IDRAULICA (nome tratto nell'età moderna dall'aggettivo hydraulicus "idraulico", che riproduce il gr. ὑδραυλικός, aggettivo derivato da ὕδραυλις o ὕδραυλος "organo ad acqua" [ὕδωρ "acqua" e αὐλός "tubo"])
È quella disciplina, che considera, alla luce dell'esperienza e della ragione, i problemi tecnici che hanno essenziale relazione col moto dell'acqua.
Sino dalla più remota antichità l'uomo si è trovato di fronte a problemi pratici d'idraulica, intimamente connessi con le esigenze della vita e della progrediente civiltà. L'esperienza e l'intuizione furono di guida nella risoluzione di tali problemi, come nella concezione e nell'attuazione di opere idrauliche numerose, talune grandiose e ancora oggi in efficienza. Ma solo assai tardi il corredo di esperienza raccolto nei millennî è stato elaborato in un corpo di dottrina, notevole e importante, per quanto lontano dal grado di perfezione raggiunto da altre discipline, il cui oggetto è più semplice, anche se sia più distante nello spazio o sembri più estraneo all'esperienza quotidiana.
Per quanto si sa, il primo che si occupò sotto un aspetto scientifico d'idraulica fu il siracusano Archimede, il quale scrisse sui corpi galleggianti, Περὶ τῶν ὀχουμένων, pervenendo all'enunciazione di quella proprietà cui si dà il nome appunto di principio di Archimede (v. idrostatica). Poi la letteratura nulla presenta di veramente importante nel campo dell'idraulica fino alla Architectura di Marco Vitruvio Pollione, vissuto al tempo di Giulio Cesare e di Augusto, e all'opera De Aqueductibus urbis Romae commentarium scritta fra il 97 e il 100 d. C. da Sesto Giulio Frontino. Questi sono lavori molto notevoli d' ingegneria; e quello di Frontino contiene anche accenni interessanti, se pure non precisi, sulla dipendenza della portata di tubi dal carico. Tuttavia i nomi dei due autori non restano legati a momenti particolari o a proprietà fondamentali della meccanica dell'acqua.
Da Archimede in poi passano diciotto secoli prima di trovare precisate le leggi dell'idrostatica per parte del fiammingo Simon Stevin (1548-1620), di Galileo Galilei e di Biagio Pascal, la cui opera Traité de l'équilibre des liqueurs, scritta nel 1653, fu pubblicata nel 1663, un anno dopo la morte dell'autore.
Ma non si deve dimenticare che, molto tempo prima, Leonardo da Vinci aveva inserito fra le tante attività anche quella d'ingegnere di acque valentissimo e aveva lasciato molti manoscritti su argomenti d'idraulica, fra cui uno intitolato De la natura de l'acqua. Questi manoscritti non furono conosciuti da tecnici e da dotti. Un riordinamento di essi, e forse anche una rielaborazione in talune parti, fu fatto nel 1643 dal frate domenicano Luigi Maria Arconati, il quale mise insieme un trattato in nove libri Del moto et misura dell'aqua. Sull'opera idraulica di Leonardo fu richiamata l'attenzione nel 1797 da G. B. Venturi; e il manoscritto dell'Arconati, rimasto dimenticato nella biblioteca barberiniana, fu pubblicato l'anno 1828 a Bologna nella Raccolta d'autori italiani che trattano del moto dell'acque. Leonardo da vinci ebbe meravigliose intuizioni in campi diversi dell'idraulica, da quello fluviale a quello della foronomia, a quello delle macchine, fissando concetti che solo qualche secolo dopo furono ripresi e affermati: quello, ad es., dell'importanza energetica essenziale del moto vorticoso delle correnti e quello della legge di distribuzione della velocità nel piano della sezione.
Uomini grandi, fra la fine del sec. XVI e il principio del sec. XVIII, tracciarono una via lenta e faticosa, che certo sarebbe stata ben più rapidamente aperta e percorsa, se l'opera di genio di Leonardo fosse stata da essi conosciuta. Il faentino Evangelista Torricelli, scolaro di Galileo, indicava nel 1644 la legge di dipendenza fra il carico e la velocità di deflusso dell'acqua da una luce; il monaco Benedetto Castelli da Brescia (1577-1643) e il bolognese Gian Domenico Guglielmini (1655-1710) ponevano le basi dell'idraulica fluviale; Giovanni Poleni (1683-1761) da Venezia formulava la legge di deflusso della luce a stramazzo, e sulla fine dello stesso secolo segnava chiare orme nella foronomia G. B. Venturi da Reggio Emilia (1750-1822).
Sono inoltre nomi illustri dell'idraulica italiana nei secoli XVII e XVIII Bernardino Ramazzini di Carpi (1633-1714) che pubblicò nel 1691 la memoria De fontium mutiniensium admiranda scaturigine, Eustachio Manfredi di Bologna (1674-1739), padre Guido Grandi di Cremona (1681-1742), Paolo Frisi di Milano (1727-1784), il bresciano Bernardo Zendrini (1679-1747), padre Gian Antonio Lecchi di Milano (1702-1776), Leonardo Ximenes di Trapani (1716-1786), Luigi Ferdinando Marsili di Bologna (1658-1730), Francesco Domenico Michelotti di Torino (1710-1777).
Mentre questa ripresa dello studio dell'idraulica pratica si svolgeva qui in Italia, dove, come si è detto, gli studî d'idraulica con Archimede avevano avuto la culla, fuori d'Italia è da porre in evidenza l'opera che, anche in questo campo, fu dovuta a Isacco Nevton relativamente al moto di corpi immersi, getti d'acqua, moto ondoso, coefficiente di viscosità; ed è da ricordare l'enunciazione di quel teorema, fondamentale in sé e per le estensioni a cui si è prestato, che porta il nome di Daniel Bernoulli. Esso teorema fu esposto nel 1726 nella Theoria nova de motu aquarum per canales quoscumque fluentium: teorema che amplia l'enunciato torricelliano. Devono inoltre tenersi presenti Edme Mariotte (1620-1684) col trattato che fu pubblicato nel 1686, la già citata opera di Stevin e di Pascal, Henry Pitot (1695-1771) che nel 1732 propose il noto tubo misuratore di velocità, A. Brahms che nel 1753 pubblicò quell'Anfangs-Grunde der Deich-u. Wasserbaukunst in cui è accennata l'essenza meccanica della legge del moto uniforme nei canali, che poi nel 1775 il Chézy formulò, e ancora il Dubuat (1732-1783) che nel 1779 pubblicò i Principes d'hydraulique.
Il sec. XVIII, nel quale continuò per gli studî pratici d'idraulica l'attività iniziatasi nel secolo precedente, presentò gl'inizî degli studî teorici d'idrodinamica con Leonardo Eulero, il quale nel 1775 pubblicò l'opera Principes généraux du mouvement des fluides, ponendo le tre equazioni del moto e l'equazione di continuità. E nella via aperta da Eulero e da Giuseppe Luigi Lagrange da Torino ha proceduto nei secoli XVIII e XIX una schiera di scienziati illustri, con lo studio della teoria delle onde, dei moti irrotazionali, della viscosità e dei vortici. Brillano i nomi di Green, di Stokes, di Helmoltz, di Poincaré, di Navier, di Beltrami, di Boussinesq.
Ma se le trattazioni matematiche hanno potuto affrontare, con risultati notevoli ed eleganti, problemi in cui l'acqua si consideri fluido perfetto e anche problemi di moti irrotazionali di liquidi vischiosi, non altrettanto può affermarsi per l'aspetto vorticoso, sotto il quale nella maggior parte dei casi si presentano a noi i moti dell'acqua. In questo campo si deve riconoscere che solo con l'osservazione e con l'esperienza l'idraulica pratica ha conseguito gli ulteriori progressi dalla fine del sec. XVIII ad oggi. Così hanno segnato contributi di esperienza in diversi campi dell'idraulica pratica Borda, Poiseuille, Prony, Darcy, Dupuit, Ganguillet, Bazin, Flamant, J. Thompson, Rankine, W. Froude, Reynolds, Eytelwein, Weisbach, Kutter, Hagen, Smreker, Thiem, Lang, Humphreys, Abbot, Francis, Smith; in Italia Bidone, Tadini, Razzaboni, G. Torricelli, Masoni. Altri nomi a cui la scienza idraulica è legata in tempi più recenti, s'indicano, volta a volta, nel seguente riassunto tecnico degli argomenti specifici dell'idraulica.
Quando la massa liquida non presenta spostamenti reciproci dei punti che la costituiscono, si è nel campo dell'idrostatica (v.). Quando invece la massa liquida si muove deformandosi, si hanno di fronte problemi d'idrodinamica, per l'esame dei quali, allo stato attuale della scienza, giova lo strumento matematico, ma serve ancor più l'osservazione dei fatti e la riproduzione di essi a mezzo di esperienze. Mentre la parte più strettamente matematica ha trattazione alla voce idrodinamica, vengono riassunte qui le nozioni pratiche più importanti a cui si è pervenuti nello studio del moto dell'acqua, in talune circostanze che hanno per la tecnica sistematico interesse. Queste circostanze possono raggrupparsi nei seguenti capitoli: 1. Foronomia; 2. Correnti di acqua a superficie libera; 3. Correnti di acqua in pressione; 4. Moti di acque filtranti. Si farà seguire un cenno sui modelli.
Foronomia.
Alla parola foronomia si dà il significato ristretto di studio delle leggi di deflusso dell'acqua da luci praticate nelle pareti di recipienti. La luce si chiama a battente, se è a contorno chiuso, mentre nel recipiente il livello dell'acqua è più alto del punto più alto del contorno; si chiama a stramazzo, se è a contorno aperto, o se, essendo la luce a contorno chiuso, il livello dell'acqua nel recipiente è più basso del punto più alto del contorno.
Si chiama portata della luce il volume di acqua che esce nell'unità di tempo: si suole esprimerla in metri cubi al secondo o in litri al secondo, in relazione col suo ordine di grandezza.
Lo studio delle circostanze meccaniche del deflusso e delle entità più caratteristiche di esso, prima fra tutte, per interesse pratico, la portata, viene attuato considerando l'acqua come un fluido perfetto, cioè privo del tutto di resistenze tanto interne quanto al contatto con le pareti. Ciò è lecito in quanto i fatti della foronomia presentano, in brevi percorsi di spazio e in brevi intervalli di tempo, trasformazioni di così notevoli quantità di energia meccanica potenziale in energia meccanica cinetica che di fronte a esse è ben piccola, trascurabile cosa, almeno in prima approssimazione, la quantità di energia che le resistenze passive assorbono trasformandola in calore. Coefficienti empirici consentono di correggere piccoli errori che così s'introducono. Solo quando si presentano casi speciali di urti violenti (luci rigurgitate, tubi addizionali di cui si dice appresso), allora l'effetto meccanico delle resistenze passive viene preso in esplicita, fondamentale considerazione.
Luci a battente. - Se la parete o il fondo del recipiente in cui è scolpita una luce a battente è tagliata a spigolo vivo verso la faccia interna, per modo che la vena fluente non si adagi sullo spessore della parete, allora la luce si dice praticata in parete sottile. Se invece le pareti del recipiente di maggiore o minore grossezza sono tagliate in modo che là luce costituisca come un breve condotto per il deflusso dell'acqua, la luce si dice scolpita in parete grossa, e, se la grossezza della parete è notevole, sia pure solo nelle vicinanze della luce, si dice che si è nel caso di tubo addizionale.
Una luce a battente è libera, quando la vena defluente è in tutto il suo contorno a contatto con l'aria atmosferica; in tal caso, se la luce versa in altro recipiente che contenga acqua, in esso il livello è più basso del punto più basso del contorno della luce. La luce è parzialmente rigurgitata, se il livello dell'acqua nel recipiente a valle è più alto del punto più basso e più basso del punto più alto del contorno della luce. La luce è totalmente rigurgitata, se il livello dell'acqua nel recipiente a valle è più alto del punto più alto del contorno della luce.
La portata di una luce a battente in parete sottile, libera, con area della luce di ordine di grandezza molto più piccolo dell'area dello specchio d'acqua del recipiente alimentatore, luce distante dalle pareti se è praticata sul fondo del recipiente, distante dal fondo e dalle altre pareti se è praticata su una parete, si valuta così:
nella quale formula Q è la portata, Ω l'area della luce, h il carico, cioè il dislivello fra il pelo d'acqua nel recipiente alimentatore e il baricentro della luce, g l'accelerazione di gravità, μ un coefficiente.
La formula (1) è ottenuta facendo particolare riferimento a una sezione di vena defluente, a cui si dà il nome di sezione contratta, nella quale si ritiene che i punti in moto abbiano velocità eguali e parallele tra loro: sezione ben poco distante dal piano della luce: p. es., se la luce è circolare, la distanza della sezione contratta è uguale al raggio. In tale sezione, il cui baricentro (salvo il caso di luce in piano verticale) è sotto lo specchio di acqua del recipiente di una quantità h′ di qualche poco maggiore del carico h, la portata è ridotta, secondo il coefficiente μ 〈 1, rispetto al prodotto
per il fatto che da un lato l'area della sezione contratta è molto minore dell'area della luce e da altro lato la velocità di deflusso è minore, per quanto molto poco, del valore
per la prima volta precisato dal Torricelli. L'espressione
per la velocità di deflusso ha avuto estensione nel fondamentale teorema del Bernoulli (v. idrodinamica).
Nel fatto la velocità dell'acqua nella sezione contratta è
e il rapporto fra sezione contratta e sezione della luce, che si chiama coefficiente di contrazione, è 0,64 o poco meno, sicché si può ritenere in massima μ compreso fra 0,64 e 0,59. Soltanto per carichi molto piccoli (per es. dello stesso ordine di grandezza dell'altezza di una luce in piano verticale) il coefficiente può salire fino a 0,69 e a 0,70.
La stessa formula (1) viene usata anche quando non tutte le condizioni che sono state premesse sono verificate. Se, ad es., l'area della luce non sia molto piccola rispetto all'area dello specchio d'acqua nel recipiente, sicché alla velocità di deflusso nella luce contribuisca anche la velocità di arrivo dell'acqua nel recipiente, o il contorno della luce sia vicino assai o anche in parte giacente su parete del recipiente contigua a quella in cui la luce è praticata, sicché la contrazione avvenga in modo attenuato o anche sia soppressa su parte del contorno, la formula (1) viene usata con lo stesso significato dei simb0li, salvo variazioni empiriche del coefficiente μ, conosciute specialmente per esperienze del Bidone, del Lesbros, del Weisbach, del Gibson. Una particolarità del deflusso che si rileva per luce a contorno poligonale è quella cosiddetta dell'inversione di forma della vena: p. es. la vena defluente da una luce quadrata a qualche distanza dall'orificio ha la forma di croce coi bracci normali ai lati della luce.
Qualora la luce in parete sottile sia completamente rigurgitata, allora, agli effetti della valutazione della portata, si tiene conto del fatto che la vena defluente subisce una contrazione, anziché nell'ambiente aria come per la luce libera, nell'ambiente acqua del recipiente a valle. La portata risulta espressa dalla formula:
con h dislivello di pelo d'acqua tra il recipiente a monte e il recipiente a valle, e μ′ valutato sperimentalmente all'incirca uguale a 0,98 μ.
Il caso della luce parzialmente rigurgitata viene trattato, agli effetti della valutazione della portata, senza tuttavia conforto di adeguato corredo sperimentale, come la sovrapposizione di due luci, una superiore al livello dell'acqua a valle, luce a battente libera, l'altra inferiore, luce a battente completamente rigurgitata.
Se una luce a battente è aperta in parete grossa nel senso già indicato, o è munita di un tubo addizionale, le circostanze del deflusso cambiano secondo la forma e lo spessore della parete e la lunghezza del tubo, in confronto delle condizioni vedute per le luci scolpite in parete sottile.
Un'imboccatura convergente esterna applicata a una luce circolare, sagomata secondo la forma della vena defluente così come fu studiata con proiezioni luminose dal Masoni e dal Masi, limitata come lunghezza alla distanza della sezione contratta (il raggio della luce), può venire trattata con la formula (1) con coefficiente μ eguale a 0,96, mettendo per Ω l'area della sezione di sbocco.
Con tubi addizionali cilindrici interni si può usare ancora la formula (1), tenendo conto tuttavia, nei riguardi del coefficiente riduttore μ, che il coefficiente di contrazione ha valore di poco superiore a 0,50. Il Borda riscontrò, come coefficiente riduttore di portata, da 0,51 a 0,52 con tubo addizionale cilindrico interno normale al piano della parete, di sezione circolare e di lunghezza almeno 2,5 diametri.
Ricerche sperimentali hanno fatto ritenere che il valore 0,50 del coefficiente di contrazione sia un limite inferiore non raggiungibile, pur adoperando, in luogo del tubo cilindrico, tubi conici divergenti verso l'interno del recipiente, e che anzi nei casi reali non si possa scendere sotto a valori da 0,52 a 0,51 del coefficiente di contrazione. Soltanto sovrapponendo a un tubo cilindrico interno ad asse verticale una campana a brevissima distanza dall'imbocco del tubo, il Lelli ha realizzato un coefficiente di contrazione uguale a 0,45.
È assai interessante il comportamento dei tubi cilindrici esterni di sezione circolare, di lunghezza qualche diametro. La portata si esprime ancora con la (1), nella quale, fino a lunghezze di cinque diametri, si può assumere μ = 0,82 con oscillazioni fra 0,81 e 0,83 (Poleni, Bidone, Weisbach, Masoni).
Il deflusso avviene a bocca piena, quindi con velocità
Il che significa che entro il tubo si perde la terza parte dell'energia potenziale dovuta al carico h: ciò principalmente per il fatto dell'urto fra la corrente nella sezione contratta entro il tubo ove la velocità è
e la corrente che segue occupante tutta la sezione del tubo. La velocità nella sezione contratta equivale a
essa quindi richiede una depressione, in corrispondenza della sezione contratta, di
rispetto alla pressione atmosferica.
Tutto ciò naturalmente ha preciso riscontro fino a che sia h 〈 m. 13,70.
In tubi addizionali esterni conici divergenti, il Venturi trovò che un massimo di portata si ha, a parità delle altre circostanze, per θ = 5°,5′; il Razzaboni indicò la seguente formula empirica per la portata (fig. 6):
Nel caso di un tubo conico convergente applicato esternamente alla parete di un recipiente, si hanno da considerare due sezioni contratte, una all'imbocco entro il tubo, l'altra esterna al tubo. Aumentando l'angolo di convergenza aumenta la contrazione allo sbocco, diminuisce quella all'imbocco. Si comprende perciò come debba esservi un angolo per cui, con riferimento alla formula
il coefficiente riduttore della portata raggiunga un massimo. Tale angolo è stato empiricamente ritrovato in poco più che 13° e il coefficiente corrispondente nel valore 0,946. Il coefficiente si accosta all'unità (Masoni), se il tubo conico convergente è preceduto da una imboccatura che riproduca la sagoma del tratto di vena fra luce e sezione contratta.
La vena defluente da una luce raggiunge altezze ben minori del carico che alimenta la luce per la presenza di un complesso di resistenze. È interessante ricordare il fatto, teoricamente indicato dal Levi Civita e sperimentato dall'Ugolini, che un sottile getto da una luce in piano inclinato descrive una curva, il cui tratto scendente ha sull'orizzontale del centro della luce proiezione più lunga del tratto saliente, contrariamente a quanto si verifica per le traiettorie dei proietti.
Luci a stramazzo. - Una luce a stramazzo si dice in parete sottile, quando è praticata in una parete tagliata a spigolo vivo verso l'interno del recipiente, per modo che la vena defluente non si adagi sullo spessore della parete; si dice rigurgitata, quando il livello dell'acqua a valle è più alto del punto più basso del contorno della luce, non rigurgitata se il livello dell'acqua a valle è più basso di tutto il detto contorno. Si riserva il nome di luce libera per quando, trattandosi di luce non rigurgitata, lo spazio compreso tra la faccia inferiore della lama stramazzante e la faccia esterna della parete o traversa sia in comunicazione con l'atmosfera.
La luce a stramazzo libera in parete verticale a spigolo vivo, costituita di una soglia orizzontale e di due fianchi verticali è quella che è stata meglio studiata teoricamente (Boussinesq) e sperimentalmente (Francis, Bazin, Rehbock), e che quindi meglio di altre luci si presta come mezzo per misure di portate.
Si chiama carico h il dislivello fra il piano orizzontale della soglia e il pelo dell'acqua rilevato a monte della zona in cui il pelo stesso s'incurva verso la soglia, o, come si dice, fuori della chiamata allo sbocco.
Se i fianchi della luce sono sulle pareti stesse del recipiente o canale a monte e tali pareti sono normali al piano della luce, non si ha contrazione della vena in corrispondenza dei fianchi. Si ha invece contrazione dal basso verso l'alto in corrispondenza della soglia, con efficienza più o meno grande a seconda dell'altezza p della traversa. La contrazione dal basso raggiunge certamente il massimo possibile valore ove sia p > 3 h. Il punto A di massimo sovralzo del profilo della faccia inferiore della lama stramazzante è alto sull'orizzonte della soglia 0,11 h, e in corrispondenza di esso la lama ha lo spessore 0,65 h misurato verticalmente.
La portata della luce con soglia lunga l si valuta con la formula:
indicata dal Poleni per primo, dove al coefficiente si assegna, secondo le esperienze del Bazin, il valore:
e secondo Rehbock:
Le due formule dànno risultati alquanto diversi fra loro, con differenze che possono raggiungere qualche unità per cento. Allo stato delle cose, non avendo motivi definitivi di preferenza per l'una o l'altra formula, è da ritenere che la portata di questa luce a stramazzo, che pure è quella teoricamente e sperimentalmente più studiata, difficilmente può essere valutata con precisione superiore all'uno per cento.
Quando in una luce come quella sopra descritta venga meno una delle circostanze accennate, quella di luce libera, cioè di libera comunicazione con l'atmosfera per lo spazio sottostante alla lama stramazzante, le circostanze del deflusso si modificano notevolmente: si hanno le situazioni di lama depressa, cioè di lama meno protesa a valle che non quando l'aria acceda liberamente sotto di essa; di lama aderente, cioè di lama che tocca la faccia a valle della traversa, mentre la superficie esterna della lama scende verticale solcata da scanalature simili alle pieghe di un drappo; di lama soffolta o annegata, cioè nuovamente protesa verso valle ma con lo spazio tra traversa e lama occupato non da aria, bensì da acqua in istato di violenta agitazione. Ognuna di tali circostanze determina modificazioni nel valore del coefficiente riduttore della portata.
Ove in una luce libera si abbia, oltre che contrazione dal basso, anche contrazione laterale, questa può ritenersi completa, se la distanza dei fianchi della luce dalle pareti del recipiente o canale a monte sia almeno due volte il carico e la lunghezza della soglia sia almeno tre volte il carico (Cipolletti). Allora, per carichi fra 8 cm. e 60 cm., può valutarsi la portata con la formula (2), sostituendo ad l il valore
e ciò in accordo con esperienze di Parrochetti e di Francis.
È stato proposto di utilizzare la formula (2) senza riduzione della lunghezza l anche in presenza di contrazione laterale completa, se i fianchi dello stramazzo, anziché verticali, siano inclinati verso l'esterno dal basso in alto nella misura di uno di base per quattro di altezza, a costituire la luce trapezia che porta il nome del Cipolletti. In argomento non risultano esistere esperienze di controllo.
Uno stramazzo trapezio con fianchi inclinati, anziché verso l'esterno, verso l'interno, con lunghezza della soglia m. 0,11 e angolo formato dai due fianchi di 22°,38′ è stato studiato da De Marchi, ottenendo la portata funzione lineare del carico, salvo che pei più piccoli carichi.
Sono pure stati studiati stramazzi circolari, triangolari con vertice in basso, trapezî di varî tipi. Lo stramazzo in parete sottile rigurgitato è considerato, in via di approssimazione, come la sovrapposizione di due luci indipendenti, una a stramazzo libera di carico h1 − h2, l'altra a battente completamente rigurgitata di altezza h2 e di differenza di carico fra monte e valle h1 − h2. Si ha allora, sommando le due portate:
con μ variabile fra 0,42÷o,385÷0,42, mentre h2/h1 varia fra 0,1÷0,65÷1,00, ed h1 variabile fra m. 0,10 e m. 0,30 (Fteley e Stearns).
Una luce a stramazzo a parete molto grossa con spessore almeno 0,65 h e con lo spigolo a monte arrotondato (stramazzo Belanger) e rispondente a tutte le altre condizioni dello stramazzo cui corrisponde la formula (2) può essere trattata con la (2) stessa, nella quale considerazioni teoriche fanno porre μ = 0,385, valore confermato da esperienze del Bazin (μ = 0,37÷0,39).
Le traverse dei corsi d'acqua hanno di regola paramenti a monte e a valle inclinati raccordati al ciglio della diga. L'inclinazione del paramento a monte tende a diminuire la contrazione dal basso, l'inclinazione del paramento a valle a determinare stabilmente il deflusso in forma di lama aderente. Sempre ci si riferisce alla formula (2) con valore di coefficiente la cui determinazione empirica è dovuta specialmente a classiche numerose esperienze del Bazin, mentre altri ricercatori da ricordarsi sono Rehbock, Masoni e, recentemente, per dighe di ritenuta tracimabili, De Marchi.
Correnti a pelo libero.
Nei corsi a pelo libero artificiali (canali) e naturali (fiumi, torrenti) l'acqua si muove in regime cosiddetto turbolento; cioè ogni punto, oltre il moto di trasporto lungo il corso, possiede un moto vibratorio, o stato di agitazione vorticosa: del quale l'aspetto stesso della superficie dell'acqua dimostra palesemente l'esistenza, mentre non si hanno sull'entità di esso ragguagli tali da poterlo considerare in uno studio teorico sistematico ed esauriente. Questo si sa per certo: che nei corsi a pelo libero, di regola, lo stato di agitazione vorticosa ha effetto energetico predominante in confronto del moto di trasporto.
Le grandezze fisiche che si considerano nelle formule e nelle misure, velocità, pressione nell'intorno di un punto, sono dei valori medî in un piccolo spazio racchiudente il punto e in adeguato intervallo di tempo, sicché da essi viene eliminata la componente della grandezza dovuta all'agitazione, coincidendo così il valor medio locale della velocità con la velocità di trasporto.
Una generica sezione trasversale del corso a pelo libero, cioè normale in ogni punto alla direzione della velocità di trasporto, si può considerare come piana. Per essa vale la legge empirica che la pressione (valore medio locale) varia idrostaticamente. Dato che in corsi a pelo libero l'inclinazione delle traiettorie rispetto a un piano orizzontale è sempre molto piccola, la sezione trasversale può confondersi con una sezione fatta con un piano verticale.
Considerato un profilo longitudinale del corso d'acqua, e in esso la verticale di profondità p = AB di una sezione generica, il seno i dell'angolo che la tangente in A al profilo del pelo libero forma con l'orizzontale si chiama pendenza del pelo libero o anche pendenza motrice nella detta sezione, mentre si chiama pendenza del fondo il seno if dell'angolo che la tangente in B al profilo longitudinale del fondo forma con l'orizzontale. Indicando con s la distanza della sezione trasversale AB da altra fissata a monte come origine, si ha evidentemente
Della sezione trasversale generica si considera l'area Ω e anche la forma, la quale compare nei calcoli a mezzo del raggio medio R, quoziente dell'area per la parte di contorno della sezione che corrisponde all'alveo (tutto il contorno meno il pelo libero). Si chiama portata Q il volume di acqua che nell'unità di tempo attraversa la sezione, velocità media U la media aritmetica delle velocità di trasporto nei punti della sezione. Fra Q, U, Ω passa ovviamente la relazione:
che riassume le due definizioni ora poste.
Queste grandezze si esprimono di solito assumendo come unità di lunghezza il metro e unità di tempo il secondo: quindi Ω in m.2, U in m. s-1, Q in m3.s-1. I valori medî locali di velocità e di pressione possono essere variabili nel tempo: allora il moto si dice vario; se invece sono costanti nel tempo il moto si dice permanente. In un corso a pelo libero in moto permanente Q, U, Ω sono indipendenti dal tempo. U e Ω possono essere diversi da sezione a sezione; ma Q ha anche lo stesso costante valore in tutte le sezioni, per ragione di continuità e di non mutabilità del volume.
Nel caso di alveo prismatico (cilindrico) a generatrici declivi nel senso del moto, se il pelo libero sia parallelo alle dette generatrici, si ha un caso particolare di moto permanente, a cui si dà nome di moto uniforme, perché allora le circostanze del moto e i valori delle grandezze ad esso inerenti sono le stesse in tutte le sezioni. In un corso a pelo libero in moto uniforme la velocità media U cresce col crescere della pendenza i del pelo libero, la quale in questo caso ha lo stesso valore della pendenza del fondo, cresce ancora col raggio medio R, ed è più grande quanto meno scabri siano il fondo e le sponde dell'alveo. Si ha la relazione:
posta per la prima volta nel 1775 dall'idraulico Chézy, nella quale il coefficiente C viene espresso in m. =⃓ s-1. Il Chézy usò la formula con valore C = 31 m. =⃓ s-1. Si dà il nome di formula Tadini alla (4) in cui si ponga C = 50 m. =⃓ s-1, perché appunto con tale coefficiente fu indicata formula equivalente dal Tadini nel 1830.
Ma di fatto il coefficiente C deve assumere valori assai diversi a seconda della natura delle pareti: esso, a parità di pareti, cresce col raggio medio. Sono molte le formule empiriche date pel coefficiente C. Le più notevoli sono le seguenti:
a) formula semplificata di Kutter:
in cui il Kutter assegnò dodici valori per m a seconda di tipi diversi di pareti;
b) Formula seconda di Bazin:
in cui il Bazin assegnò per γ i sei valori seguenti: cemento lisciato, tavole ben piallate e simili γ = 0,06; intonaci e tavole non perfettamente lisci e simili γ = 0,16; muratura non intonacata γ = 0,46; pareti e fondo in terra assai regolari γ = 0,85; pareti e fondo in terra in condizioni ordinarie γ = 1,30; pareti e fondo in terra in cattive condizioni γ = 1,75. Con questi valori non si esaurisce il campo di variabilità di γ che può protrarsi oltre γ = 1,75. Taluni segnano anche γ = 2,30, e questo non è certo il massimo valore che si possa riscontrare per canali in abbandono con notevole vegetazione;
c) formula Forchheimer:
il che equivale a:
nella quale λ dipende solo dalla natura delle pareti, ed ha valori da λ = 90 a λ = 24 m.0,3 s-1, passando da intonaco liscio a letti di corsi d'acqua naturali;
d) formula Manning-Strickler:
il che equivale a:
per la quale i valori λ = 100, 80, 60, 50, 40, 35 m. ⅓ s-1 corrispondono rispettivamente ai valori γ = 0,06, 0,16, 0,46, 0,85, 1,30, 1,75 della formula Bazin, mentre si scende a λ = 25 m. ⅓ s-1 per letti di corsi d'acqua con grossi ciottoli e a λ = 15 per letti di torrenti formati di grandi massi.
Si deve tenere presente che la formula del moto uniforme può adottarsi non solo quando il moto sia realmente uniforme (alveo cilindrico, pelo libero parallelo alle generatrici dell'alveo), ma in genere quando le variazioni di velocità siano molto graduali nello spazio e molto lente nel tempo, sicché l'energia potenziale che la corrente perde lungo il percorso trovi quasi integralmente il suo corrispettivo nella quantità di calore assorbita dalle resistenze passive, mentre siano di minore ordine di grandezza le variazioni di forza viva. Si deve ritenere in tal caso che la quantità i della formula (4) ha solo significato di pendenza di pelo libero, mentre nel caso di moto uniforme può avere pure, come già si è detto, significato di pendenza di fondo, in questo caso uguale a quella del pelo libero.
Le velocità medie locali nel piano della sezione, di cui la U della formula (3) è il valore medio aritmetico, variano da punto a punto, in modo che un diagramma di velocità, segnate come ascisse alle diverse profondità in una verticale, si presenta come una curva concava verso l'asse delle ordinate, con massimo alquanto al di sotto del pelo libero. In via normale il valor medio di velocità lungo la verticale, um, è press'a poco il valore di velocità a profondità 0,60 p, e la velocità al fondo, considerata come extrapolazione del diagramma delle velocità sperimentalmente rilevabili, può ritenersi da sei a nove decimi della velocità um. Anche lungo un'orizzontale nel piano della sezione la velocità varia degradando verso le sponde. Si può dire che un diagramma di velocità lungo il pelo libero della sezione presenta massimi in corrispondenza delle zone di maggior profondità. Se la sezione trasversale ha un profilo tutto convesso verso il basso, o anche se è di profondità costante, si ha un solo massimo superficiale nel pelo libero, in zona cui si dà il nome di filone. Indicando con us questo massimo superficiale di velocità, in correnti non molto irregolari può ritenersi con approssimazione che la velocità media U nel piano della sezione sia fra sette e otto decimi di us.
La velocità media locale dell'acqua nei punti della sezione può essere esplorata a mezzo di galleggianti, a mezzo di molinelli di cui si valuta il numero di giri compiuti in varie decine di secondi quando l'apparecchio sia collocato nel punto di cui si vuol conoscere la velocità, o a mezzo di tubi, nelle colonne di acqua dei quali si valuta il dislivello determinato dall'urto della corrente.
L'esplorazione della velocità equamente eseguita nel piano della sezione può condurre, con ovvio processo di sommatoria, al computo della portata; per la misurazione della quale si possono anche, a seconda dei casi, seguire altri metodi: metodo volumetrico; metodo di controllo col passaggio per luci conosciute, in genere a stramazzo; metodo chimico consistente nel riconoscere la diluizione che subisce una soluzione concentrata di un sale immessa in misura conosciuta entro la corrente.
Eliminando fra le formule (3), (4) la U, si ottiene la portata, con data pendenza di pelo libero, espressa a mezzo del raggio medio e dell'area della sezione. Questa è definita, quando l'alveo sia assegnato, con uno solo dei suoi elementi geometrici, la profondità di acqua, p. es., lungo il profilo longitudinale cui ci si riferisce, oppure l'area della sezione.
Una relazione che leghi portata con profondità di acqua oppure con area di sezione si chiama scala di deflusso. La relazione (Q, p) può essere rappresentata graficamente, o tradotta analiticamente in una formula, che, per canali, si presenta di solito del tipo Q = bpm, con b, m parametri: formula che, con m = 3/2, fu proposta, fin dal sec. XVII, dal Guglielmini, pur partendo da considerazioni diverse da quelle che sono a base della formula (4). Per corsi naturali si adatta spesso una formula del tipo:
Se si pone in evidenza la lettura h su un idrometro il cui zero sia alto d sul fondo, è ovvio che deve porsi p = h + d.
La relazione (Q, Ω) può essere espressa con la formula Q=kΩα, con k, α parametri. L'esponente varia a seconda dei tipi di sezioni. Nel caso di sezioni chiuse (circolari, ovoidi come quelle usate per condotti di fogne), si pone con approssimazione (Fantoli) α = 1. Per sezioni trapezie; come ad es. quella dei canali di bonifica, può ritenersi α compreso fra 4/3 e 5/3 con determinazione facile da conseguire nei singoli casi (Puppini).
Quando il moto sia permanente, ma non uniforme, l'equazione del moto è:
con α = 10/9: espressione del fatto che l'energia meccanica potenziale che la corrente perde nell'unità di lunghezza e nell'unità di tempo differisce dall'energia cinetica acquistata dell'importo che si trasforma in calore per le resistenze passive, importo che non è rappresentato nella (5) dalla sola parte
che si riscontra in moto uniforme, ma da
L'equazione (5), non integrabile nella generalità dei casi, può tuttavia essere sempre utilizzata sostituendo ai differenziali differenze non infinitesime e procedendo a successive approssimazioni con applicazioni ripetute.
Come si è già detto, l'equazione (5) può anche sostituirsi con la equazione del moto uniforme, se il termine
sia di ordine di grandezza ben più piccolo di
Un caso di facile integrazione della (5) è quello di alveo prismatico a fondo declive e sezione rettangolare molto larga (venturoli-Bresse). L'equazione integrata è:
con pn profondità di regime uniforme per la data portata, x = p/pu, x0 = p0/pu, p profondità nella sezione generica alla distanza s dalla sezione assunta come origine a monte, p0 profondità nella sezione alla distanza s0 dalla sezione origine, μ = αifC2/g,
Il raffronto, nelle applicazioni numeriche, dell'equazione integrata (6) con quella relativa ad altre sezioni molto diverse dalla rettangolare larghissima (es. sezione triangolare - Puppini) consente, in via di buona approssimazione, una larga estensione di uso della (6). Un profilo empirico parabolico, per alvei prismatici a fondo declive, tangente a monte alla retta di regime uniforme e nel punto di massimo rigurgito (cioè di massima differenza di quota d'acqua rispetto a quella di regime uniforme) tangente a retta di pendenza corrispondente al valore di sezione e di portata (Puppini), può essere adottato con approssimazione ben sufficiente per calcoli di orientamento, anche in considerazione che il Supino ne ha dimostrato piccolo lo scostamento rispetto al profilo del Bresse.
Oltre che variazioni graduali di profondità, al qual caso corrisponde l'equazione (5), si possono avere lungo i corsi d'acqua a pelo libero, variazioni notevoli in brevissimo percorso (esempî: rigurgito prodotto dalle pile e dalle spalle di un ponte, salto di Bidone).
Il regime vario, quando si supponga trascurabile la curvatura della superficie libera, corrisponde all'equazione di moto:
con α = 10/9, β = 1,02,
derivata parziale rispetto alla variabile di spazio,
derivata parziale rispetto al tempo. Altra relazione è quella di continuità e d'incompressibilità:
Le equazioni (7), (8) sono le equazioni differenziali valide per una corrente gradualmente varia nel tempo e nello spazio. Esse possono servire di base per lo studio delle onde di traslazione in un canale e della propagazione delle piene in un fiume. Ben diverse dalle onde di traslazione sono le onde di oscillazione (es. le onde di mare). Nelle prime ogni elemento descrive una traiettoria aperta e si ha trasporto di acqua; nelle seconde ogni elemento descrive invece una traiettoria chiusa. Per tali argomenti v. onda.
Per la previsione della portata massima di un corso d'acqua si dànno formule empiriche (Possenti, Iszkowski, Lauterburg, Franzius, Forti). La formula Possenti è:
con Q portata di piena in metri cubi al secondo, h altezza in metri della massima pioggia che pub cadere in 24 ore ragguagliata a tutta l'area del bacino imbrifero, l sviluppo in km. del corso d'acqua dall'origine al punto di osservazione, Sm area della parte montana del bacino in kmq., Sp area della parte pianeggiante in kmq., c = 700 ÷ 800 m. s.-1
Le formule del Forti sono:
con S area del bacino in kmq., valida per bacini montuosi soggetti a precipitazioni eccezionali di 400 mm. in 24 ore;
valida per bacini soggetti a precipitazioni eccezionali da mm. 200 a 250 in 24 ore.
Per reti di canali di scolo la portata massima venne preveduta con la formula Turazza:
ove u è la portata massima in litri al secondo per ettaro di bacino (coefficiente udometrico), k un coefficiente che esprime il rapporto fra la quantità di acqua smaltita dai canali e l'acqua caduta per pioggia, h l'altezza di pioggia espressa in mm. caduta in un tempo uguale al periodo di corrivazione t espresso in giorni, cioè uguale al tempo che si suppone occorra ad acqua che cada nelle parti più lontane del bacino per raggiungere la considerata sezione di scolo.
Le circostanze climatiche della regione e la capacità di invaso della rete dei canali hanno formato oggetto di studio da parte di Paladini, Fantoli, Conti, Massari, Lelli, Supino, Del Pra, Puppini. Esse vengono considerate nella seguente formula di coefficiente udometrico (Puppini):
dove u è in litri al secondo per ettaro, α è l'esponente della scala di deflusso (Q, Ω), k è il rapporto fra il volume d'acqua affluito alla rete durante la pioggia e l'acqua caduta per pioggia, v il volume invasabile per unità di area in metri, a in m. s-n ed n sono i parametri dell'equazione di possibilità climatica h = aTn che collega l'altezza h di pioggia in metri con la sua durata T in giorni. Tale formula può servire per reti di fogne ponendo α = 0,86, per reti di canali di bonifica ponendo 4/3 ≤ α ≤ 5/3 e, con approssimazione minore, per maggiori difficoltà di precisazione dei parametri k e v, anche per corsi naturali.
Correnti in pressione.
Nei tubi in pressione, al di sotto di un certo valore di velocità di trasporto cui si dà il nome di velocità critica inferiore, il regime è sempre regolare, al di sopra del valore di velocità di trasporto cui si dà il nome di velocità critica superiore il regime è sempre vorticoso, cioè al moto di trasporto si aggiunge, si sovrappone uno stato di agitazione vibratoria. Questi valori di velocità critica (inferiore e superiore) furono sperimentati dal Reynolds in tubi di vetro di sezione circolare come inversamente proporzionali al diametro, e precisamente in unità metro, secondo:
dove θ è la temperatura in °C.
Il regime vorticoso o turbolento è quello nel quale si presentano, nella quasi generalità dei casi, le condotte d'acqua che hanno interesse nella tecnica, e ciò a motivo delle dimensioni delle sezioni di esse e dei valori delle velocità di trasporto. Le circostanze del moto sono meccanicamerite in tutto paragonabili a quelle che si verificano nei corsi a pelo libero.
Se, come accade di solito, la pressione in condotta è più grande della pressione atmosferica, allora, applicando in una sezione il cui baricentro sia alto z su un piano orizzontale di riferimento, un tubetto aperto in alto, in questo l'acqua sale fino a una altezza p/ω, essendo p la pressione e ω il peso specifico dell'acqua. La quota h = z + p/ω si chiama quota o carico piezometrico. Se l'operazione si ripete per ogni punto della condotta, si può far corrispondere ad ogni sezione la quota piezometrica sulla verticale pel baricentro della sezione, e si ottiene allora la cosiddetta linea dei carichi piezometrici. Se al di sopra della quota piezometrica si porta l'altezza α U2/2g col significato già indicato dei simboli, si ottiene nella somma z + p/ω + α U2/2g il carico effettivo e, con l'operazione supposta ripetuta per tutta la condotta, la linea dei carichi effettivi. Procedendo lungo la condotta nel senso del moto, sempre il carico effettivo diminuisce, e di solito diminuisce anche il carico piezometrico, salvo casi di notevole riduzione della forza viva della corrente procedendo da monte a valle. Quando i valori medî locali di velocità e di pressione sono immutati nel tempo, il regime si dice permanente; quando il regime permanente si verifica in una condotta cilindrica, il regime si dice uniforme. Il significato meccanico che ha il pelo libero in un corso a pelo libero, in una condotta in pressione è assunto dal luogo delle quote piezometriche: la pendenza del pelo libero è sostituita con la perdita di carico piezometrico per unità di lunghezza di percorso. È quindi da ritenere valida, per il caso del moto uniforme, l'equazione (4), alla quale, considerando la circostanza quasi del tutto generale di sezione circolare, si può dare la forma:
nella quale h è la perdita di carico piezometrico in un tronco di condotta lungo l, d il diametro, la portata, ed è
Moltissime sono le formule empiriche del coefficiente k. La completa analogia coi corsi a pelo libero portò a valutare (Fantoli) la velocità U con lo stesso coefficiente C della formula seconda di Bazin con valore γ = 0,23 per tubazioni di ghisa. Altri valori di γ per taluni casi indicò Marzolo. E una generalizzazione di applicazione di tale criterio porta (Contessini) ai seguenti risultati: tubazioni di eternit nuove γ = 0,06; tubazioni di acciaio trafilato nuove γ = 0,10; tubazioni di ghisa nuove γ = 0,16; tubazioni di cemento in buone condizioni γ = 0,18; tubazioni di ghisa in servizio corrente γ = 0,23; tubazioni di ghisa in servizio da molti anni con incrostazioni o tubercoli γ = 0,36.
Così pure, secondo la formula Manning-Strickler, viene consigliato: per tubi di rame λ = 150; per tubi di ferro zincato λ = 125; per tubi di ghisa nuovi λ = 90; per tubi incrostati λ = 70.
Con i valori di C che conseguono a tali coefficienti si calcola il k della formula (9).
Lungo condotte in pressione si hanno perdite di carico effettivo localizzate in breve spazio, se si verificano brusche variazioni di sezione o di direzione. Il fatto, nella sua essenza meccanica, è sempre paragonabile a ciò che accade in un brusco allargamento di sezione, cioè a urti tra masse di acqua diversamente veloci, e in tutti i casi la corrispondente perdita di carico effettivo si può esprimere con h=ξU2/2g cioè con l'altezza generatrice della velocità media a valle della zona di brusca variazione, moltiplicata per un coefficiente che dipende dal tipo e dalle dimensioni relative di essa. Così per il caso di brusco allargamento di sezione si ha (Borda, De Saint Venant):
per il caso di una risvolta ad angolo si ha, secondo esperienze del Weisbach:
mentre altre esperienze (Puppini) per diametri d fra 10 e 40 mm. e 2δ=90°, si riassumono nel risultato
ove d è in metri e la velocità U è in metri al secondo.
La quantità di energia meccanica che nell'unità di tempo si trasforma in calore per fatto della brusca variazione di sezione o di direzione si valuta col prodotto ωQh espresso in kg.m.s.-1
Varie sono le particolarità che si presentano nella tecnica delle condotte in pressione, e complessi i problemi, anche per l'aspetto economico, che riflettono le reti di condotte (v. acquedotto; condotta).
Una situazione particolare interessante è quella della condotta entro la quale la pressione sia più piccola della pressione atmosferica, sia nella applicazione di sifone per derivazione da corsi arginati, sia in quella di scaricatore di superficie (scaricatori Gregotti, esperienze De Marchi-Marchetti).
Moto vario in una condotta si ha quando si modifica rapidamente la luce di deflusso in una sezione della condotta con la manovra di un otturatore. Si hanno allora rapide trasformazioni di energia cinetica in energia potenziale o viceversa con modificazioni così notevoli del valore della pressione, che di esse deve essere tenuto adeguato conto nell'impianto delle condotte e nei relativi calcoli idraulici e statici.
Un caso tecnicamente molto interessante è quello delle condotte d'impianti idroelettrici. Queste si considerano come alimentate all'imbocco da serbatoi a livello costante e gettanti liberamente nell'aria allo sbocco, dove è l'otturatore: ugello nel caso delle turbine tipo Pelton, valvola sincrona nel caso delle turbine tipo Francis. Poiché le più notevoli variazioni di pressione si verificano a brevissima distanza di tempo dall'inizio della manovra che modifica la luce di deflusso, tali notevoli variazioni non possono essere influenzate, se non in misura ben piccola, dalle resistenze passive, le quali solo col procedere del tempo riescono ad assorbire grandi quantità di energia meccanica: lo studio di queste variazioni di pressione, alle quali si dà il nome di colpo di ariete, può quindi essere condotto prescindendo dalle resistenze passive.
D'altra parte, verificandosi grandi variazioni di pressione in intervalli brevissimi di tempo, non si può escludere a priori che la piccola compressibilità dell'acqua e la piccola dilatabilità del tubo non esercitino un'apprezzabile influenza. E perciò di tali proprietà fisiche dell'acqua e del tubo si tiene conto nell'impostare il problema, per vederne le conseguenze nei risultati dello studio (Allievi). L e equazioni differenziali del colpo di ariete sono pertanto
nelle quali U, h sono velocità media e carico piezometrico in una sezione alla distanza generica s dallo sbocco e nel momento generico t, g è l'accelerazione di gravità ed è
dove ρ, ε sono densità e modulo di compressibilità cubica dell'acqua, d, e, E diametro, spessore e modulo di elasticità del materiale che costituisce la condotta.
Integrando il sistema (10) col supporre d, e costanti lungo la condotta, e indicando con U0, h0 i valori di U, h nel regime da cui ha inizio la perturbazione, si ottiene:
dove F, f sono funzioni da determinarsi in base alle condizioni all'imbocco e allo sbocco della condotta lunga l.
Le equazioni (11) s'interpretano nel senso che carico piezometrico e velocità media nella sezione generica della condotta in regime vario, perturbato dalla manovra dell'otturatore allo sbocco, consistono nella sovrapposizione ai valori di regime di due valori che localmente variano col tempo e che si propagano con velocità a, uno nel senso dallo sbocco all'imbocco, l'altro dall'imbocco allo sbocco. Se si potesse ritenere rigido il tubo, sarebbe a = √ε/ρ, il che porta, per l'acqua a 10° C, ad a = 1427 m. s-1, essendo, a 10° C, ε = 2,07. 108 kg.m-2, ρ = 101,7 kg.s2 m-4.
La velocità aumenta con l'aumentare della temperatura, perché con l'aumentare della temperatura cresce ε e diminuisce ρ.
La dilatabilità del tubo (per l'acciaio è E=2.1010 kg.m-2) abbassa il valore della velocità di propagazione delle perturbazioni; sicché essa ben raramente supera i 1300 m. s-1, anche in condotte di ghisa di grosso spessore, mentre per condotte di acciaio di grande diametro e piccolo spessore scende fino a 600 m. s-1. Per calcoli di orientamento si assume a = 1000 m. s-1. Bastano queste risultanze per convincere della necessità di darsi carico, nello studio di questo problema, sia della compressibilità dell'acqua, sia della dilatabilità del tubo.
Tenendo conto della condizione all'imbocco, serbatoio con pelo di acqua a livello costante, e della condizione allo sbocco, getto libero nell'aria, l'Allievi è giunto alle seguenti fondamentali equazioni di risoluzione:
nelle quali, diviso il tempo a partire dall'inizio della manovra dell'otturatore in intervalli 2l/a a cui si dà il nome di durata di fase (il primo di tali intervalli si chiama fase di colpo di ariete diretto, i successivi fasi di contraccolpo), si considerano valori H1, H2, H3, ... del carico allo sbocco in momenti t1, t2, t3..., il primo nella prima fase, il secondo nella seconda, il terzo nella terza.... distanziati dal primo di una, due.... fasi; i parametri η rappresentano i gradi di apertura dell'otturatore nei momenti t1, t2, t3...., ragguagliati all'apertura di regime; il parametro σ è dato da
e riassume tutto quanto di costruttivo e di funzionale caratterizza la tubazione nel regime precedente la perturbazione.
Le equazioni (12) non sono così senz'altro applicabili al caso di manovre di apertura partenti da otturatore chiuso, perché allora le definizioni di σ,η darebbero σ = 0, η = ∞. Ma anche in questo caso, definendo in altro modo conveniente σ ed η, fermo il significato e il valore del prodotto ση, si riesce a dare al prodotto stesso un'espressione determinata; e quindi le equazioni (12) permangono, variato il significato dei parametri σ, η. Le equazioni (12), cui si dà il nome di equazioni delle serie di valori concatenati del carico, sono state minutamente applicate dall'Allievi per lo studio di manovre di chiusura, manovre di apertura, contraccolpi di ritorno a regime, fatti di risonanza, forza viva del getto fluente, assumendo i valori η come funzioni lineari del tempo. E i risultati dello studio dell'Allievi hanno conferma nelle determinazioni sperimentali, tra le quali sono da ricordare per numero e accuratezza quelle di Camichel, Eydoux, Gariel.
Studî di Fossa-Mancini e di Marchetti, svolti sulle basi stesse poste dall'Allievi, hanno condotto a una conclusione molto semplice per le manovre di chiusura. Essendo U0 il massimo valore di velocità di regime nella condotta, T > 2l/a la durata della manovra di chiusura dell'otturatore quando questo sia aperto al massimo, cioè in modo da consentire la velocità U0 nella condotta, si considerino altre circostanze definite da velocità di regime minori di U0, conseguentemente da durate di chiusura minori di T, ritenendo prestabilita e sensibilmente costante la velocità di chiusura dell'otturatore. Allora il massimo di sovrapressione realizzabile allo sbocco della tubazione, nelle possibili manovre di chiusura è
mentre il massimo di depressione di contraccolpo è pure
Si ritorna così, per via razionale, a un'antica formula, la formula del Michaud, semplicissima nella struttura e nell'uso. Si dimostra poi che la massima sovrapressione in una sezione generica della condotta varia linearmente da tale valore allo sbocco fino a valore nullo all'imbocco.
I risultati sopra descritti possono adottarsi anche quando diametro e spessore della condotta siano variabili lungo il percorso (spessore crescente dall'imbocco allo sbocco, diametro decrescente). Ma allora, per velocità di propagazione, si adotta un valore medio
essendo ap la velocità di propagazione nel tronco generico di lunghezza lp.
Quando, essendo U0 il valore massimo di velocità di regime, la chiusura avvenga in un tempo T ≤ 2l/a, allora in tubazione a diametro e spessore costanti la massima sovrapressione allo sbocco è aU0/g (circa 100 m. di sovrapressione per ogni metro di velocità perduta); mentre, secondo determinazioni di De Sparre, se diametro e spessore siano variabili, indicando con ai la velocità di propagazione all'imbocco, as la velocità di propagazione allo sbocco,
la massima sovrapressione allo sbocco è
Posto
con n ≥ 1, tale sovrapressione si verifica per un tronco di tubazione a monte dello sbocco di lunghezza
mentre dall'estremo a monte di tale tronco la sovrapressione massima decresce con legge lineare fino a valore nullo all'imbocco.
Qualche indagine è stata rivolta anche (es. E. Volterra) al caso di complesse reti di condotte.
Una conferma della limitata influenza delle resistenze passive nelle perturbazioni idrodinamiche, per brevi intervalli di tempo, è data dallo studio delle vibrazioni forzate del liquido contenuto in un tubo; mentre invece per il sistematico persistere di esse, come nel caso della propagazione di un suono, risultano le seguenti proprietà (Puppini): le resistenze passive e le eventuali dispersioni di liquido attenuano diversamente il suono fondamentale e gli armonici e determinano diverse velocità di propagazione, sicché risulta modificato il timbro dei suoni e si producono battimenti; la velocità di propagazione cresce con la frequenza; i suoni più acuti subiscono maggiore smorzamento dei suoni più gravi.
Al termine della galleria in pressione di un impianto a serbatoio e all'inizio delle condotte forzate, un pozzo piezometrico di sezioni orizzontali notevoli attenua gli effetti di una manovra dell'otturatore posto in O. Le variazioni di pressione alla sezione del pozzo piezometrico sono necessariamente molto lente, perché connesse col fatto di riempimento e di svuotamento del pozzo. Richiedendosi allora molto tempo perché nel pozzo l'acqua raggiunga un massimo di altezza (molte durate di fase della condotta l2), le resistenze passive nella lunga condotta l2 hanno modo di esercitare la loro azione di assorbimento di energia meccanica, mentre invece perdono d'importanza le quantità di energia che vengono periodicamente trasformate in lavoro di deformazione per compressione dell'acqua e dilatazione del materiale che costituisce la condotta. Questo ultimo punto è stato messo in chiaro (Puppini) insieme col fatto che una manovra di chiusura dell'otturatore in O, anche in tempo T > 2l1/a, può sostituirsi con un'ipotetica chiusura istantanea in O′, così come una manovra di apertura può sostituirsi con ipotetica apertura istantanea in O′.
Allora l'equazione del moto deve assumersi nella forma completa (7), dalla quale, integrando a tutta la condotta l2, e ponendo con approssimasione α = β, si ha, dopo di avere sostituito al rapporto di differenze infinitesime il rapporto di differenze finite ΔU/Δt:
dove z è la depressione del pelo libero in S rispetto al pelo libero in I ed è h la perdita di carico piezometrico lungo l2 valutata come in regime uniforme.
Altra equazione traduce la condizione allo sbocco della condotta l2 nel pozzo piezometrico: il volume d'acqua che nel tempo Δt arriva alla base del pozzo piezometrico è uguale a quello che nello stesso tempo prosegue per le condotte forzate con portata Q più quello che si accumula nel pozzo:
essendo Ω′ la sezione della condotta l2, Ω la sezione orizzontale del pozzo piezometrico alla profondità z. Le equazioni (13), (14) possono venire utilizzate con procedura grafica come quella del Pressel.
Lo studio sperimentale del moto dell'acqua nelle condotte in regime regolare può avere un controllo razionale applicando le equazioni del Navier (v. idrodinamica) con la condizione limite che la velocità sia nulla a contatto con le pareti. Dalle quali equazioni si deduce che la pressione varia con legge idrostatica nel piano della sezione; e, se il tubo è cilindrico di sezione circolare, in regime regolare permanente, si ottiene:
dove, fermo restando il significato che i simboli h, l, Q, d hanno nella (9), ω è il peso specifico dell'acqua e ν è il coefficiente di viscosità, cioè, secondo concetto che risale a Newton, il rapporto fra la resistenza per unità di area parallela alla direzione del moto e la differenza di velocità per unità di distanza, misurata questa in direzione normale al moto. Per l'acqua è
ove θ è la temperatura al di sopra di 0° C.
Questa legge rientra in altra di significato un po' più vasto, essere cioè le pressioni tangenziali e le parti non statiche delle pressioni normali funzioni lineari omogenee delle velocità di deformazione, posta la quale legge si deducono appunto le equazioni del Navier.
A priori si può essere portati ad ammettere tale legge pel fatto che, con considerazioni relative all'isotropia del liquido, al valore del modulo di compressibilità cubica dell'acqua e a quello del coefficiente di viscosità, si giunge a riconoscere (Puppini) che l'ordine di grandezza delle deformazioni che fanno differenziare il liquido da uno stato isotropico è ad ogni istante piccolissimo (10-7). Onde le tensioni tangenziali e le parti non statiche delle tensioni normali possono, in uno sviluppo in serie, limitarsi alla forma di funzioni lineari, omogenee delle deformazioni, e quindi delle velocità di deformazioni, perché queste differiscono dalle deformazioni per un fattore di tempo da considerarsi come parametro fisico del mezzo. Ma il controllo definitivo resta all'esperienza, alla quale deve chiedersi se le deduzioni che si traggono dalle equazioni del Navier hanno adeguato riscontro nei fatti.
Dalla (15) si deduce che la velocità media U nel piano della sezione è data da:
Sia che si confronti la (15) con la (9) o la (16) con la (4), la differenza più notevole e significativa che si riscontra tra moto vorticoso e moto regolare è questa che nel primoo la portata e la velocità sono proporzionali alla radice quadrata della perdita di carico piezometrico per unità di lunghezza di condotta, nel secondo invece portata e velocità sono proporzionali direttamente a detta perdita di carico. Quanto alla legge di distribuzione di velocità nel piano della sezione, essa si trova rappresentata da un paraboloide di rivoluzione.
La dipendenza della portata dal carico, dalla lunghezza e dal diametro del tubo, dal peso specifico e dal coefficiente di viscosità del liquido, come espressa dalla formula (15), è stata verificata sperimentalmente fin dal 1840 dal Poiseuille, operando su tubi di piccolissimo diametro, nei quali a sensi della formula di Reynolds, il regime regolare sussiste anche per valori notevoli di velocità.
Altri sperimentatori, p. es. Camichel e Ricaud, nel moto regolare tra due lamine distanti fra loro 5,2 mm., alla distanza di 50 cm. dall'imbocco, hanno anche riconosciuto la variazione parabolica della velocità nello spessore della corrente. L'Ugolini con recenti esperienze ha sollevato dubbio sulla variazione parabolica di velocità lungo il diametro del tubo; il che, se confermato, porterebbe di conseguenza a porre in discussione la legge fondamentale di dipendenza lineare omogenea fra velocità di deformazione e pressioni tangenziali e parti non statiche delle pressioni normali.
Moti di acque filtranti.
Le leggi principali del moto dell'acqua entro tubi in regime regolare - la portata proporzionale alla perdita di carico piezometrico per unità di lunghezza di percorso (pendenza motrice), la pressione variante con legge idrostatica nel piano della sezione - si assumono di solito a base dello studio del moto dell'acqua entro ammassi permeabili (ghiaie, sabbie), entro i quali le linee di deflusso si raffigurano come un fascio di tubi sottilissimi, intercomunicanti lateralmente e perciò solidali fra loro nei riguardi della pressione.
Si considerano allora le superficie di ugual carico piezometrico h = z + p/ω = costante, rispetto alle quali le linee di deflusso dell'acqua sono traiettorie ortogonali, lungo cui il moto si verifica nel senso dei carichi piezometrici decrescenti. La pendenza motrice in un punto della massa filtrante può allora considerarsi come il vettore i = − grad h e la portata che attraversa l'unità di superficie di ugual carico sarà da considerarsi pure come un vettore:
ove m, in un mezzo filtrante isotropo, è una quantità scalare cui si dà nome di coefficiente di filtrazione, e che, anche raffrontando la (17) con la (16), si vede bene deve decrescere col crescere della viscosità e quindi col diminuire della temperatura.
Le condizioni di continuità del moto e di incompressibilità del liquido portano a che sia divq = 0. I due vettori i e q dipendono tutti e due da un potenziale e sono tutti e due a divergenza nulla, se il mezzo sia omogeneo, nel qual caso è
Nei riguardi dei due vettori i, q è interessante una legge, che può chiamarsi di rifrazione, per il caso in cui la massa porosa imbevuta di acqua sia costituita di due zone perfettamente adiacenti, con la condizione che il coefficiente di filtrazione subisca discontinuità nel passaggio attraverso alla superficie di separazione delle due zone. Il Gori ha appunto dimostrato che, attraverso la superficie di separazione di due mezzi a diverso coefficiente di filtrazione, le linee di flusso del vettore portata e del vettore pendenza motrice subiscono una rifrazione: la tangente dell'angolo d'incidenza sta a quella dell'angolo di rifrazione come il coefficiente di filtrazione del primo mezzo sta a quello del secondo.
La relazione q = mi, ove il parametro ha le dimensioni fisiche di una velocità, si chiama legge di Darcy, dal nome del ricercatore che ottenne per primo tale relazione per via sperimentale. Altri sperimentatori (Ritter, Hazen) confermarono tale legge. Ma è stato anche riconosciuto che, quando il mezzo filtrante non è a granuli molto minuti e, essendo notevole la pendenza motrice, non è piccolissima la velocità di filtrazione (maggiore di 0,3 ÷ 0,4 cm. s-1), la legge Darcy non è molto bene verificata. Sicché, ad es., Masoni, per terreno permeabile composto di granelli di lapillo trachitico di dimensioni fra 0,5 e 1,5 cm., indicò come più rispondente ai dati di esperienza, anziché la (17), una formula q = mi=⃓, mentre più in generale sono state indicate formule del tipo i = α qn, con n compreso fra 1 e 2, oppure del tipo i = αq + βq2. Sta però di fatto che lo studio del deflusso dell'acqua entro mezzi permeabili, nelle trattazioni analitiche, viene normalmente eseguito assumendo la legge Darcy, come legge di approssimazione tanto più buona, quanto più minuti siano i grani che costituiscono l'ammasso e piccola la velocità di filtrazione. A titolo d'indicazione di ordine di grandezza si riferiscono valori dati dallo Strickler per la temperatura di 10° C:
Mentre possono farsi interessanti considerazioni (Hazen) sul modo di dipendenza del coefficiente di filtrazione dalle dimensioni e dall'assetto del materiale, è da riconoscere che solo per via di esperienza, nei singoli casi, può essere ottenuto il valore del coefficiente di filtrazione. Trattandosi di mezzi filtranti naturali, la ricerca deve essere fatta senza alterare l'assetto del materiale, con procedura di campagna, come ad es. quella indicata da Puppini. I valori che si trovano sono di solito assai piccoli. Fantoli per il sottosuolo milanese ha trovato il valore medio m = o,0025 m. s-1, G. Torricelli per il subalveo del Tresinaro m = 0,00035 m. s-1, per quello dell'Enza m = 0,0003 m. s-1, Puppini per il subalveo del Savena a monte di Pianoro m = 0,001 m. s-1.
Lo studio di un problema di moto delle acque filtranti consiste, in generale, nell'integrazione dell'equazione
Si otterrà per h una espressione contenente funzioni indeterminate, alla cui determinazione si giunge utilizzando, oltre le condizioni iniziali, le condizioni relative alle superficie limiti, cioè le condizioni che h o una sua derivata prendano una serie determinata di valori pei punti appartenenti a date superficie.
Quando si tratti di una falda di acqua, il cui spessore nella direzione verticale sia piccolo a confronto delle dimensioni in direzioni orizzontali (x, y), e nella quale le due superficie impermeabili che contengono la falda, se questa è in pressione (artesiana), oppure il sottosuolo impermeabile e la superficie libera, se la falda è a pelo libero (freatica), abbiano piccolissime pendenze rispetto a un piano orizzontale, allora, essendo le linee di deflusso pressoché orizzontali, il carico piezometrico può ritenersi costante lungo una verticale. L'equazione di continuità assume allora la forma
per falde artesiane; e per falde freatiche
nella quale h è l'altezza del pelo libero sul piano x y nel punto generico, H l'altezza del piano x y sul fondo impermeabile, p la portata di afflusso alla superficie libera per unità di area, λ il rapporto (coefficiente di porosità) fra il volume dei vuoti esistenti in una data porzione del materiale filtrante e il volume complessivo.
Se il regime è permanente e senza afflusso alla superficie libera, allora l'equazione precedente si riduce a
e se il sistema poroso, ritenuto omogeneo, ha un fondo impermeabile orizzontale, che si assume come piano x y, allora l'equazione prende la forma
equazione utilizzata nei lavori del Forchheimer e dell'Alibrandi per lo studio di falde freatiche e di pozzi a esse attingenti.
L'equazione (18), nelle forme che prende con supposizioni particolari di permanenza o non permanenza del moto, di apporto superficiale o meno, di fondo impermeabile orizzontale o inclinato, è stata utilizzata anche negli studî del Fossa-Mancini, come nelle ricerche teoriche del Boussinesq, che trovano conferma sperimentale nei rilievi del Maillet sulle sorgenti in periodi di acque alte e in periodi di siccità.
Il dedurre dalle leggi generali di filtrazione e quindi dall'equazione (17) la formula che avrebbe più interesse tecnico, cioè quella della portata di un pozzo, è cosa possibile solo quando si facciano ipotesi molto semplici sulla struttura geometrica della falda a cui il pozzo attinge e sul modo come la falda è alimentata dall'esterno. Non verificandosi tali ipotesi nella realtà delle falde naturali, artesiane e freatiche, anzi non conoscendosi di solito in modo quantitativo la struttura di esse falde, le portate dei pozzi che si perforano debbono essere, anziché perseguite con formule, ricercate con misure sperimentali.
Accade in generale che, posto un problema di filtrazione sulle basi analitiche sopra indicate, s'incontrano difficoltà nella risoluzione, per la grande complessità e irregolarità di forma dei bacini filtranti e di modo di alimentazione, mentre spesso la non conoscenza di tali elementi vieta addirittura di precisare le condizioni ai limiti. Si dimostra peraltro che in generale un complesso problema di filtrazione può ricondursi alla considerazione di alcuni casi più semplici, sicché alla risoluzione razionale o empirica di questi si riporta l'esame di quello. Ciò si ottiene per mezzo del principio di reciprocità (Puppini) per le falde artesiane e per le falde freatiche: principio che qui si riassume limitatamente al caso delle falde artesiane.
In una falda artesiana, la quale abbia scambio di acqua coll'esterno per mezzo di n superficie, talune di alimentazione, altre di erogazione, si considerano due diversi regimi, il primo definito da valori hs (s = 1, 2,. . . n) di carichi sulle dette n superficie con portate Qs entranti o uscenti, l'altro da valori hs′ di carichi e Qs′ di portate; si ha la relazione:
cioè la somma dei prodotti delle portate di un regime per i carichi piezometrici dell'altro regime è uguale alla somma dei prodotti delle portate del secondo regime per i carichi piezometrici del primo.
Qualora nella falda artesiana un gruppo di m pozzi sia sufficientemente lontano da altre eventuali superficie di erogazione e dalle superficie di alimentazione, in modo che il funzionamento degli m pozzi di detto gruppo non determini depressioni piezometriche apprezzabili sulle dette superficie, allora la (19) può essere sostituita con una formula in cui le sommatorie sono estese solo agli m pozzi, intendendo peraltro con hr (r = 1, 2,. . . m), anziché le quote piezometriche nei pozzi, le depressioni misurate in ogni singolo pozzo rispetto alla quota piezometrica in condizioni di afflusso nullo da ognuno degli m pozzi:
Qualora sia m = 2 e in un regime si abbia Q1 = 1, Q2 = 0, nell'altro Q1′ = 0, Q2′ = 1, allora la (20) dà h1′ = h2; il che significa che la depressione piezometrica che la portata unitaria defluente da un pozzo determina su un altro è eguale alla depressione piezometrica che la portata unitaria defluente dal secondo determina sul primo. Posto ancora m = 2, e supposto conosciuto un regime (Q1 = 1, Q2 = 0, h1, h2) e altro regime (Q1′ = 0, Q2′ = 1, h1′, h2′), allora in altro qualunque regime definito da (h1″, h2″) le portate Q1″, Q2″ risultano determinate dalle equazioni:
Qualora, per m generico, si consideri in un punto generico della falda altro pozzo che indichiamo con m + 1, il raffronto dei due regimi (Q1, Q2. . . Qm, h1, h2. . ., hm, Qm+1 = 0, hm+1), (Q1′ = Q2′ = . . . = Q′m = 0, h1′, h2′. . . h′m, Q′m+1 = 1, k′m+1) porta alla relazione:
che si enuncia: la depressione che le portate defluenti da m pozzi determinano in un punto generico della falda è uguale alla somma dei prodotti delle dette singole portate per la depressione che in ognuno degli m pozzi determina una portata unitaria supposta uscente dal detto generico punto della falda. Questi casi dimostrano appunto quanto sopra è detto, cioè come il principio di reciprocità consenta di risolvere problemi di moto delle acque filtranti a mezzo della risoluzione razionale o empirica di problemi più semplici di quelli dati.
Modelli.
Riprendendo l'osservazione fatta al principio di questa esposizione, che cioè per l'esame degli argomenti d'idrodinamica che interessano l'ingegnere, allo stato attuale della scienza, giova, più che lo strumento matematico, l'osservazione dei fatti e la riproduzione di essi a mezzo di esperienze, è da riconoscere che il più delle volte non si riesce a risolvere con un'analisi matematica sufficientemente aderente alla realtà il problema in esame. Il tecnico deve allora rivolgersi all'osservazione dei fatti quali questi si presentano, o in situazioni del tutto naturali (fiumi, torrenti, spiagge, ecc., non modificati dall'uomo), o in opere costruite dall'uomo, come sistemazioni di fiumi, dighe, navi, turbine ecc. Ma in questa osservazione di fatti su opere esistenti in generale non è possibile d'intervenire modificando elementi, sì da accostare di più l'oggetto che si sta osservando al tipo di opera che si intende di studiare. Allora può essere utile la costruzione di un modello in piccola scala, geometricamente simile al manufatto che deve essere studiato ed eventualmente costruito.
Le vicende idrauliche nel piccolo modello sono trasportabili al caso in esame, quando si realizzi la similitudine meccanica, così definita: "due movimenti idraulici si chiamano simili quando essi avvengano secondo traiettorie geometricamente simili e sussista, per ogni entità meccanica, un rapporto costante fra i valori da essa assunti in punti omologhi della similitudine geometrica".
La similitudine geometrica del modello rispetto alla struttura in istudio deve essere accuratamente realizzata non solo nelle dimensioni d'insieme, né solo in quelle di particolari più facilmente visibili, ma anche nelle stesse scabrosità delle pareti. Allora, nel caso di moti con superficie libera, sia che il moto possa considerarsi come di fluido perfetto, sia che, intervenendo resistenze, queste determinino un regime tanto turbolento che consenta di prescindere da azioni regolari di viscosità, realizzata una similitudine geometrica in cui le dimensioni del modello stiano a quelle reali nel rapporto λ, le velocità nel modello, nell'ipotesi che si riscontri la similitudine meccanica, stanno a quelle reali nei punti omologhi nel rapporto √λ (legge Reech-Froude), i carichi piezometrici nel rapporto λ, le portate nel rapporto λ5/2, le spinte idrodinamiche nel rapporto mλ3, chiamando m il rapporto fra la densità del liquido usato nel modello e la densità del liquido nel caso reale, le potenze nel rapporto mλ7/2.
Così è nel raffronto di sistemi simili recipienti con luce a stramazzo, ma solo in via di approssimazione, in quanto alla similitudine degli elementi costruttivi non si accompagna una similitudine geometricamente perfetta nelle traiettorie degli elementi del fluido, specie a motivo della viscosità.
Così è pure, sempre in via di approssimazione a causa delle trascurate azioni regolari di viscosità, per lo studio della potenza che debbono sviluppare le macchine motrici di uno scafo, studio che viene eseguito con un modello in scala λ trascinato con velocità che sta alla velocità reale nella scala √λ.
Quando si tratti di moti regolari di liquidi reali, cioè in cui si esercitino azioni di viscosità, ma non si abbia stato di agitazione vorticosa, si dimostra che due sistemi simili geometricamente si presentano in situazione di similitudine meccanica, quando, indicate con V1, V2 le velocità in due punti omologhi, D1, D2 due dimensioni omologhe, ν1, ν2 i coefficienti di viscosità dei due liquidi, ρ1, ρ2, le rispettive densità, sia
Modelli idrodinamici possono costruirsi, oltre che per lo studio delle grandezze meccaniche in giuoco, come nella sopra indicata ricerca della potenza delle macchine motrici di uno scafo, anche per lo studio delle forme che assumono determinate correnti di acqua e delle loro azioni sulle superficie solide.
Su questo argomento dei modelli idraulici sono da ricordare studî sperimentali delle Ferrovie italiane dello stato, di Scotti Foglieni, Scimemi, De Marchi, Marchetti, Smrcek, Rohringer, Rehbock, Seifert, Camichel, Escande.
Infine conviene ricordare che, per lo studio di moti di acqua attraverso mezzi permeabili, possono giovare anche modelli assunti fuori del campo idraulico, modelli elettrici p. es., di cui fu fatta applicazione da Puppini e Gori nel 1922 per la verifica della sopra richiamata legge di reciprocità e in seguito da Puppini per la ricerca di formule di portate di pozzi artesiani.
Bibl.: I. Nazzani, Idraulica pratica, Milano 1883-1889; U. Masoni, Idraulica teoretica e pratica, Napoli 1908; G. Torricelli, Idraulica pratica, Milano 1910; S. Cappa, Idraulica pratica, Torino 1907; D. Spataro, Idromeccanica, Milano 1921; E. Silvestri, Lezioni di idraulica teorica e pratica, Torino 1921; E. Zeni, L'Ingegnere idraulico, Milano 1921; G. De Marchi, Idraulica, Milano 1930; M. Lelli, Lezioni di idraulica, Bologna 1930; F. Marzolo, Idrotecnica generale, Padova 1928; U. Puppini, Sui fondamenti scientifici dell'idraulica, Bologna 1912; id., Lezioni di idraulica, Bologna 1929; A. Flamant, Hydraulique, Parigi 1923; H. Bouasse, Hydrodynamique générale, etc., Parigi 1923-1928; A. Boulanger, Hydraulique générale, Parigi 1909; A. H. Gibson, Hydraulics and its applications, Londra 1912; H. Lamb, Hydrodinamics, Cambridge 1926; A. Budau, Hydraulik, Vienna 1913; Ph. Forchheimer, Hydraulik, Berlino 1930; H. Lorenz, Technische Hydromechanik, Berlino 1924; R. Weyrauch, Hydraulischen Rechnen, Stoccarda 1921.