IDRAULICA
L'Antichità costituì il periodo aureo dell'evoluzione tecnica dell'i., in particolare per quanto concerne la distribuzione di acqua potabile alle popolazioni del bacino del Mediterraneo e dell'Europa occidentale e centrale. Questo alto grado di tecnologia non riguardò solo le città o i siti militari fortificati dell'Impero romano, bensì anche gli insediamenti isolati, come i prestigiosi complessi rurali (villae rusticae) situati nelle tenute di ricchi possidenti. La tecnologia romana si diffuse con facilità, anche perché i Romani desideravano non rinunciare nelle terre conquistate al lusso al quale erano abituati in patria, nonché esibire la propria maestria tecnica per impressionare le popolazioni sottomesse.In epoca romana la disponibilità d'acqua per l'approvvigionamento delle popolazioni urbane o delle proprietà terriere era tale che si può parlare effettivamente di una sorta di lusso idrico e, in senso odierno, persino di sperpero d'acqua. Tuttavia, considerando la portata degli antichi impianti idraulici, va sempre tenuto presente che l'immensa quantità d'acqua utilizzata (per es. a Colonia, l'antica Colonia Ara Claudia Agrippinensium, il consumo di acqua era di 20.000 m3 al giorno) non serviva solo come acqua potabile, ma riforniva anche terme e latrine e serviva per la pulizia di strade e canali.Con il processo di decadenza della cultura romana nelle province e nella stessa Italia, compiutosi nel sec. 5°, si verificò anche il decadimento di quasi tutte le conquiste tecniche: le strade, i ponti, le monumentali opere architettoniche e i grandiosi acquedotti dell'Antichità andarono in rovina in molti luoghi e la stessa Roma non fu indenne da tale processo. La sopravvivenza della tecnica antica, tuttavia, insieme a un evidente progresso delle conoscenze di i. in edifici di nuova costruzione, si manifestò nell'impero bizantino e nelle regioni che subirono l'influsso degli Arabi, dove è ravvisabile un più alto livello di interesse per la tecnologia. A tale proposito va posta una questione chiave: se nel Medioevo si fossero o meno conservate le cognizioni tecniche dell'Antichità o se invece si fosse verificata una netta frattura, seguita solo in un secondo momento da un rinnovato processo evolutivo equiparabile, per così dire, a una nuova invenzione.Per quanto riguarda il livello ingegneristico standard nell'i., i risultati degli studi più recenti permettono di constatare per tutte le regioni appartenute all'Impero romano la sopravvivenza delle cognizioni tecniche dell'Antichità; è comunque evidente che nell'Alto Medioevo la capacità di rifornimento degli impianti di approvvigionamento idrico si ridusse drasticamente ovunque e risulta difficile menzionare casi di rifornimento generale della popolazione, assicurato da acquedotti di elevato livello costruttivo; infatti anche dove le antiche condotte poterono essere tenute in funzione, la loro portata si ridusse di molto e poté soddisfare solamente un fabbisogno più limitato e orientato a nuovi scopi: le comunità tornarono infatti a rifornirsi individualmente e sia in città sia in campagna il pozzo sostituì le fontane ad acqua corrente.Bisanzio e le regioni arabe, compresa la Spagna, costituirono dapprima un'eccezione; i Bizantini infatti ampliarono gli antichi impianti idraulici e li completarono con nuovi interventi costruttivi - le grandi cisterne di Costantinopoli testimoniano ancora oggi tali imprese - e gli Arabi applicarono le proprie peculiari, antiche cognizioni: le tecniche per la costruzione di imponenti qanāt o foggara, condutture sotterranee per la captazione dell'acqua, vennero riprese, come già avevano fatto in precedenza i Romani, da modelli dell'antico Iran. La tecnica dell'adduzione dell'acqua per le fontane a getto dei palazzi dei sovrani, dopo che già i Romani avevano realizzato opere straordinarie, giunse nuovamente in Europa con la conquista della Spagna da parte degli Arabi. Anche le città della Reconquista mostrano a volte opere desunte dalle conoscenze tecniche di costruttori arabi: per es. Morella (Valencia) disponeva di un acquedotto realizzato nel sec. 13°, la costruzione del quale sarebbe stata impensabile senza l'influsso arabo.Nel resto d'Europa tuttavia, sebbene fosse possibile ancora basarsi sulle nozioni di i. ereditate dall'Antichità, gli sviluppi furono più esitanti. La fornitura dell'acqua ai complessi battisteriali di epoca paleocristiana e altomedievale offre importanti e finora poco considerate possibilità di osservazione sulla storia dell'i., ma a un attento esame si riscontra come e per quali difficoltose vie le cognizioni tecniche in questo campo fossero sopravvissute.Se nella tecnica idraulica romana si può riscontrare continuamente, accanto al pragmatismo degli antichi ingegneri, anche la volontà di ostentare una monumentalità architettonica, per quanto riguarda l'epoca medievale è evidente quanto poco contasse l'aspetto architettonico delle opere di ingegneria. Forse si deve proprio a tale modestia delle strutture costruttive di interesse tecnico la scarsità di conoscenze che per lungo tempo ha caratterizzato questo settore di ricerca. Inoltre bisogna considerare che l'i. medievale sembra essere di tipo particolare; appare peraltro assolutamente sorprendente che nell'Alto Medioevo un'evoluta tecnica idraulica fosse trascurata nella sua utilizzazione per le esigenze di vita pratica, ma che venisse per contro impiegata in più luoghi a scopi cultuali.In particolare, il battesimo, segno dell'appartenenza alla comunità cristiana, venne ben presto amministrato pubblicamente e furono eretti appositi edifici per il simbolico lavaggio dai peccati, che si svolgeva secondo l'esempio del battesimo di Gesù nel Giordano a opera di s. Giovanni Battista. In conformità a tale modello i più antichi precetti religiosi conservati (Didaché), della prima metà del sec. 2°, prescrivevano il battesimo in acqua corrente, disposizione che sembra essere stata un presupposto importante e riconosciuto, poiché nella maggior parte dei battisteri risulta rispettata, come dimostra la presenza di appositi impianti. Poiché in s. Paolo (Rm. 10, 9) questo sacramento è legato alla professione di fede del battezzando, nel cristianesimo delle origini era possibile e usuale unicamente il battesimo degli adulti svolto per immersione; a partire dal sec. 4° divenne consueto anche quello dei bambini, nel quale prevaleva il carattere di espressione simbolica della purificazione del battezzando dal peccato originale. Le vasche battesimali paleocristiane, comunque, difficilmente avrebbero permesso in senso letterale l'immersione dell'intero corpo; per come erano costruite, esse consentivano piuttosto che il battezzando, in piedi nell'acqua corrente fino alle caviglie, venisse asperso di acqua dal celebrante, posto sul bordo della vasca. Questo modo di amministrare il rito, funzionale a risolvere il problema della folla presente ai battesimi - che di regola erano previsti solo in determinate date, quali la notte di Pasqua, la Pentecoste, l'Epifania, il Natale -, corrisponde anche alle prime raffigurazioni conosciute, come quella nel mosaico della cupola del battistero degli Ortodossi a Ravenna (sec. 5°).Le condutture idriche di cui erano provvisti molti battisteri paleocristiani dovettero rappresentare per un lungo periodo, compreso tra il sec. 4° e il 10°, uno straordinario tramite per la trasmissione di conoscenze tecniche di idraulica. In Francia, nei pressi della cattedrale di Saint-Jean a Lione, si conservano alcune strutture appartenenti al battistero di Saint-Etienne, eretto nel sec. 4° e utilizzato fino all'8°, che costituiva il centro del complesso episcopale. Il rifornimento idrico del battistero lionese, probabilmente il più antico al di fuori dell'Italia, avveniva tramite due tubature di piombo e, dal punto di vista tecnico, presenta le medesime caratteristiche degli antichi sistemi di adduzione.Anche il battistero di Saint-Jean a Poitiers, datato al sec. 4°, può essere considerato una delle più antiche architetture di questo tipo in Francia. Le indagini archeologiche effettuate negli anni 1958-1960 nel vano battisteriale hanno fornito nuove conoscenze importanti per la storia dell'idraulica. Gli scavi hanno mostrato che l'area era edificata dall'epoca romana; infatti sono attestati archeologicamente i resti di un'abitazione, abbandonata e distrutta nel sec. 3° (probabilmente nel 276), sulle rovine della quale si avviò, nel secolo successivo, la costruzione della prima fase del battistero di Saint-Jean; la scelta della ubicazione dovette essere senza dubbio subordinata alla presenza sul sito di una canalizzazione preesistente ancora funzionante, che si allacciava alla rete di condutture dell'acquedotto romano. La condotta, in pendenza, consisteva in un canale in conglomerato a forma di U, chiuso da lastre di pietra accuratamente squadrate, che giungeva all'edificio provenendo da O; per adattare il canale alla nuova funzione, esso venne tagliato poco prima della vasca battesimale e, tramite l'allaccio di una nuova fistola in terracotta, la sua sezione fu fortemente ridotta, poiché, evidentemente, la diminuita quantità d'acqua che veniva fornita era sufficiente alle esigenze del culto. Il battistero di Poitiers, dopo le distruzioni causate dai Visigoti, venne restaurato e ingrandito sotto Clodoveo (482-511), che nel 507 aveva sconfitto Alarico nelle vicinanze della città. La vasca e la condotta romana furono utilizzate fino al sec. 10°, quando, con l'introduzione di un nuovo rito battesimale, la vasca fu interrata e sostituita da un fonte battesimale a coppa.Nella cattedrale di Saint-Sauveur ad Aix-en-Provence (dip. Bouches-du-Rhône) il battistero, risalente al sec. 5°, e dunque molto anteriore all'attuale basilica (secc. 12°-14°), è eccezionalmente ben conservato. Grazie a scavi si è potuta determinare la sua posizione all'interno del tessuto urbano dell'antica Aquae Sextiae: si trovava al centro della città romana, nell'angolo nordoccidentale del foro, separato dal cardine da un portico; grazie a tale posizione favorevole era certamente possibile allacciarsi alla rete cittadina esistente per l'approvvigionamento idrico; intorno alla vasca battesimale ottagonale furono impiegate alcune colonne antiche. Questo battistero, la cui datazione al sec. 5° si basa su trovamenti di monete e reperti ceramici, probabilmente rimase in funzione fino all'11° secolo.Il battistero di Venasque, piccola località provenzale presso Carpentras (dip. Vaucluse), eretto - insieme a una chiesa coeva dedicata alla Vergine, poi abbandonata - nella prima metà del sec. 6°, all'epoca di s. Siffredo, pur se più volte trasformato e ricostruito, conserva l'originaria configurazione e lascia intuire l'importanza di Venasque, un tempo sede vescovile. In uno dei restauri subiti dall'edificio, forse in occasione degli ampi interventi del sec. 13°, vennero portati alla luce tubi dell'antica conduttura adduttrice dell'acqua, che furono esposti come spoglie alla parete, subito a sinistra rispetto alla scala d'ingresso; si tratta di tubature in pietra di sezione circolare con bocca piriforme.Tra i numerosi battisteri paleocristiani che si inseriscono in questa tradizione vanno ancora menzionati, in Francia, quello di Riez (dip. Alpes-de-Haute-Provence), situato in un antico complesso termale, e, in Italia, il battistero di Albenga (prov. Savona), che un tempo veniva alimentato con acqua freatica, nonché quelli di Kaiseraugst, nella Svizzera settentrionale, e, in Germania, quelli di Bonn e di Boppard (Renania-Palatinato), dove una basilica paleocristiana venne eretta nelle terme del castrum; inoltre, una vasca messa in luce nel corso di scavi a Colonia è ancora oggetto di controversia per quanto riguarda la sua originaria destinazione.Oltre a questi esempi della continuità o del ripristino di antichi impianti di rifornimento idrico nell'ambito dell'edilizia sacra, anche in ambito profano si trovano casi di strutture antiche ancora usate in epoca medievale o realizzate ex novo nell'Alto Medioevo secondo la tecnica romana. A Ravenna nel 500 ca. l'intervento di riparazione su un tratto di un'antica conduttura in piombo (Ravenna, Mus. Naz.) è testimoniato dall'iscrizione voluta da Teodorico (493-526): "D(omi)n(us) rex Theodericus civitati reddidit". Essa voleva sottolineare non soltanto che gli ingegneri erano in grado di riparare ('restituire ai cittadini') un'antica condotta d'acqua, ma rendeva anche per sempre visibile il valore di un tale intervento, eseguito per disposizione del sovrano.L'acquedotto in pietra realizzato per il palazzo dell'imperatore Carlo Magno (768-814) a Ingelheim (Renania-Palatinato) corrisponde esattamente ai modelli antichi, tanto da essere ritenuto per lungo tempo un'opera romana; in realtà si tratta di un canale in pietra eretto nell'800 ca. con tecniche edilizie antiche, probabilmente importate nelle regioni dell'impero carolingio da maestri costruttori provenienti dall'Italia.Il coronamento di fontana a forma di pigna, in bronzo, giunto dall'Italia intorno al Mille nel palazzo imperiale di Aquisgrana è un manufatto antico e, come la pigna conservata nel cortile dei Mus. Vaticani di Roma - che tuttavia è di dimensioni notevolmente maggiori del suo pendant di Aquisgrana -, doveva un tempo essere collegato a una conduttura d'acqua a pressione. Benché non si conosca per quest'epoca nessuna condotta forzata di ambito civile, la presenza di un tale coronamento di fontana alla corte di Aquisgrana costituisce un importante indizio che conferma come tale tecnica dovesse essere senz'altro conosciuta e utilizzata. Va ricordato inoltre che il De architectura di Vitruvio (sec. 1° a.C.), che dedica ampio spazio a descrivere la tecnica idraulica, in quest'epoca, e successivamente fino al sec. 16°, era considerato ancora il più importante manuale per i costruttori. D'altro canto, anche nei monasteri del Medioevo Vitruvio era molto letto e molto copiato e quindi non deve sorprendere che le tecniche da lui descritte risultino impiegate anche negli edifici abbaziali. L'importanza di un continuo apporto d'acqua nelle abbazie, non solo per le necessità quotidiane ma anche per le abluzioni rituali, è attestata chiaramente dall'iscrizione che i monaci benedettini di St. Emmeram a Ratisbona fecero scolpire nel 1201 sulla lastra tombale del defunto abate Peringer e che recita: "[...] qui fecit aquaeductum plumbeum" (Piendl, 1986, p. 133ss.).Nei monasteri a N delle Alpi, al più tardi nel sec. 11°, per l'adduzione d'acqua corrente alle fontane dei chiostri venivano impiegati sistemi in tutto paragonabili a quelli antichi. Sebbene l'acqua non arrivasse da una grande distanza, come nelle città antiche, ciò nondimeno nella maggior parte dei casi erano utilizzate sorgenti esterne all'insediamento monastico, le cui acque venivano trasportate all'interno mediante condotte forzate, in piombo; tali sistemi chiusi permettevano di rifornire di acqua corrente le fontane, dove per es. si potevano lavare le mani prima di entrare nel refettorio; ulteriori punti di distribuzione erano spesso collegati alla rete principale, così da poter rifornire anche le cucine, i birrifici e i forni del monastero.Per lo più costituite da fistole di piombo, le condutture erano interrate; condizione importante per la manutenzione della rete - nel caso per es. di interventi di riparazione - era che esse fossero rintracciabili anche a molti anni di distanza dalla loro messa in opera; inoltre si doveva naturalmente evitare che i tubi venissero danneggiati quando si effettuavano scavi per una sepoltura nella chiesa abbaziale o nel chiostro. Si deve perciò presumere che nei monasteri esistesse una mappatura della rete di condutture per l'approvvigionamento idrico, nella quale dovevano essere esattamente riportati il percorso delle tubature e la posizione dei congegni di regolazione. Allo stesso scopo, oltre alle mappe, in molti monasteri si trovavano sui muri, nei punti a rischio, indicazioni incise relative alle sottostanti condutture. Nell'abbaziale cistercense di Alcobaça, in Portogallo (distr. di Leiria), è presente l'iscrizione "Aque ductus" insieme a due mani, i cui indici sono rivolti verso i punti critici del pavimento. Indicazioni simili si trovavano anche in altri complessi monastici. Oltre a tali indicazioni, poste in corrispondenza dei punti interessati, per salvaguardare le condutture e facilitarne la manutenzione, dovevano essere certamente realizzati anche 'catasti delle condotte'; noti in gran numero solo per il sec. 18°, essi sono difficilmente attestati per quanto riguarda l'architettura monastica medievale, benché si debba presupporre che ne esistessero in ogni complesso.Unico esempio conservato di tali documenti è la pianta del sistema idraulico del priorato della Christ Church Cathedral a Canterbury, realizzata al tempo del priore Wiberto, tra il 1151 e il 1167, sopravvissuto grazie al fatto di essere rilegato nel salterio di Eadwine (Cambridge, Trinity College, R.17.1, cc. 284v-285r). In questa mappa estremamente dettagliata le condutture raffigurate sono suddivise in diverse classi, per mezzo della colorazione, al fine di distinguerle con chiarezza. Per seguire il percorso dell'acqua si deve partire da due costruzioni circolari (turris) a N, che certo costituiscono la presa della sorgente e il bacino di raccolta dal quale parte l'acquedotto; nel disegno ha forma di filtro anche la bocca di deflusso nel bacino. Nel suo percorso, lungo km. 1,5, in direzione del monastero, la conduttura attraversava campi di grano (campus), vigneti e frutteti (vinea, pomerium). Il materiale impiegato nella costruzione della condotta non è specificato, ma i reperti archeologici rinvenuti attestano che, anche in questo caso, erano state usate fistole di piombo. Nel tratto che arriva fino alle mura di Canterbury sono riconoscibili - sebbene lo schema non fornisca indicazioni più precise - quattro cisterne di decantazione, con scaricatori di fondo, per la depurazione delle acque; sembra che tali cisterne siano riprodotte non in pianta bensì in alzato, per rendere comprensibile la tecnica di depurazione: grazie alla sezione allargata e al deflusso posto più in alto, l'acqua poteva sostare per un certo tempo nel serbatoio per far sedimentare le sostanze in sospensione, che si raccoglievano sul fondo della cisterna e che di tanto in tanto venivano asportate tramite lo scaricatore. Il fossato che precede le mura cittadine è attraversato da un ponte a quattro fornici alla fine del quale, ancora fuori della cinta, si vede un'ultima cisterna di decantazione con scaricatore di fondo; dopo di essa il flusso procede chiaramente in un castello d'acqua, addossato alle mura, per poi correre sotto la strada che passa tra la cinta urbana e quella del monastero, arrivando all'interno del complesso monastico e raggiungendo con un tracciato rettilineo il nucleo principale. Davanti alla cucina dell'infermeria (coquina infirmorum) la condotta si piega in diagonale e sottopassa diversi edifici fino al primo castello d'acqua in un cortile interno, simile a un chiostro, che, per metà, veniva utilizzato come orto di piante medicinali (herbarium) e, per l'altra metà, come chiostro dell'infermeria. Tale castello d'acqua, ancora oggi ben conservato, è caratterizzato da molti elementi architettonici di età normanna e presenta un alzato a due piani; quello inferiore appare liberamente accessibile dall'esterno attraverso passaggi ad arco e, al suo interno, è visibile al centro una possente struttura a pilastro, nella quale un tempo erano installati sia il tubo montante sia quello di scarico, discendente, per l'adduzione e il deflusso. Queste due condotte sono chiaramente raffigurate nella mappa e si riconosce che il tubo montante, oltre a essere poco più lungo di quello per il deflusso dell'acqua eccedente, presenta installato - nel punto in cui si piega verso l'alto - uno scaricatore di fondo, che poteva essere aperto per operazioni di pulitura e mediante il quale il deflusso veniva convogliato, attraverso un passaggio obbligato, nel canale dell'acqua piovana del monastero; tale scaricatore di fondo è qui per la prima volta definito come depuratore (purgatorium). Il piano superiore un tempo accoglieva la fontana e serviva ai monaci lungo il percorso che dal dormitorio conduceva alla chiesa.Nella resa grafica tutti i punti di scarico, di presa e di distribuzione sono segnati in pianta da un piccolo cerchio dal diametro leggermente maggiore rispetto a quello del tratto di tubo del quale costituisce il punto terminale; questa modalità grafica è stata scelta in tutti i passaggi dei tubi montanti e discendenti, di volta in volta tra loro correlati, ed è chiaro che in questi punti l'acqua doveva scorrere continuamente per rifornire a sufficienza il settore seguente della conduttura. I punti di scarico dei serbatoi di decantazione sono rappresentati allo stesso modo; al centro del cerchio che li contrassegna si trova però un segno simile a uno spillo. Dal momento che tali scarichi - diversamente dai raccordi dei tubi montanti e discendenti - dovevano restare chiusi nel corso del normale funzionamento, si può ritenere che in ognuno di questi piccoli spilli si debba riconoscere un segno convenzionale per indicare un rubinetto di chiusura; poiché tuttavia tale contrassegno non si trova nei punti di uscita delle vasche di tutte e quattro le fontane, si deve concludere che le cannelle non erano dotate tutte di rubinetti, bensì gettavano acqua a flusso continuo.Il tratto successivo della conduttura principale comincia nella vasca della fontana del primo castello d'acqua, dove il tubo di scarico discendente riceve l'acqua di spurgo e la riporta in basso al livello del suolo; sotto terra tale allacciamento raggiunge il chiostro e il lavabo ivi situato; anche in questo caso si vede segnato nella pianta un purgatorium nel punto in cui la conduttura si piega in alto verso la fontana, con due vasche: quella superiore, che serviva per i giochi d'acqua, accoglie la bocca di afflusso e quella di deflusso della fistola montante e di quella discendente; attorno al corpo centrale vi sono getti d'acqua (probabilmente otto) con cannelle.L'acqua in eccesso del lavabo del chiostro riempie un sistema di tubature molto ramificato. La conduttura si divide già nel chiostro e un ramo conduce alla zona settentrionale del complesso monastico, dove attraversa il refettorio (refectorium), nel quale sono segnati due punti di prelievo. La cucina (coquina), anch'essa con due punti di prelievo, viene raggiunta dopo il rifornimento di una presa d'acqua davanti a un ambiente per il lavaggio delle stoviglie annesso alla cucina; specificamente indicato è anche un vano per la pulitura del pesce (cam(er)a ubi piscis lavatur).La condotta giunge quindi in un'area del monastero priva di fabbricati e si dirama nuovamente per rifornire a E i bagni con magazzino (balneatorium et camera) e a N il birrificio (bracinum) con due derivazioni e la panetteria (pistrinum). Davanti alla birreria un braccio si dirama verso O per alimentare nell'aula nova - dove trovava posto una foresteria - una fontana la cui parte conservata è oggi denominata 'scala normanna': essa è ancora in buono stato, sebbene non presenti più la vasca con cinque bocche indicata nel disegno.Dal chiostro venivano rifornite anche ulteriori tubature: una prima diramazione alimentava un altro castello d'acqua nel giardino dell'infermeria (infirmorum), una seconda condotta giungeva, passando sotto la cattedrale, a una fontana nel cimitero dei laici (fons in cimiterio laicorum); l'acqua eccedente di quest'ultima riforniva, oltre a una conduttura, la grande peschiera (piscina), nella quale confluiva attraverso un'altra tubatura anche l'esubero proveniente dall'infermeria; l'acqua eccedente della peschiera riempiva ancora due bacini presso la casa nuova del priore e poi risciacquava la latrina dell'infermeria, così come la grande latrina (necessarium) vicino al dormitorio (dormitorium). Situato tra i due impianti delle latrine, il canale di scarico riceveva anche l'acqua piovana che veniva raccolta dalle grondaie del tetto della chiesa (stillicidia) e da canali aperti del chiostro in un piccolo sistema di canalizzazione autonomo.Nei periodi di emergenza, quando l'acquedotto per motivi tecnici non funzionava, tornava ad acquisire importanza uno dei vecchi pozzi. Nella mappa, oltre al vecchio pozzo nel cimitero dei laici, ne è segnato un altro nel chiostro dell'infermeria; tra questo e la fontana dell'infermeria è raffigurata una colonna libera con capitello, alla quale l'iscrizione che l'accompagna attribuisce una funzione assai particolare per l'approvvigionamento idrico del monastero: "Colu(m)pna in q(uam) ductu aq(u)e deficiente potest hauriri aq(u)a de puteo (et) administrabitur om(ni)b(u)s officinis". In questa colonna dunque, in caso di mancanza di rifornimento idrico da parte dell'acquedotto, doveva essere versata l'acqua attinta dal pozzo, per provvedere alle necessità primarie di tutti gli ambienti del complesso; da questo punto, in caso di bisogno, potevano essere riforniti tutti gli allacciamenti posti in profondità, distribuiti nell'area del monastero, e a tal fine - secondo le istruzioni - l'acqua attinta dal pozzo veniva versata nella colonna cava, dove il capitello svolgeva la funzione di una sorta di imbuto.La mappa della rete idrica del tempo del priore Wiberto fornisce un quadro approfondito della situazione tecnologica, ma anche delle prescrizioni igieniche, almeno per quanto riguarda un monastero del 12° secolo. La tecnica in essa attestata, matura e di alto livello, era legata all'esperienza e, in questo senso, la pianta di Canterbury rappresenta uno dei più importanti documenti coevi della storia dell'ingegneria idraulica medievale.La tecnica pienamente sviluppata dell'approvvigionamento idrico nei complessi monastici si potrebbe definire come sistema altamente avanzato su piccola scala. È noto che, nella gran parte dei casi, la fonte di captazione dell'acqua si trovava fuori del circuito monastico a un'altezza tale da garantire in modo naturale la pressione necessaria al funzionamento della condotta e alla distribuzione dell'acqua e questa tecnologia era del tutto sufficiente al fabbisogno di un monastero medievale. In confronto alle modalità di approvvigionamento d'acqua di cui disponeva il resto della popolazione, il sistema idrico presente nei complessi monastici risultava decisamente confortevole e corrispondeva appieno, nelle sue limitate dimensioni, agli standard dell'Antichità.È sorprendente che per il sistema idraulico dei monasteri venissero utilizzate di regola fistole di piombo, realizzate nel Medioevo maturo come in età romana con lastre di piombo incurvate e saldate. Non mancano però testimonianze di tubature in terracotta, che sono attestate per es. nel corso del sec. 13° nelle abbazie cistercensi di Chiaravalle di Fiastra nelle Marche (Righetti Tosti-Croce, 1993) e di Maubuisson nell'Ile-de-France (dip. Oise).Le condutture urbane più antiche di regola presentavano tubi di legno; venivano utilizzate due tecniche, delle quali una, anch'essa di origine antica, comportava la foratura del tronco, mentre nell'altra esso veniva tagliato nel senso della lunghezza e le due metà venivano scavate per poi essere riunite a formare il canale. Anche queste tecniche di produzione delle tubature mostrano che l'i. urbana non raggiungeva in genere il livello di quella dei monasteri. Nell'ambito militare vi erano però delle eccezioni. A Castel del Monte in Puglia gli architetti di Federico II (1198-1250) inserirono nello spessore delle murature un sistema di tubi che portava l'acqua per caduta ai servizi igienici, ricavati in alcune delle torri angolari. L'acqua era conservata in cisterne ricavate sul piano delle coperture delle cinque torri del castello (De Tommasi, 1995).Nell'architettura civile vanno annoverate per es. le città di nuova fondazione sorte all'epoca degli Zähringer e degli Svevi. In queste città, con un impianto che rispecchia uno specifico programma, l'approvvigionamento idrico veniva considerato già nella fase progettuale; era previsto persino un sistema di rifornimento per l'acqua potabile distinto da quello per l'acqua destinata ad altri tipi di utilizzo.Nelle regioni pianeggianti della Germania settentrionale era difficile condurre per pressione l'acqua ai punti di rifornimento, poiché i punti di presa presso i fiumi si trovavano a un livello più basso di quelli che servivano alla distribuzione. Un processo di sviluppo si avviò pertanto in queste regioni solo quando in diverse città i fabbricanti di birra si riunirono in associazioni, per finanziare la costruzione di dispendiosi impianti di sollevamento dell'acqua. In tal modo sorse a Lubecca (Schleswig-Holstein), anteriormente al 1294, la prima Wasserkunst della Germania, a cui seguirono quelle di città come Ulma (Baden-Württemberg) prima del 1340, Hannover (Bassa Sassonia) prima del 1352, Breslavia (Bassa Slesia) prima del 1386 e Brema, dove è persino conservato in copia il documento di fondazione della Società della ruota idraulica del 1394 (Bremisches Urkundenbuch IV, 162). Questi meccanismi idraulici erano installati in torri sulla sponda del fiume e utilizzavano la sua corrente per azionare le grandi ruote e - inizialmente tramite una noria, più tardi con pompe - per sollevare l'acqua fino a grandi cisterne da dove, sfruttando l'energia ottenuta dalla caduta, essa poteva essere condotta ai birrifici.In Italia, a Siena, si trova un dispendioso sistema di approvvigionamento idrico sotterraneo, i c.d. bottini, risalente al Basso Medioevo. Gallerie lunghe chilometri portano a falde freatiche, prelevano l'acqua che filtra e la trasportano sino alle fontane della città. Questa rete di condutture situata molto in profondità, priva di un sistema artificiale di sollevamento dell'acqua e quindi mancante dell'energia dovuta all'altezza, non permetteva l'alimentazione di fontane a getto nell'area urbana. Poiché i punti di fuoriuscita delle gallerie si trovavano a un livello più basso delle piazze cittadine, le fontane con le loro bocche erano raggiungibili solo tramite scale.L'i. in età medievale si presentava nel complesso molto varia. Nella gran parte delle città la popolazione si riforniva a pozzi sia pubblici sia privati. A questo semplice sistema di approvvigionamento idrico corrispondeva generalmente anche quello di eliminazione delle acque di scarico, che venivano convogliate in cloache dietro le case o addirittura semplicemente sulle strade, dove, direttamente o in piccoli bacini di raccolta, si disperdevano ed evaporavano. Questo sistema di eliminazione - le cloache spesso si trovavano nelle immediate vicinanze delle fonti di acqua potabile - portò in molti luoghi a condizioni igieniche critiche, più volte terreno di coltura di epidemie.
Bibl.:
Fonti. - Bremisches Urkundenbuch, a cura di D.R. Ehmck, W. von Bippen, IV, Bremen 1883-1886, p. 162.
Letteratura critica. - H. Cüppers, Der Pinienzapfen im Münster zu Aachen, Aachener Kunstblätter 19-20, 1960-1961, pp. 90-93; G.H. Jaacks, Lübecks alte Wasserkünste, in Von den Alten Wasserkünsten zum modernen Wasserwerk, Lübeck 1967, p. 9ss.; M. Rérolle, Etude archéologique, in Le baptistère Saint-Jean de Poitiers, Poitiers 1976, pp. 19-25; J. Hayes, Prior Wibert's Waterworks, Canterbury Cathedral Cronicle 71, 1977, pp. 17-26; W.C. Wijntjes, The Water Supply of the Medieval Town, in De middeleeuwse stad en de kwaliteit van het bestaan [La città medievale e la sua qualità di vita], "Symposium, Rotterdam 1979", a cura di J.G.N. Renaud (Rotterdam Papers, 4), Rotterdam 1982, p. 189ss.; R. Guild, J. Guyon, L. Rivet, Les origines du baptistère de la cathédrale Saint-Sauveur. Etude de topographie aixoise, Revue archéologique de Narbonnaise 16, 1983, pp. 171-209; K. Grewe, Planung und Trassierung römischer Wasserleitungen (Schriftenreihe der Frontinus-Gesellschaft, Supplementband, 1), Wiesbaden 1985; id., Zur Wasserversorgung und Abwasserentsorgung in der Stadt um 1200, ZArchM. Beiheft 4, 1986; M. Piendl, St. Emmeram in Regensburg. Die Baugeschichte seiner Klostergebäude (Thurn und Taxis-Studien, 15), Kallmünz 1986; J.F. Reynaud, Lyon aux premiers temps chrétiens (Guides archéologiques de la France, 10), Paris 1986, pp. 99-105; H. Schwarzwälder, Das Wasserrad an der Weserbrücke. 1393 bis 1822. Ein teures ''Wunderwerk'', in Wasser. Zur Geschichte der Trinkwasserversorgung in Bremen, a cura di R. Pohl-Weber, Bremen 1988, pp. 15-49; W. Seidenspinner, Das Maulbronner Wassersystem. Relikte zisterziensischer Agrarwirtschaft und Wasserbautechnik im heutigen Landschaftsbild, Denkmalpflege in Baden-Württemberg 18, 1989, pp. 181-191; K. Grewe, Wasserversorgung und- entsorgung im Mittelalter. Ein technikgeschichtlicher Überblick, in Die Wasserversorgung im Mittelalter, Mainz a. R. 1991, pp. 9-86; M. Righetti Tosti-Croce, Architettura per il lavoro. Dal caso cistercense a un caso cistercense: Chiaravalle di Fiastra, Roma 1993; G. De Tommasi, Castel del Monte: i restauri e l'immagine, in Federico II, immagine e potere, a cura di M.S. Calò Mariani, R. Cassano, cat. (Bari 1995), Venezia 1995, pp. 313-317.K. Grewe
Non è possibile affermare, a rigore, che esista un'i. propriamente islamica, in quanto le specifiche condizioni di aridità e di semiaridità dei paesi della vasta area che va dall'Asia al Maghreb avevano già indotto i contesti preislamici a concepire e a sviluppare in campo idraulico metodi di captazione, di immagazzinamento e di distribuzione dell'acqua tali da consentire le attività agricole. Da questo punto di vista, l'espansione islamica a partire dal 56 a.E./640 non implicò nell'immediato alcuna innovazione nel sistema agrario.Tale sistema si basava su fattori tecnici - opere di presa, di accumulazione e di ripartizione dell'acqua, scelta degli utensili da lavoro - e sull'adeguata conoscenza delle colture agricole appropriate. Benché gli elementi di un sistema agrario siano inscindibili gli uni dagli altri, si è soliti assegnare un ruolo prioritario ai fattori tecnici e alla loro struttura e morfologia, riducendo così il complesso della tradizione contadina a mero fatto tecnologico; inoltre, la diffusione delle tecniche agricole e il ruolo dell'apprendistato non possono essere considerati separatamente, ma vanno trattati come un sistema complesso e articolato.L'esistenza nell'agricoltura locale di un'i. rurale anteriore al processo di islamizzazione e di articolazione politica appare rilevante già nel caso delle comunità dell'Arabia, come hanno dimostrato studi sull'acqua e sugli stanziamenti tribali nell'Oman (Wilkinson, 1977), sull'i. tradizionale e sull'agricoltura della medesima regione (Costa, 1982-1983); sono note le diverse forme di captazione e di concentrazione di acqua nell'antica Arabia del Sud (Pirenne, 1977).In Egitto, dove il sistema agrario era regolato dal Nilo, le amministrazioni omayyade e abbaside si attennero fedelmente alla precedente pratica bizantina, che, a sua volta, era basata su un più antico sistema di approvvigionamento idrico elaborato dagli stessi agricoltori (Morimoto, 1981). In Siria alcuni sistemi idraulici risalivano all'età del Bronzo (Monchambert, 1990) e, a volte, lo Stato gestiva e manteneva gli impianti idraulici, come nella regione della città di Mari (od. Tell Ḥarīrī) sull'Eufrate (Buccellati, 1990; Margueron, 1990). Nell'antica Palestina sono stati identificati e descritti (Ron, 1989) i metodi utilizzati per la captazione dell'acqua, distinguendo tra gallerie filtranti, di antichissima tradizione locale, e qanāt; l'impianto di Avrona, per es., è forse databile, in base ai ritrovamenti ceramici, al periodo della dominazione achemenide della Palestina, compreso tra il 537 e il 332 a.C., sebbene la presenza anche di ceramica omayyade induca a ipotizzare che la tecnologia del qanāt potesse esservi stata introdotta piuttosto durante la prima espansione arabo-islamica; la questione rimane di fatto irrisolta (Ron, 1989). Le antichissime cognizioni di i. agricola vennero peraltro in parte già codificate da Ibn Waḥšiyyah, nel sec. 10°, nel Kitāb al-filāḥa al-Nabaṭiyya (Libro dell'agricoltura nabatea).Sono note l'antichità e la complessità dei sistemi idraulici iranici, basati per la maggior parte sui qanāt - denominati anche karīz e khaṭṭāra (Qanat, Kariz and Khattara, 1989, pp. 5-176). Il qanāt è una tecnica che consiste nel drenare, utilizzando la forza di gravità, le acque freatiche mediante la costruzione di una galleria. Che esso possa derivare da sistemi impiegati nelle miniere (Wilkinson, 1977; Goblot, 1979) è un'ipotesi non confermata e, in ogni caso, rilevante solo per identificarne l'origine, poiché sarebbe un errore ritenere che coloro che costruivano qanāt dovessero avere esperienza nella tecnica mineraria: in realtà, nella loro prima fase di diffusione, questi erano realizzati dalle stesse comunità agricole che li utilizzavano, come dimostra l'adozione di questo tipo di impianto nel Maghreb, oltre che nell'Andalus. Le origini del qanāt vengono concordemente riconosciute nelle aree minerarie del Nord dell'Elburz e dell'Armenia nella seconda metà del secondo millennio a.C. e la sua prima grande espansione deve essere probabilmente associata agli Achemenidi, fortemente impegnati nella colonizzazione di nuove terre (Goblot, 1979), anche se non risulta chiaro il livello di intervento da parte dei rappresentanti dello Stato nell'incentivare questa tecnica nell'agricoltura; di fatto però, che esistesse un unico centro di diffusione (Goblot, 1979) non è pensabile (Planhol, 1992). La questione delle tappe e del percorso della diffusione del qanāt è stata formulata e chiarita molto meglio per tutta la vasta zona del Mashriq che non per quella del Maghreb (Planhol, 1992), benché non sia ancora possibile stabilire itinerari né cronologie sufficientemente precisi, in quanto le mappe proposte (Humlum, 1965; Goblot, 1979) sono pure approssimazioni speculative non sempre attendibili (come nel caso di Kobori, 1968).Una questione di eccezionale rilevanza è quella del trasferimento in area sahariano-magrebina della tecnica del qanāt e degli elementi a essa connessi, come per es. la progettazione dello spazio idraulico, i canali di irrigazione, i mulini, la vegetazione (Planhol, 1992). Nel passaggio di cognizioni tecniche e agrarie al Maghreb svolsero un ruolo determinante sia la complessità dei processi di islamizzazione sia la trasmissione di conoscenze provenienti dal Mashriq, che andarono integrandosi con le culture agricole locali precedenti all'islamizzazione, ancora poco studiate dal punto di vista storico. L'esistenza di una i. locale, anteriore all'epoca romana è attestata con sicurezza (Shaw, 1982; 1984). La grande estensione dell'area sahariano-magrebina e la varietà delle comunità che l'abitavano obbligano a postulare una molteplicità di forme di sussistenza idrica, sia per i terreni irrigui sia per le zone prive di acqua, che nel Sahara coesistevano e si articolavano in vari modi (McDougall, 1983; 1985). Questo tipo di analisi ripropone sempre la questione di quali fossero gli agenti della diffusione di determinate soluzioni tecniche: lo Stato oppure le comunità contadine. Una dicotomia in tal senso, formulata in modo rigido, risulta concettualmente sterile, poiché, in ultima analisi, era la cultura tradizionale contadina, articolata in sistema, che determinava di fatto l'organizzazione del lavoro agricolo. Accadeva tuttavia che un potere politico potesse, esigendo una rendita o un tributo, indurre o costringere le comunità agricole non solo a selezionare determinate colture che non sarebbero state altrimenti prescelte, ma anche a disciplinare e a intensificare i processi di lavoro ben al di là delle stime di produzione che gli agricoltori autonomamente avrebbero fatto.La prima menzione di un qanāt nell'Andalus risale al 136 a.E./753 (Barceló, 1983). Commissionato dal notabile yemenita 'Āmir, molto attivo negli affari politici di Córdova, tale impianto era stato realizzato per edificare una città fortificata in grado di resistere agli attacchi di Yūsuf al-Fihrī. Costretti tuttavia a rifugiarsi a Saragozza, gli yemeniti di 'Āmir - in questo caso specifico il clan dei Banū 'Abd al-Dār - si insediarono in in un'area chiamata Corbalán, nelle montagne di Teruel (Aragona), una regione dotata di numerosi pozzi artesiani, dove tornarono alla loro pratica contadina, come attesta la documentazione dei secc. 11°-13°, per es. a Sant Carles de la Ràpita, presso Tortosa (prov. Tarragona), una zona anch'essa ricca di pozzi artesiani, e nell'isola di Maiorca, nelle Baleari. Dalla prospettiva di questa analisi risulta impossibile distinguere con chiarezza l'identità sociale dei Banū 'Abd al-Dār: essi sapevano evidentemente costruire qanāt, in base a cognizioni certamente legate alla cultura tecnica del Mashriq e tramandate grazie alla loro tradizione contadina. Ridurre tuttavia (Planhol, 1992) tutto il processo di trasmissione della cultura agricola del Mashriq alla sola tecnica del qanāt significa estrapolare un unico elemento, isolandolo da un complesso di conoscenze all'interno del quale tale sistema idraulico - o qualsiasi metodo di captazione dell'acqua - rappresentava il risultato di scelte comprensibili solo se osservate dal punto di vista dello sviluppo storico. La limitatezza e la scarsa qualità delle informazioni disponibili inducono del resto a circoscrivere un'area specifica, quella detta punica, in Tunisia, che avrebbe costituito la zona di passaggio per la trasmissione di cognizioni tecniche originarie del Mashriq, in un momento cronologicamente anteriore all'età romana, e che la successiva islamizzazione avrebbe solamente rivitalizzato (Planhol, 1992); soltanto l'archeologia idraulica potrebbe tuttavia formulare il problema in termini più precisi e non ipotetici.La diffusione nel Maghreb di determinati generi di piante provenienti dal Mashriq, veicolata dall'Islam, risulta significativa (Watson, 1983) e chiaramente espressa anche solo dalla semplice enumerazione delle colture principali: sorgo, riso asiatico, grano duro, canna da zucchero, cotone, agrumi (arancia, limone, lumia, pompelmo), palma da cocco, banana, cocomero, spinacio, carciofo, colocasia esculenta, melanzana e mango, alle quali va aggiunto il potenziamento di colture già esistenti, come il fico, il cappero, la melagrana. La grande maggioranza di queste piante era originaria dell'Asia Centrale (Watson, 1983) e nel Mashriq era stata sottoposta a complessi procedimenti di acclimatazione, strumento dei quali fu appunto l'acqua, fattore essenziale, che passa peraltro frequentemente inosservato agli storici della tecnica: l'acquisizione delle tecniche idrauliche appare infatti elemento sostanziale per assicurare la possibilità di impiantare localmente colture non locali. Le fonti scritte documentano l'esistenza di orti botanici statali destinati all'acclimatazione di rare varietà di piante, come quello - il primo di cui si abbia notizia nell'Andalus - dell'epoca di 'Abd al-Raḥmān b. Mu'āwiya (139-172 a.E./756-788), nel quale si sperimentava la coltivazione di una varietà di melagrana detta imllīsī ('pelle liscia') che prende anche il nome di safarī da Safr, il mastro giardiniere, e che ben presto i contadini adottarono come coltura, favorendone la diffusione (Samsó, 1981-1982). Si trattava evidentemente di un intervento statale che incrementava una coltivazione già esistente, nota sia agli immigrati arabi e berberi sia agli agricoltori locali. L'antichità delle testimonianze relative al qanāt di 'Āmir e all'orto botanico di Safr rivela indubbiamente che i principi della nuova agricoltura, importata dai contadini immigrati a seguito della conquista islamica, vennero adottati sin dall'inizio.Gli impianti idraulici - e il qanāt in particolare, poiché a flusso continuo - per funzionare necessitavano di un sistema di regolamentazione specifica, non necessariamente scritta, in grado di assicurare l'equità nella distribuzione dell'acqua tra le componenti sociali, in base a una correlazione adeguata tra la quantità d'acqua assegnata e l'estensione degli appezzamenti, il tipo di colture, il fabbisogno e la stagionalità dell'irrigazione. Questa esigenza di equità comportava inoltre la considerazione dei differenti livelli di impegno di clan o gruppi contadini nella costruzione dell'impianto idraulico. Tale complessa assegnazione si attuava attraverso turni e avvicendamenti; la quantità d'acqua spettante alle parti veniva ripartita secondo una frazione volumetrica o temporale, entrambe compatibili; turni e avvicendamenti generavano complesse unità locali di distribuzione, insieme a un lessico molto vario e spesso di difficile comprensione, come per es. nell'Andalus (Glick, 1970).Le ricerche sul territorio svolte nell'estremo Maghreb, corrispondente al Marocco (La question hydraulique, 1984), hanno indagato la grande tradizione di impianti idrici definita di piccola e media i., creando un corpus che costituisce per le ricerche di carattere storico un punto di riferimento indispensabile. La minuziosa descrizione dell'i. tradizionale, svolta nell'ambito di queste indagini, è priva tuttavia di un inquadramento nella dimensione storica, carenza cui supplisce in parte lo studio sui Seksawa dell'Alto Atlante (Berque, 1955; 1978), mentre sono in corso ricerche sull'i. rurale tradizionale di origine medievale nell'Andalusia e in Marocco.Nell'Andalus è stato possibile osservare (Barceló, 1983; 1986; 1989; Barceló, Kirchner, Navarro, 1995; Buscastell, 1995; The Design of Hydraulic Systems in al-Andalus, 1995) in primo luogo che, una volta trovate le risorse idriche, gli impianti idraulici non venivano mai realizzati attraverso l'accumulo di addizioni successive disordinate e improvvisate. Lo studio delle grandi huertas (terreni molto fertili coltivati a orto) poste nelle regioni del Levante della penisola iberica, che in apparenza sembrerebbero sorte secondo un processo incontrollato, potrebbe forse rivelare una stratigrafia la cui logica appare comprensibile solo a partire da un livello originario, condizionante poi i successivi ampliamenti. L'identificazione e la conoscenza di tale disegno consentono di distinguere le aggiunte posteriori, comunque sempre molto limitate, in maniera tale che il nucleo iniziale, così isolato, costituisce un documento archeologico estremamente significativo: esso contiene notizie non solo sulle modalità di formazione degli impianti di approvvigionamento idrico e sulle loro caratteristiche, ma anche sulle stime che le comunità contadine che costruivano tali strutture facevano del proprio orizzonte di sussistenza.L'analisi statisticamente significativa degli impianti idraulici all'interno di una determinata regione potrebbe fornire informazioni circa la consistenza demografica delle comunità che avevano originariamente costruito l'impianto e anche, di conseguenza, sulla possibilità che tali aree fossero o meno destinate alle coltivazioni.L'indagine sulla trasmissione di tecnologie collegate all'islamizzazione ha di fatto condotto allo studio delle tradizioni agricole delle nuove comunità musulmane nella zona del Maghreb. L'archeologia idraulica si presenta, riguardo a questo campo, come poderoso strumento di conoscenza che assume carattere di teoria e di metodo nello stesso tempo (Kirchner, Navarro, 1993).
Bibl.:
Fonti. - Ibn Waḥšiyyah, Kitāb al-filāḥa al-Nabaṭiyya, a cura di F. Sezgin, Frankfurt a. M. 1984 (trad. franc., a cura di T. Fahd, Damasco 1993).
Letteratura critica. - J. Berque, Structures sociales du Haut-Atlas, Paris 1955; T. Humlum, Undejordiske Vandingskarander: kareze, qanat, foggar [Canali sotterranei: kareze, qanat, foggar], Kulturgeographie 16, 1965, 90, pp. 81-132; I. Kobori, Some Notes on Diffusion of qanat, Orient. The Report of the Society for Near Eastern Studies in Japan 9, 1968, pp. 43-66; T.F. Glick, Irrigation and Society in Medieval Valencia, Cambridge (MA) 1970; J. Pirenne, La maîtrise de l'eau en Arabie du Sud antique. Six types de monuments techniques, Paris 1977; J.C. Wilkinson, Water and Tribal Settlement in South-East Arabia. A Study of the Aflaj of Oman, Oxford 1977; J. Berque, Perspectives théoriques, in J. Berque, P. Pascon, Retour aux Seksawa, Paris 1978, pp. 475-498; H. Goblot, Les qanats. Une technique d'acquisition de l'eau, Paris 1979; K. Morimoto, The Fiscal Administration of Egypt in the Early Islamic Period, Dohosha 1981; J. Samsó, Ibn Hišām al-Lajmī y el primer jardín botánico en al-Andalus, Revista del Instituto egipcio de estudios islámicos en Madrid 21, 1981-1982, pp. 135-141; B.D. Shaw, Lamasba. An Ancient Irrigation Community, Antiquités africaines 18, 1982, pp. 61-103; P.M. Costa, Notes on Traditional Hydraulics and Agriculture in Oman, World Archaeology 14, 1982-1983, pp. 273-295; M. Barceló, Qanāt(s) a al-Andalus, Documents d'anàlisi geogràfica 2, 1983, pp. 3-22; E.A. McDougall, The Sahara Reconsidered: Pastoralism, Politics and Salt, African Economic History 12, 1983, pp. 265-288; A.M. Watson, Agricultural Innovation in the Early Islamic World. The Diffusion of Crops and Farming Techniques, 700-1100, Cambridge 1983; F. Bray, Agriculture, in Science and Civilisation in China, VI, 2, Cambridge 1984 (19862); La question hydraulique, I, Petite et moyenne hydraulique au Maroc, Rabat 1984; P.P. Shaw, Water and Society in the Ancient Maghrib. Technology, Property and Development, Antiquités africaines 20, 1984, pp. 121-173; E.A. McDougall, The View from Awdaghust: War, Trade and Social Change in the Southwestern Sahara, from the Eighth to the Fifteenth Century, Journal of African History 26, 1985, pp. 1-31; M. Barceló, La qüestió de l'hidraulisme andalusí, in Les aigües cercades (Els qanāt(s)) de l'illa de Mallorca, Palma de Mallorca 1986, pp. 9-36; id., El diseño de espacios irrigados en al-Andalus: un enunciado de principios generales, in El agua en las zonas áridas: arqueología e historia, "Primer Coloquio de historia y medio físico, Almeria 1989", Almeria 1989, I, pp. XV-XLVI; Qanat, Kariz and Khattara, a cura di P. Beaumont, M. Bonine, K. McLachlan, Cambridgeshire 1989; Z.Y.D. Ron, Qanats and Spring Flow Tunnels in the Holy Land, ivi, pp. 211-236; J.Y. Monchambert, Réflexions à propos de la datation des canaux: le cas de la basse vallée de l'Euphrate syrien, in Techniques et pratiques hydro-agricoles traditionnelles en domaine irrigué, Paris 1990, I, pp. 87-100; G. Buccellati, The Rural Landscape of the Ancient Zor: the Terga Evidence, ivi, pp. 155-170; J. Margueron, L'aménagement de la région de Mari: quelques considérations historiques, ivi, pp. 171-192; X. de Planhol, Les galeries drainantes souterraines: quelques problèmes généraux, in Les eaux cachées. Etudes géographiques sur les galeries drainantes, a cura di P. Balland, Paris 1992, pp. 129-142; H. Kirchner, C. Navarro, Objetivos, métodos y práctica de la arqueología hidráulica, ArchMed 20, 1993, pp. 121-150; M. Barceló, H. Kirchner, C. Navarro, El agua que no duerme. Fundamentos de la arqueología hidráulica andalusí, Granada 1995; Buscastell: un sistema hidráulico andalusí en Ibiza: lo viejo y lo nuevo, "I Congresso de arqueologia peninsular. Trabalhos de antropologia e etnologia, Porto 1993", Porto 1995, V, pp. 457-466; The Design of Hydraulic Systems in al-Andalus. The Case of Guājar Faragüit (Los Guájares, Granada, Spain) and Castellitx, Aubenya and Biniatró (Balearic Islands) VII H. / XIII Century A.D., Barcelona 1995; H. Kirchner, La construcció de l'espai pagès: les valls de Bunyola, Orient, Coanegra i Alaró a Mayūrqa (in corso di stampa).M. Barceló