identità
Falso Sé
Il falso Sé si riferisce a quella parte del Sé che riflette l’adattamento compiacente alle richieste dell’ambiente, in contrapposizione al vero Sé, la sede più intima e autentica degli affetti e dei bisogni. Mentre al falso Sé si attribuisce una collocazione di superficie nella struttura della personalità, in relazione agli aspetti per così dire ‘visibili’ di questa nel contesto interpersonale, il vero Sé ha una collocazione più profonda e non si rivela con facilità, rappresentando gli aspetti più fragili e meno difesi dell’individuo. La locuzione falso Sé è stata introdotta dallo psicoanalista Donald Winnicott, che ha contribuito in modo rilevante all’ampliamento delle teorie psicoanalitiche sulle prime fasi dello sviluppo della personalità e della sua struttura.
Poiché in riferimento all’identità si utilizza talvolta il termine Io e talaltra il termine Sé, bisogna sottolineare che i due non sono sinonimi in quanto fanno riferimento a concetti emersi in momenti diversi della storia della psicoanalisi. L’Io fa parte del corredo psicoanalitico originario: Sigmund Freud ne descrisse in dettaglio origine, funzioni, struttura e psicopatologia lungo il corso di tutta la sua opera. Il Sé è invece un costrutto che comincia a comparire come entità a sé stante nella teoria psicoanalitica della personalità solo alla fine degli anni Quaranta del 20° secolo. Con il Sé si vuole indicare un aspetto esperienziale, vale a dire l’esperienza del soggetto in rapporto alla propria vita vissuta e alla propria interiorità. Tale aspetto coinvolge le funzioni autoriflessive, l’immagine di sé, la registrazione dei propri cambiamenti nel corso del tempo. Il Sé si riferisce inoltre alla totalità psicofisica della persona, a differenza dell’Io che nella metapsicologia freudiana è una delle agenzie psichiche insieme all’Es e al Super-Io.
La genesi e la natura del falso Sé possono essere meglio comprese se riferite alla teoria dello sviluppo proposta da Winnicott e alla natura dei primi rapporti del bambino con l’ambiente. Nelle prime settimane di vita del bambino, la madre sviluppa una capacità elettiva nel riconoscerne i bisogni e nel soddisfarli. Se prendiamo come prototipo di questa situazione l’allattamento, la madre arriva proprio nel momento in cui il bambino ha fame e desidera il seno. Questa esperienza, che si ripete in modo costante, fa sì che nel bambino si crei un’area di illusione che è necessaria e fisiologica nei primi tempi di vita: l’illusione di creare egli stesso il seno. In altri termini, il bambino molto piccolo crede di soddisfare egli stesso i propri bisogni creando l’oggetto medesimo del bisogno; questa fase è chiamata da Winnicott fase di onnipotenza. Successivamente la madre comincia a differire la risposta al bambino e a offrirgli qualcosa di diverso da quel che egli si aspetta, ma ciò avviene gradatamente e con una progressione guidata dalle particolari capacità empatiche della madre. Per es., nella fase di svezzamento, il piccolo desidera e si aspetta ancora le sensazioni proprie del contatto con il seno, mentre dovrà adattarsi alle sensazioni ben diverse del cucchiaino e del cibo semisolido. Più il bambino ha sviluppato, nella fase dell’onnipotenza, fiducia nel fatto che l’oggetto del suo desiderio può essere trovato, più sarà in grado poi di tollerare situazioni nuove.
Se il percorso che va dall’onnipotenza alla disillusione non avviene in modo adeguato, il piccolo, per non perdere l’oggetto di cui ha assoluto bisogno per la propria sopravvivenza psicofisica, attiva troppo precocemente parti del Sé che sono costrette ad adattarsi in modo passivo. Ciò però avviene al prezzo di una totale separazione da quella parte del Sé (appunto, il vero Sé) che è sede dei bisogni affettivi primari come il bisogno di essere sostenuto (concetto winnicottiano di holding, lett. «abbracciare»), compreso, protetto. Si sviluppa quindi un falso Sé che può trarre in inganno l’ambiente riguardo alla salute e all’integrità psicofisica del bambino prima, e del ragazzo e dell’adulto poi. Gli individui che sviluppano un falso Sé possono apparire ben integrati nell’interazione con l’ambiente, perché sono particolarmente capaci di intercettare le aspettative di chi li circonda e adeguarvisi. Il prezzo di questa compiacenza è però la perdita dell’autenticità, della spontaneità e creatività dell’individuo nella relazione con l’altro, che quindi non può essere profonda. Lo sviluppo del falso Sé presenta un ventaglio di gradazioni estremamente ampio. L’esistenza di una minima quota di falso Sé è necessaria per interagire con ambienti non familiari o nuovi ed è una misura di protezione fisiologica nei confronti del vero Sé, che non può essere troppo facilmente esposto all’ambiente. In questo caso, minime tracce di falso Sé appaiono integrate con il vero Sé che non risulta impoverito, bensì protetto. All’opposto, una strutturazione rigida e onnipresente del falso Sé interviene a scapito della sopravvivenza stessa del vero Sé e si riscontra nelle psicopatologie gravi e nelle psicosi.
La cosiddetta personalità ‘come se’ differisce per molti aspetti dal falso Sé, e fu descritta per la prima volta dalla psicoanalista Helen Deutsch. Mentre il falso Sé non corrisponde a un quadro psicopatologico vero e proprio (anche se può contribuire a crearlo), e può presentarsi in forme diverse che vanno dalla normalità alla grave patologia, la personalità ‘come se’ costituisce sempre un grave disturbo dell’identità. Si tratta di personalità spesso dotate intellettualmente e che sembrano relazionarsi con facilità. Queste qualità però sono dovute a una spiccata capacità imitativa di superficie e a mutazioni camaleontiche nel passaggio da un ambiente a un altro, ma senza che vengano costruiti rapporti di autentica amicizia e relazioni affettive durature. Questi individui danno agli altri l’impressione di qualcosa di mancante o di falso nel loro modo di porsi; dietro la loro prontezza imitativa e la loro maschera sociale un grave vuoto di identità e la mancanza di un nucleo vitale e creativo.