Vedi CERETANE, Idrie dell'anno: 1959 - 1994
CERETANE, Idrie
Gruppo di ceramiche della seconda metà del VI sec. a. C., ben definibili nello stile, appartenente alla cerchia ionica, costituito da esemplari intimamente collegati fra loro per il sistema decorativo, per la forma e per uno stile così caratteristico che da solo è valso a definire la serie rispetto ad ogni altra classe di vasi arcaici, anche se appartenenti alla stessa ceramica ionica. Sono, fino ad oggi, trenta hydrìai, quasi tutte rinvenute negli scavi della necropoli di Caere, donde il loro nome di ceretane; da Vulci provengono la hydrìa del British Museum 87.7-25.30 e quella del Vaticano con Alcioneo, mentre gravi dubbi esistono per un frammento che si dice proveniente da Naukratis, conservato al Louvre. La tecnica ed i molteplici tratti comuni alla serie hanno inoltre fatto considerare questi vasi come prodotto di una sola ed unica officina. Ciascuna di queste hydrìai presenta infatti corpo depresso, collo piuttosto largo rastremato nel mezzo, orlo rovesciato. Le spalle sono divise dal collo da un cercine, le anse laterali sono tese diagonalmente verso l'alto, il manico verticale, nastriforme, non è sopraelevato, ma piegato quasi ad angolo retto e con gli orli leggermente rilevati a cordoncino. La forma sembra denvare da un prototipo metallico. Il colore dell'argilla, anch'esso comune a tutta la serie, è giallo alquanto scuro, tendente al roseo, mentre la superficie esterna presenta un tono aranciato e generalmente uniforme. Quanto alla decorazione, l'interno del collo e l'esterno del manico verticale con le anse laterali sono verniciati in nero. La bocca è internamente decorata con un köma di foglie paonazze contornate in nero mentre esternamente l'orlo è adorno di un meandro più o meno semplice. Sul collo si hanno talvolta motivi di croce a svastica più o meno complessi, talaltra motivi con fiori di loto stilizzati e contrapposti, collegati da stelle. Salvo qualche rara eccezione (la hydrìa di Busiride a Vienna con un ramo di mirto e la hydrìa di Tityos del Louvre con scena di cordax) la spalla, divisa dal corpo mediante l'impiego di una striscia a vernice nera, è quasi sempre decorata da una ghirlanda di edera ininterrotta, da cui si dipartono lateralmente le foglie che si alternano con i corimbi, ovvero da fiori stilizzati come le rosette paleocorinzie. Il lato posteriore è diviso in due parti dal manico verticale e spesso, sotto la palinetta, sono disegnati una lepre, un cervo o un altro animale. La parte che circonda l'attacco di ogni ansa è decorata da una serie di foglioline a petalo, talvolta policrome (vernice nera con ritocchi in bianco e paonazzo), simili alle baccellature del collo e del piede. Il corpo è diviso in zone da due strisce orizzontali: nella parte superiore trova posto la scena figurata che può essere costituita da due soggetti o da uno solo; in quella mediana (eccezion fatta per quella di Busiride a Vienna che presenta un fregio con la caccia al cinghiale), al di sotto delle figure, è invece dipinta o la solita ghirlanda di edera o il fregio di palmette nere e paonazze alternate da grandi fiori di loto che sorgono dalle volute contigue con bianco il calice, paonazzo il germoglio, bianchi o paonazzi i petali minori; nella parte inferiore appare, infine, la raggiera a vernice nera.
Oltre al sistema decorativo vero e proprio, elementi paesistici e motivi particolari delle stesse scene, quali episodi di caccia, mostri alati (sfingi, grifi e cavalli alati), scimmiette, cani correnti sotto i cavalli, ecc., testimoniano la provenienza esotica di questi vasi e la grande abilità del pittore nello sfruttare lo spazio. Le scene narrative inoltre confermano il carattere ionico di tutta la serie. Lo stile è personalissimo e di grande vivacità, con figurazioni mitiche varie, e manifesta un gusto decorativo la cui sobrietà è tale da non sommergere il contenuto narrativo delle scene. L'esame di tutti gli esemplari ci permette anche di concludere che questo gruppo è il prodotto del genio individuale di un artista ionico che, ad un dato momento, ispirato dagli esemplari ceramici attici, volle dipingere scene narrative, attenuando intenzionalmente gli effetti della già vivacissima policromia, senza rinunziare del tutto a quel gusto decorativo che della ceramica ionica, in ogni ambiente, ha costituito il principale pregio. A parte gli esemplari aventi scene di caccia, tiasi bacchici con sileni dallo zoccolo equino e combattimenti fra opliti, su due hydrìai abbiamo due scene di contenuto omerico: sono quella frammentaria del Louvre con l'episodio di Hodios, particolarmente notevole per le iscrizioni in alfabeto ionico epigraficamente databili intorno al 530 a. C., e quella del Museo di Villa Giulia a Roma con l'episodio più noto e popolare di Polifemo che si trova anche in vasi più antichi di diverso ambiente.
Particolarmente felici sono le hydrìai (a Parigi, Louvre ed a Roma, Villa Giulia) con Europa sul toro, anche per alcune convenzioni, comuni all'arte arcaica, nell'indicazione del mare per mezzo di delfini e nella rappresentazione dell'isola di Creta con una lepre ed alcuni alberelli. Una vivacità irriverente e burlesca è invece nella hydrìa del Louvre, con il furto delle mandrie di Apollo ad opera di Hermes. Questi, dio dei ladri, ancora in fasce, ha già seguito il suo istinto nascondendo i buoi in una grotta, indicata da una linea curva con arbusti e leprotti, per poi rientrare quatto quatto nella sua culla, ove, immobile, finge di dormire proprio mentre Apollo reclama animatamente la proprietà rubata, accusando il precoce ladro tanto di fronte alla madre (Maia) quanto ad un personaggio barbato (Zeus?) che difendono l'innocenza del bambino. Questa scena, localizzata da una linea curva a sinistra di Apollo, indica che ci troviamo nella grotta del monte Cillenio, in cui nacque Hermes. Nella serie troviamo inoltre altri soggetti mitologici: in due esemplari, rispettivamente a Roma (Museo dei Conservatori) ed a Vienna (Vienna 218), appare il gioioso ritorno di Efesto in Olimpo; nella E 696 è l'episodio di Atalanta alla caccia del cinghiale calidonio; in un'altra a Londra (British Museum 1923) la fuga del giovane Arimaspe ed infine in una delle più belle hydrìai della serie è dipinta, con vivo senso umoristico, la punizione di Tityos (Parigi, Louvre). Sono rappresentazioni cui il pittore ha inteso dare sapore burlesco mediante quella esagerazione dei gesti che troviamo in varie hydrìai, ora più ora meno vivace. Spesso il pittore delle hydrìai pone una seconda scena là ove generalmente si è soliti trovare semplici motivi decorativi giustificati dal fatto che la palmetta a sette petali con cui termina il manico verticale interrompe, in un certo senso, l'unità spaziale della scena. Contrapposto all'episodio di Polifemo è, ad esempio, quello di Eracle, Deianira e Nesso, motivo prediletto e che troviamo pertanto su tre hydrìai di cui due a Villa Giulia ed una al Louvre. Del resto, dieci delle trenta hydriai fino ad oggi note sono decorate con imprese di Eracle. Fra queste è l'hydrìa di Busiride a Vienna, che è forse da ritenere il capolavoro della serie per l'alto senso umoristico che la pervade, per la sua eccezionale ricchezza decorativa, per la felice localizzazione in Egitto della leggenda, nata nell'ambiente dei Greci d'Asia Minore. Per questa hydrìa è stato notato che soltanto un'osservazione diretta della realtà può spiegare la fedeltà con cui sono ritratti i Negri e gli Egiziani e, d'altra parte, nell'Eracle tozzo e muscoloso - così vicino agli dèi del fregio dei Sifni a Delfi - è esaltata la stirpe greca in contrasto con quella che, nella settaria tradizione nazionalistica ellenica, era considerata la vile gentaglia egiziana.
Nell'esemplare del Museo Gregoriano al Vaticano Eracle appare in lotta contro Alcioneo: è questo un esemplare del più grande interesse, sia perché è stata sottolineata la somiglianza della figura di Hermes con la statua dell'Hermes di Veio, sia perché vi appaiono elementi ornamentali che si trovano soltanto nella produzione ceramografa etrusca. Su due hydrìai, rispettivamente a Villa Giulia (Castellani) ed al Louvre (Campana), l'eroe ha catturato Cerbero mentre Euristeo atterrito si è rifugiato nel pìthos in cui Eracle si accinge a sistemare il mostro. Altre imprese di Eracle appaiono su un frammento del Louvre (leone nemeo), su alcuni frammenti di Lipsia (Eracle e Achebo) e su una hydrìa emigrata all'estero, presso un anonimo amatore, avente un soggetto alquanto raro quale la lotta di Eracle, coadiuvato da Iolaos, contro l'idra di Lerna.
La varietà e la vastità del repertorio mitologico dell'officina, appare del resto confermata anche da altri esemplari come quello di Villa Giulia con la scena dei Sileni vendemmianti che occupa tutta la circonferenza del vaso; le scene di Eos e Cefalo sull'hydrìa parigina con il ratto dei buoi di Apollo, già ricordata (E 702); la centauromachia dell'hydrìa E 700 del Louvre, ecc. Assai personale ed originale è il modo con cui è rappresentato il mito, specialmente se le scene mitologiche si confrontano con le versioni attiche. Forse i pittori ionici rappresentano il mito come il popolo lo raccontava o come essi stessi immaginavano l'avvenimento.
L'impiego di elementi tradizionali e paesistici adoperati secondo il loro esatto valore, costituiscono la spontaneità di espressione e l'originalità di un artista che, con pochi particolari, ha saputo localizzare e dar vita a scene ricche di contenuto mitologico e ci autorizzano a buon diritto a parlare di un Maestro delle hydrìai di Caere. Ed anche gli animali adoperati (ma sembra solo apparentemente) a scopo decorativo, quali i pegasi, le sfingi, i tori alati, le aquile che assaltano ora un capriolo ora una lepre, ecc., depongono per la formazione dell'artista a contatto con il favoloso e colto mondo ionico e mostrano, per il loro stesso disegno, quanto vivamente il pittore sentisse questo genere di rappresentazioni.
Certo, più che alla conoscenza dei testi, come è stato affermato allorché è stato scritto (Plaoutine) che le fonti letterarie hanno direttamente ispirato il pittore, più che alla sua cultura diretta, è logico pensare ad una ispirazione mediata, cioè ad un insieme di appunti grafici derivati da altri monumenti, poi assimilati e rielaborati, ad una serie di schizzi e di soggetti liberamente scelti e graficamente e pittoricamente interpretati, secondo un giusto particolare. Il pittore, costituito un suo repertorio di elementi decorativi, ad essi è rimasto quasi sempre fedele nel variare delle scene narrative.
L'indagine dello stato d'animo, della cultura, della erudizione mitologica di un decoratore di vasi pone il più difficile problema dei rapporti fra letteratura e monumenti della grande arte quali pitture megalografiche, rilievi, ex voto, poiché è oltremodo evidente che le arti minori derivavano schemi compositivi e soggetti dalla grande arte, le cui opere si trovavano nei santuari, centri panellenici in cui convergevano tendenze artistiche diverse. Nelle nostre hydrìai, infatti, sono stati notati influssi diversi che soltanto l'ispirazione ad altre opere figurate potrebbe spiegare. Ricordiamo, ad esempio, il variare, che non è soltanto dell'acconciatura, ma anche delle proporzioni e del disegno, di un medesimo personaggio quale Eracle, rappresentato ora con corazza e dava (impresa dell'idra), ora nudo con arco e clava (Alcioneo), ora con clava, arco e breve tunica nell'esemplare di Nesso a Parigi, nell'hydrìa frammentaria di Roma; con leontè ed arco nelle due di Cerbero (Villa Giulia e Louvre), ancora con léontè ed arco alla fine dell'attività della officina e cioè nell'hydrìa di Polifemo, ove il tipo di Eracle rivela un'ulteriore evoluzione rispetto a quello delle hydrìai di Cerbero. Le vaporose pieghe dei vestiti che si congiungono verso una caratteristica cintura, avente una fibbia rettangolare, sono disegnate con grande abilità. Il chitone femminile è normalmente più lungo di quello maschile. Fra le acconciature è assai raro il krobìlos. Corpulenti sono i cavalli delle hydrìai di Caere la cui criniera, accuratamente incisa, ricade pesantemente sul dorso mentre la coda è resa con incisioni ondulate.
Si è oggi concordi nell'ammettere che la fabbrica delle hydrìai abbia lavorato per alcuni decennî a partire dalla metà del VI sec. a. C. (550-510 a. C.) e che durante questo periodo abbia subito, non un affievolimento, ma una evoluzione determinata e dall'ambiente e, soprattutto, da ragioni commerciali. Ad un dato momento infatti, precisamente negli ultimi esemplari della produzione, si può cogliere l'evidente desiderio del pittore di uniformarsi alla crescente moda dei prodotti attici, che avevano conquistato il mercato etrusco con autentici capolavori di tecnica e di disegno.
Questa evoluzione, che si nota chiaramente negli esemplari attribuiti alla mano stessa del maestro, esiste ed è possibile seguire e collegare anche allo sviluppo di alcuni schemi disegnativi: essa appare timidamente e si sviluppa gradualmente fino a trionfare in alcuni esemplari quali ad esempio, l'hydrìa di Polifemo e di Nesso e quella dei Sileni vendemmianti, nei quali il ritocco in altri colori può dirsi quasi del tutto abbandonato. Tuttavia l'individualità stilistica della serie è così evidente da escludere la presenza anche di un solo individuo avente origine e formazione diversa del Maestro.
L'attento esame di tutti i vasi ci autorizza ad affermare come nell'officina delle hydrìai abbiano lavorato almeno due discepoli del tutto ligi all'arte del Maestro, in quanto unico risulta l'indirizzo dovuto al pittore che ha saputo creare capolavori, dare alla serie un ben definito carattere, imporre il suo stile a qualche allievo meno dotato, ma certo pronto a ricevere l'insegnamento, anche se tecnicamente e stilisticamente meno felice.
Sono di tipo ionico, oltre agli elementi decorativi, ai vestiti ed al gusto per la policromia, i centauri, i Sileni e le figure umane le cui caratteristiche somatiche risultano talvolta solo apparentemente diverse fra loro, poiché dalle figure slanciate, magre, angolose di alcuni esemplari (ad esempio, hydria del Louvre con il ratto dei buoi ed hydrìa di Hodios, anch'essa al Louvre) ed alla minore minuzia anatomica di altri (Villa Giulia, hydrìa di Polifemo e Villa Giulia, hydrìa dei Sileni), possiamo contrapporre l'hydrìa di Tityos (Louvre), che rivela un certo gusto per le forme pesanti non ignote all'arte ionica di determinati ambienti.
Sono tuttavia comuni a tutti gli esemplari i caratteristici tratti della testa con grandi occhi a mandorla, le notazioni anatomiche ed il rendimento dei profili delle figure con gambe dai polpacci marcati, ed i vestiti resi mediante l'impiego di incisioni. L'esame delle pieghe dei vestiti tipicamente ionici, il modo con cui sono indicati, a mezzo di sottili incisioni, i capelli, i crini dei cavalli, i muscoli degli animali, ecc., l'indirizzo artistico comune ai vasi di Cuma eolica, di Dafne e di Naukratis, l'affinità con i monumenti di Clazomene, con i fregi fittili dell'eolica Larissa, con il fregio marmoreo del Tesoro dei Sifni (databile al 525), con la columna caelata dell'Artemision di Efeso di Creso, con il rilievo di Talthybios (Louvre), ecc., sono validi per la datazione e mostrano che la fabbrica è stata appunto attiva durante un periodo relativamente breve. Allo stesso modo possiamo ammettere uno stile di koinè, formatosi sulla costa nord-ionica asiatica a contatto con stili diversi ed affini, che, trapiantato in Etruria, avrebbe mantenuto le sue fondamentali doti di originalità ed individualità, dovute alla direzione di un solo artista che ha avuto qualche aiutante: ipotesi valida a spiegare le deficienze e varianti di esecuzione di alcuni esemplari, come l'hydrìa del Museo dei Conservatori.
Circa l'affievolimento, nelle hydrìai, della vivacità cromatica, forse più che ad un'intima evoluzione, esso è fenomeno da riportare ad un'esperienza innovatrice con fine commerciale, ad una moda vera e propria, tuttavia lenta ad affermarsi per come può constatarsi in una medesima scena che troviamo ripetuta tre volte e perfino in una singola figura, quale ad esempio è quella di Deianira, avente policromia vivace nell'hydrìa parigina, minore e più attutita nell'hydrìa frammentaria di Villa Giulia ed infine una alquanto semplice silhouette nera nell'hydrìa di Polifemo.
Si è portati ad accogliere quindi l'ipotesi che fu già di insigni studiosi, fra i quali il Furtwängler e lo Pfuhl, di un "Maestro di Caere", probabilmente immigrato focese, che avrebbe lavorato nella fiorente città ellenizzata di Agylla-Caere. Questa ipotesi della fabbricazione locale più che della importazione, anche se al maestro si vuol concedere un solo collaboratore o discepolo, giustificherebbe le poche negligenze di esecuzione in una serie generalmente accurata e sembra che si debba ancora sostenere come la più probabile e vicina al vero anche per l'esistenza in Caere di tutto un quartiere ellenico e di un santuario di Hera in cui le opere venivano dedicate in lingua greca. Oltre ad essere un notevole centro artistico, la tirrenica Caere, durante il VI sec. ebbe relazioni con il mondo greco di Asia Minore e prese parte al culto di Apollo Delfico, dopo la battaglia di Alalia. Si tratta di elementi notevoli, tuttavia ancora una volta non decisivi quanto al problema della precisa origine del pittore. Una prova, del resto, che a questi elementi non si possa dare valore decisivo è data dal fatto che a Mileto aveva pensato il Pottier per le iscrizioni dell'hydrìa di Nestore, ad Efeso si è recentemente orientato il Devambez per la scena di cordax e per il culto di Artemide dell'hydrìa di Tityos, mentre a Naukratis e a Tell ed-Dafannah si era pensato di poter attribuire la serie in base alla precisa conoscenza del tipo egizio quale appare sull'hydrìa di Busiride.
In realtà, anche se più logica rimane l'ipotesi dell'origine focese del maestro delle hydrìai, con sicurezza è possibile soltanto affermare che il pittore era greco-ionico; che egli, o qualche suo collega, deve aver fatto scuola in Etruria, perché soltanto nella produzione ceramografa etrusca di quel tempo si trovano singolarità del medesimo stile e, fino a quando dagli scavi di località del Mediterraneo orientale non giunga la prova che quelle hydriai fossero fabbricate oltremare, è giusto pensare che il maestro sia venuto ad impiantare la sua officina in Italia e probabilmente nella città stessa che oggi dà il nome al gruppo dei suoi vasi.
Per le hydrìai di Caere si può quindi pensare ad un vasaio nord-ionico originario verosimilmente di quella zona e trasferitosi per una qualche ragione in Caere: comuni alle terrecotte di Larissa ed ai migliori esemplari di Caere sono l'originalità e la libertà dal convenzionalismo, nonché un vivo senso umoristico del tutto ignoto fuori della lonia. Pertanto, che le hydrìai siano state prodotte in Etruria o importate (il che non può escludersi in maniera categorica), esse debbono attribuirsi ad un artista avente una formazione culturale ed un gusto perfettamente ionici: un pittore rimasto costantemente fedele al suo mondo ed a se stesso, anche quando ha operato in Etruria, ove è venuto a lavorare o per ragioni commerciali o per spirito di avventura o anche per non sottostare all'avanzata persiana. Al suo mondo mitologico, peculiare dell'arte greca orientale, il pittore è rimasto fedele anche quando, a contatto con le più austere opere dei maestri attici, ha voluto temperare la vivace policromia delle sue scene avvicinandosi alla sobrietà della ceramica attica; ciò si nota negli esemplari tecnicamente più perfetti come forma, proporzioni, equilibrio dell'insieme: sono i vasi che rivelano una incisione piena di slancio e di vita, anche se volutamente poco accurata nei particolari (v. Tavola a colori).
Prima della conoscenza dell'hydrìa di Tityos (Louvre), veniva considerata capolavoro incontrastato della serie l'hydrìa di Busiride (Vienna) di cui era stato sottolineato il più genuino ionismo. Oggi, a parte la maggiore ricchezza decorativa e la vivace, brillante policromia che unisce i due esemplari, la hydrìa di Tityos appare come il più notevole capolavoro del maestro, soprattutto per l'humour che riesce a sprigionare dalla scena la figura urlante di Ghe: è una scena che presenta qualcosa che va oltre la gaiezza solita, un che di burlesco e caricaturale che confina con una leggera satira contro la grandezza divina ed eroica. Ed è forse da sottolineare che la presenza di una doppia scena figurata sugli esemplari che si contendono il primato (di Tityos e di Busiride) non deve essere casuale. Con queste due opere eccezionali per ricchezza compositiva e decorativa il pittore può avere mirato infatti a sfoggiare il meglio della sua arte e della sua cultura. Forse egli deve averle eseguite, così piene di vita e ricche per brillante policromia, subito dopo il suo arrivo in Occidente, mentre più tardi il suo repertorio non si rinnova sia per mancanza di contatti culturali, sia perché al gusto della clientela locale sfuggivano le sfumature dei legami col mito greco. Queste considerazioni spiegherebbero il ripetersi nella serie delle scene mitologiche più semplici quali il ratto di Europa, l'episodio di Eracle e Cerbero, quello di Eracle, Deianira e Nesso: scene mitologiche non in serie, ma sempre varie di episodi che potevano essere più accetti alla clientela.
Bibl.: Per la bibl. precedente al 1938 si consulti: C. V. A., France, 14, Louvre, 9-III Fa (Plaoutine). Posteriormente a tale data sono apparsai: N. Plaoutine, Le peintre des hydries dites de Caeré, in Revue Arch., XVIII, 1941, p. 12 ss.; id., La représentation de Thersite par le peintre des hydries de Caeré, in Rev. Ét. Gr., LV, 1942, p. 172 ss.; P. Devambez, Deux nouvelles hydries de Caeré au Louvre, in Mon. Piot, XLI, 1946, p. 31 ss.; id., Nouvel aspect d'un vase grec (Hydre de Caeré E-698), in Musées de France, aprile 1948, p. 61 ss.; M. Santangelo, Les nouvelles hydries de Caeré au Musée de la Villa Giulia, in Mon. Piot, XLIV, 1950, p. i ss.; V. Callipolitis, Les hydries de Caeré. Essai de classification, in Antiquité Classique, XXIV, 1955, p. 384 ss.; id., Une nouvelle hydrie de Caeré, in Mon. Piot, XLIX, 1955, p. 55 ss., (hydrìa con un efebo che tiene due cavalli ed un'aquila che assale una lepre, entrata recentemente nell'Otago Museum di Dunedin); J. H. Hemelrijk, De Caeretaanse Hydriae, Rotterdam 1956.