IDOLO
Durante il Medioevo l'i. costituì uno dei più rilevanti segni visivi dell'arte, che permise sia di definire il corretto ruolo rivestito dalle immagini consentite nell'ambito della Chiesa sia di elaborare le maggiori categorie dell''altro' (rappresentato dai pagani, dai giudei, dai musulmani). Nel suo ruolo di anti-immagine, l'i. rappresentò il paganesimo in quanto opposto alla vera fede e il magico demoniaco, radicato nelle cose materiali, opposto al potere spirituale fondato sulla parola di Dio.Il trattato De idolatria di Tertulliano e il De civitate Dei di s. Agostino, in cui i pagani vengono messi in ridicolo per la loro fede superstiziosa nell'efficacia delle numerose divinità in legno e pietra, vanno considerati come tentativi da parte della Chiesa delle origini volti a sradicare le pratiche politeistiche (Schmitt, 1990).Accanto a questa tradizione teologica e testuale, ebbero tuttavia un ruolo di altrettanta importanza le reali vestigia tangibili degli antichi culti, dal momento che durante i primi secoli del cristianesimo le rovine del mondo antico erano ancora visibili e il paesaggio, specialmente in Italia e nella Francia meridionale, appariva disseminato di frammenti scultorei di divinità pagane. Una storia dei monumenti di Roma vista attraverso gli occhi dei rari visitatori e viaggiatori d'età medievale, quale per es. i Mirabilia urbis Romae dell'inglese magister Gregorio nel sec. 12°, costituisce un'efficace testimonianza sia del fascino sia della paura ispirati dagli antichi i. (Osborne, 1987).La storia delle arti figurative di epoca medievale, della scultura in particolare, può essere interpretata a un tempo in termini di accettazione e di rifiuto del fascino degli i. (Panofsky, 1960, pp. 88-89).Mentre nell'impero bizantino e specialmente a Costantinopoli si può constatare l'esistenza di un legame di maggiore continuità tra le statue delle divinità antiche, ancora conservate, e quelle medievali, che da esse derivavano (Mango, 1963), in Occidente, al contrario, a ogni genere di statua a tutto tondo vennero associati i concetti di magico, demoniaco e di morte. Tale rifiuto nei confronti delle forme scultoree, in quanto connesse all'idolatria, ebbe profonde conseguenze sull'arte dell'Alto Medioevo, che si limitò in gran parte a realizzare opere bidimensionali, privilegiando nei manoscritti il testo sacro rispetto all'immagine, oppure piccoli oggetti associati alla liturgia o al culto delle reliquie.Sebbene la Chiesa delle origini fosse influenzata dalla proibizione veterotestamentaria "non ti farai idolo né immagine" (Es. 20,4), essa dipendeva comunque dalle immagini per comunicare la Parola agli illetterati, come veniva affermato con autorevolezza, intorno al 600, da papa Gregorio Magno (Registrum epistolarum, IX, 209; XI, 10). Di conseguenza gli artisti, nelle loro narrazioni dipinte, inserirono anche raffigurazioni di quel genere di immagini che dovevano essere evitate.L'i. divenne l'archetipo dell'anti-immagine, rappresentato in numerosi contesti già in età carolingia. Il più antico ciclo narrativo relativo alla vita di un santo che si sia conservato, la Vita et Passio sancti Kiliani, del sec. 10° (Hannover, Niedersächsische Landesbibl., 189, c. 2v), comprende una miniatura che mostra il culto degli i. ancora vivo a Würzburg, quando vi giunsero i missionari irlandesi; è importante tener conto del fatto che, sebbene questa immagine faccia riferimento all'evangelizzazione della Germania, avvenuta molto tempo prima, ancora in quell'epoca, in limitate aree dell'Europa, specialmente nel lontano Nord-Est, persisteva comunque il culto di divinità pagane.Pietro Lorenzetti offrì una rappresentazione dell'idolatria, in forma di rilievo scolpito sulla porta della città, nell'affresco con l'Entrata a Gerusalemme nella basilica inferiore di S. Francesco ad Assisi. Nelle cattedrali di Notre-Dame a Parigi e di Amiens, la presenza di una figura inginocchiata davanti a una statua costituisce un elemento del programma di decorazione plastica relativo ai vizi (Van Os, 1985).In età medievale, il più diffuso tra i soggetti iconografici in cui sono rappresentati gli i. è quello relativo non tanto alla venerazione, quanto piuttosto alla loro distruzione; esso allude alla leggenda, molto popolare nei diversi media artistici a partire dal sec. 12°, della caduta degli i. durante la fuga in Egitto, narrata nel Vangelo dello pseudo-Matteo (XXIII). In tale racconto apocrifo si enfatizza, nel danneggiamento e nella distruzione fisica di queste statue, il potere di Cristo sulle false divinità dell'Oriente.Talvolta gli i. sono rappresentati come forme demoniache, con corna e ali, come nella nota rappresentazione sul muro orientale del portale meridionale della cattedrale di Moissac, dell'inizio del 12° secolo. Tale immagine, trovandosi su una via di pellegrinaggio, deve aver avuto implicazioni di carattere propagandistico nei confronti delle crociate.In seguito, intorno al 1200, gli artisti conferirono spesso anche a tali statue da demolire un aspetto classicheggiante, dimostrando in tal modo di conoscere veramente i modelli antichi. Tali rappresentazioni di statue, in forma di Venere, di Apollo o, più spesso, di Mercurio, vennero realizzate proprio nell'epoca in cui gli artisti, ma anche i committenti, cominciavano ad apprezzare gli elementi formali propri della scultura classica, individuabili non soltanto a livello monumentale, ma anche in piccoli oggetti come gemme e intagli (Wentzel, 1953). Gli scultori gotici, come quelli di Reims, iniziarono a inserire nelle loro statue cristiane elementi formali presi a prestito dall'Antichità, senza per questo incorrere nell'accusa di idolatria (Panofsky, 1960, pp. 55-68).Lo stesso processo di crescente appropriazione delle forme di prototipi antichi si può ritrovare nell'altro ambito narrativo in cui gli i. sono frequentissimi, le vite dei santi. Essi erano i più significativi rappresentanti della Parola contro l'immagine: nel caso del martirio dei primi apostoli, Pietro e Paolo, ma anche in quello di s. Tommaso e, più tardi, di s. Caterina di Alessandria, la denuncia degli i. ebbe un ruolo fondamentale. In testi illustrati, come la Legenda aurea di Jacopo da Varazze, e anche in numerose vite in volgare, i santi appaiono di fronte a statue poste su colonne o su piedistalli. Frequentemente essi sono ritratti nell'atto di ricusare il culto di queste raffigurazioni, circostanza che porta inevitabilmente alla loro condanna a una morte straziante; spesso però, come nel caso di s. Caterina, il rifiuto degli i. è rappresentato in forma di disputa con la santa che stigmatizza la stupidità che conduce alla venerazione di pietre vuote. In questi casi, inoltre, il potere del santo o della santa è evidenziato dalla prodigiosa distruzione degli idoli. Talvolta questi rifuggono il santo o scappano al suo cospetto, ironica dimostrazione del fatto che essi sono, secondo la descrizione che ne fornì s. Agostino (De civ. Dei, VIII) realtà viventi, animate da demoni.Nell'ambito di questi due principali contesti narrativi l'immagine degli i. divenne più complessa nel momento in cui la Chiesa si trovò ad affrontare nuove e impellenti minacce di idolatria, concretizzatesi prima nel fenomeno dell'eresia, quindi durante le crociate. Nei due casi, entrambi definibili come guerre sante, la rappresentazione di eretici e musulmani come idolatri divenne consueto sistema di propaganda. I saraceni in particolare, in opere come la Chanson de Roland, venivano descritti come adoratori di raffigurazioni di animali collocate su piedistalli.In una Bibbia prodotta in Terra Santa per Luigi IX di Francia (Parigi, Ars., 5211, c. 339r), gli idolatri del Libro dei Maccabei (1 Mac. 1, 43) indossano turbanti in voga all'epoca (Camille, 1989, fig. 79). Anche gli ebrei, il cui aniconismo era ben noto, nella propaganda cristiana venivano stigmatizzati come idolatri, proprio nel momento in cui le immagini diventavano nuovamente un problema agli occhi di alcuni ecclesiastici (Camille, 1989, pp. 165-180).La preoccupazione circa il corretto ruolo che le immagini dovevano rivestire in ambito religioso ebbe ripercussioni fin nel sec. 14°, quando, non solo ai Templari, ma anche a papa Bonifacio VIII vennero rivolte accuse di idolatria in aggiunta a quelle di stregoneria.Con il diffondersi del culto delle immagini, specialmente attraverso oggetti devozionali in scala ridotta e icone, e con il crescente proliferare di statue sugli innumerevoli altari tardomedievali, i predicatori dovettero avvertire il pericolo dell'invasione dei santuari da parte degli i. che si andavano sostituendo a Dio. All'epoca, alcuni movimenti che anticipavano la Riforma, in particolare i lollardi in Inghilterra, ebbero un atteggiamento critico nei confronti della proliferazione di immagini nella devozione cattolica e chiamarono tale pratica idolatria. Nel 1402 Jean Gerson, vescovo di Parigi, definì alcuni modelli figurativi, di diffusione solo recente, come la Vierge Ouvrante, quali veri e propri i. (Camille, 1989, pp. 231-233).La venerazione dell'i. era diffusa persino nell'arte profana, dove gli avori e le immagini di corte mostravano amanti che si inginocchiavano davanti alla loro dama o a Venere. La complessità della discussione sull'immagine-i. è suggerita dal fatto che proprio il medesimo schema compositivo poteva essere utilizzato per rappresentare tanto il devoto inginocchiato davanti alla Vergine Maria quanto Pigmalione curvato verso la sua amata statua.
Bibl.: H. Wentzel, Portraits ''à l'antique'' on French Mediaeval Gems and Seals, JWCI 16, 1953, pp. 342-357; E. Panofsky, Renaissance and Renascences in Western Art, Stockholm 1960 (trad. it. Rinascimento e rinascenze nell'arte occidentale, Milano 1971); C. Mango, Antique Statuary and the Byzantine Beholder, DOP 17, 1963, pp. 55-75; H.W. Van Os, Idolatry on the Gate: Antique Sources for an Assisi Fresco, Simiolus 15, 1985, pp. 171-175; J. Osborne, Master Gregorius: the Marvels of Rome, Toronto 1987; M. Camille, The Gothic Idol. Ideology and Image-Making in Medieval Art, Cambridge 1989; J.C. Schmitt, Les idoles chrétiennes, in Idolâtrie (Rencontres de l'Ecole du Louvre), Paris 1990, pp. 107-119.M. Camille