgaria, infatti, la C. eur. dir. uomo sembrerebbe affermare che deve reputarsi medesimo il fatto di percuotere una persona e di cagionarle lesioni. Saremmo quindi in presenza di un reato progressivo che il nostro diritto, per supposte ragioni di equità, sottrae al divieto di bis in idem, grazie al mutamento dell’evento naturalistico9. Ma non siamo (ancora) sul terreno del diritto vivente, una rondine non fa primavera, e la Corte costituzionale può disinteressarsi dell’oscuro precedente, da non disattendere necessariamente, ma verosimilmente poco meditato in tutte le sue gravi implicazioni. In ogni caso, il futuro resta dubbio, e gli sviluppi della nozione di medesimezza del fatto, stante l’agnosticismo della Costituzione sul punto (una volta assicurato l’idem factum), sono interamente rimessi alle valutazioni che verranno da parte della Corte di Strasburgo, se consolidate (sentenza n. 49/2015).
Note
1 STC 77/2010. Bockel, B., The ne bis in idem principle, in EU law, 2010, 173 ss.
2 Pagliaro, A., voce Fatto, in Enc. dir., Milano, 1967, 951 ss.; Leone, G., Manuale di diritto processuale penale, XI ed., Napoli, 1982, 705 ss.
3 Cordero, F., Procedura penale, VIII ed., Milano, 2006, 1217 ss.
4 Cass. pen, S.U., 28.6.2005, n. 34655.
5 C. giust., 9.3.2006, C.436/04, Van Esbroeck; C. giust., 18.7.2007, C.367/05, Kraaijenbrink; C. giust., 16.11.2010, C.261/09, Mantello.
6 De Luca, G.,voce Giudicato, in Enc. dir., Milano, 1990, par. 4.
7 De Luca, G., Giudicato, cit.; Lozzi, G., Lezioni di procedura penale, X ed., Torino, 2015, 797 ss. Ha invece precorso la posizione della Corte costituzionale Cordero, F., Procedura, cit., 1217 ss.
8 Il riferimento è al Criminal Justice Act 2003, che, per i reati più gravi, ha affievolito il divieto inglese di double jeopardy.
9 Non diversa è la risposta di altri ordinamenti: per gli USA, ad esempio, si veda la Corte di appello della California, sentenza 24.1.91, Bivens c. California.