identità
Il senso della continuità del proprio essere nel corso del tempo, accompagnato dalla consapevolezza della propria diversità dagli altri individui. Il termine, di grande rilevanza in filosofia, sociologia, psicologia, in psicoanalisi non ha uno statuto concettuale netto e definito e si riferisce a tutto ciò che, nel suo insieme mente-corpo, caratterizza un individuo.p
Sigmund Freud ha sempre evitato di dare un valore assoluto categorico ai vari concetti che andava via via formulando e modificando nel corso delle sue speculazioni e usò il termine identità una sola volta in tutta la sua opera, nel Discorso ai membri dell’Associazione B’nai B’rit (1926), in cui cercava di spiegare i suoi rapporti col giudaismo, connotando implicitamente il concetto di i. con una qualità di eredità filogeneticamente intesa. Scrisse invece frequentemente di identificazione, intesa come l’espressione più antica di un vincolo emotivo con un’altra persona (per es., nell’infanzia), o come delega a un leader di parti idealizzate di sé nei fenomeni di gruppo (Psicologia delle masse e analisi dell’Io, 1921).
Il senso soggettivo d’i. non è un dato, ma un processo che si costruisce a partire dall’immagine corporea, che è alimentata da stimoli sensoriali interni ed esterni prodotti dalle relazioni affettivamente significative nel corso della maturazione e della crescita. La prima immagine di sé viene rimandata al bambino dallo sguardo materno. Il primo nucleo dell’i., in cui il corpo viene rappresentato nella mente, è soggetto a continue regolazioni a seconda delle modificazioni reali del fisico (adolescenza, maternità, invecchiamento, malattia), che avvengono nel corso della vita e delle vicissitudini relazionali. L’i. è composta da tanti livelli: anatomici, biologici, di orientamento sessuale, pulsionale, psicologici, nel senso di appartenenza a un genere sessuale o a un gruppo sociale e di stabile organizzazione di particolari meccanismi di difesa che costituiscono il carattere. L’i. è quindi al tempo stesso connotata dalla stabilità e dal cambiamento, in un processo dinamico interpersonale e intrapsichico, segnato da progressive identificazioni e disidentificazioni.
La formazione dell’i., raffigurabile come una sorta di scatola cinese, si realizza attraverso una serie di processi fisici e mentali: incorporazione, imitazione, identificazione primaria, identificazione proiettiva, introiezione, identificazione secondaria. L’i. primaria, a partire dall’unione madre-figlia/o, è la forma più arcaica di legame affettivo con un oggetto, prima del costituirsi di un confine stabile fra il Sé (➔) e il non Sé, quando ancora non si è stabilita una differenziazione psicologica netta. L’i. secondaria, invece, avviene attraverso un processo graduale e ciclico di disidentificazione (separazione e differenziazione) e interiorizzazione di aspetti parziali di persone affettivamente significative. In psicoanalisi è essenziale tener conto della dimensione inconscia: a livello di coscienza, per es., possiamo vivere noi stessi come persone adulte e ben differenziate dagli altri, mentre a livello inconscio possiamo essere dominati da parti infantili, da confini indistinti tra noi e gli altri, da identificazioni parziali, scisse o rimosse.
All’interno del pensiero psicoanalitico il concetto di i. assume sfumature variegate – talvolta vere e proprie differenze – a seconda della teoria di riferimento dei vari autori e delle influenze derivate da altri contesti disciplinari: dal concetto di persona (➔) secondo Carl G. Jung, un importante precursore del concetto di i., alla psicologia dell’Io (Heinz Hartmann, David Rapaport), con le sue teorie fondate sulle funzioni dell’Io e sul suo adattamento alla realtà, all’apertura psicosociale di Erik H. Erikson, per la quale il proprio sentimento di continuità è proporzionale alla buona definizione del posto socialmente occupato; fino ad arrivare a elaborazioni successive di matrici diverse in ambito psicoanalitico, con la centralità e la complessità del concetto di Sé. Tali elaborazioni si riferiscono ai livelli precoci dello sviluppo mentale che precedono e condizionano la futura struttura di un’i. più evoluta.
Dal momento che l’i. è tutto quello che caratterizza un individuo nel suo insieme mente-corpo, qualsiasi scompenso dell’equilibrio mentale di una persona è necessariamente anche una patologia della sua identità. In ambito clinico si riscontrano patologie dissociative, patologie legate all’i. di genere (quali il travestitismo o il transessualismo), disturbi narcisistici (➔ narcisismo), quadri clinici relativi alle varie forme di inautenticità dell’i. rappresentate dalle diverse concettualizzazioni ‘storiche’ descritte da diversi psicoanalisti: le personalità ‘come se’ (Helen Deutsch), il falso Sé (Donald W. Winnicott), l’impostura (Karl Abraham, Phyllis Greenacre), l’ambiguità (José Bleger), l’imitazione (Eugenio Gaddini), la malafede (Madeleine Baranger, Simona Argentieri). Queste forme patologiche di inautenticità dell’i. sono caratterizzate dalla mancanza di senso di sé e quindi della propria soggettività, al cui posto si trova, secondo quanto scrive Deutsch in Alcune forme di disturbo emozionale e la loro relazione con la schizofrenia (1942), «una notevole prontezza plastica a percepire i segnali esterni e a modellarvi se stessi e il proprio comportamento, vuotezza e mancanza di individualità, oltre che nella vita emotiva, anche in quella morale».