IFIGENIA ('Ιϕιγενέια)
Figliola di Agamennone e Clitennestra. Non appare nell'Iliade, la quale conosce tuttavia una Ifianassa; ma le Ciprie già narravano di I. sacrificata in Aulide ad Artemide, consenziente il padre, perché la spedizione dei Greci, trattenuta sino allora da venti contrarî, potesse salpare verso Troia. Eschilo e Sofocle trattarono questo mito, ciascuno in una sua Ifigenia; ma conservata ci è soltanto l'Ifigenia in Aulide di Euripide, opera postuma, mutila e integrata arbitrariamente. Ma già Eschilo nell'Agamennone approfondisce la leggenda: Agamennone pecca perché, per ambizione, consente alla morte della figlia: ché Artemide chiedeva la vita di questa non senz'altro, ma quale condizione perché Troia potesse esser presa. In Eschilo I. relutta alla morte, e chiede pietà ai sacrificatori. In Euripide essa, fatta venire con la madre in Aulide sotto colore di volerla sposare ad Achille (motivo che par già attestato per le Ciprie), ripugna sì a lungo, ma da ultimo accetta di morire per la causa panellenica.
La cagione dell'ira di Artemide contro Agamennone è diversa secondo i diversi autori: secondo Sofocle (El. 566) e forse già secondo le Ciprie, Agamennone, uccisa una cerva (sacra ad Artemide?), si vantò di essere migliore arciero della dea. Eschilo simboleggia la colpa del re in un prodigio di difficile interpretazione. Di fronte a queste versioni è forse originaria quella accennata da Euripide nell'Ifigenia Taurica (v. 80 segg.), conforme a un motivo novellistico diffuso in tutto il mondo: la violazione del voto di sacrificare agli dei la cosa più bella nata durante l'anno.
Il mito dell'uccisione d'I. è stato straordinariamente popolare: ancora Lucrezio in principio del suo poema cita I. quale esempio dei delitti ai quali può indurre la religione. Il sacrificio fu argomento di opere d'arte figurativa, tra le quali famosa una pittura di Timante (fine del sec. V a. C.); di essa abbiamo un'eco nella cosiddetta "ara di Cleomene" (in Firenze); altre rappresentazioni abbiamo in due celebri pitture pompeiane, in un avorio bizantino del sec. X-XI d. C. e in altre opere minori.
Un'altra leggenda, certamente attica, per la quale I. è figlia di Elena e di Teseo, fu già nell'antichità molto meno popolare. Già solo per ciò che riman fuori dei grandi cicli, essa ha ogni probabilità di essere più antica della leggenda vulgata.
Il mito delle Ciprie è stato continuato da un poeta posteriore: la coscienza religiosa mutata non può acquetarsi al pensiero della fanciulla uccisa per volere di una divinità, e inventa che Artemide, sostituita sull'ara una cerva a I., trasportasse questa sulle rive del Ponto, fra i Tauri, e la rendesse immortale: Erodoto (IV, 103) identifica la dea dei Tauri non già con Artemide ma con Ifigenia. Anzi una testimonianza parrebbe assicurare questa versione già per le Ciprie; ma ciò sembra per altri versi impossibile.
Euripide nell'Ifigenia Taurica inventa che Oreste, per liberarsi dalla follia che lo perseguita dopo il matricidio, è stato mandato dall'Apollo delfico fra i Tauri a rapire il simulacro di Artemide e trasportarlo nel santuario attico di Braurone; ch'egli, nel momento che, caduto nelle mani dei barbari, sta per essere sacrificato alla dea insieme con l'amico Pilade, è riconosciuto e salvato dalla sorella I., divenuta sacerdotessa di un culto inumano; che í tre, ingannato il re Toante (Θόας), riescono a tornare in patria, portando seco il simulacro. Le presupposizioni di quest'invenzione non sono tutte chiare; certo è che già prima di Euripide, già nell'età che inventò il ratto d'Ifigenia in Tauride, una divinità di questo popolo, la quale esigeva sacrifici umani era identificata dai Greci con l'Artemide di Braurone; al che avrà dato appiglio l'epiteto di Tauropolo (Ταυροπόλος).
Τυττο διξιενε πιῆ γθιαρο, ε ανγθε λα τεστιμονιανϕα δι Εροδοτο σ᾿ιντενδε μεηλιο, σε σι συππονε γθε ιλ νομε δι Ι., πριμα δι δεσιηναρε υν᾿εροινα, ζοσσε δι υνα διξινιτῦ αζζινε αδ Αρτεμιδε, ασσορβιτα ποι δα Αρτεμιδε. Εσιοδο (γιοᾔ ποεσια βεοτιγα), γιτατο δα Παυσανια, ιδεντιζιγα Ι. γον Εγατε. Ι. θα γυλτο α Μεηαρα, σιμυλαγρο αδ Εηιρα ιν Αγαια; υν᾿Αρτεμιδε Ιζιηενια ᾔ ινξογατα α Ερμιονε. Πιῆ ιμπορτα γθε α Βραυρονε ερα υσο γθε α Ι. σι γονσαγρασσερο λε ξεστι δελλε δοννε περιτε δι παρτο (γιοᾔ, σεγονδο λα γομυνε γονγεϕιονε ηρεγα, περ οπερα δι Αρτεμιδε). Θ. Πασ.
Il tema d'I. fu molto spesso ripreso, sulle orme di Euripide, anche nelle letterature moderne, ma alla quantità delle opere che prendono nome da I. non corrisponde il valore: due capolavori si salvano dall'oblio: l'Iphigénie en Aulide di Racine e l'Iphigenie auf Tauris di Goethe. In Francia la serie si apre con l'Iphigénie en Aulide di Rotrou (1640, pubbl. 1641): Nell'Iphigénie en Aulide di Racine (1674) risalta il nobile sentire, la purezza, la chiaroveggenza della giovinetta infelice. Ad essa fu contrapposta dalla cricca rivale la misera Iphigénie di M. Leclerc e J. de Coras (1676). Nel secolo successivo troviamo una declamatoria Iphigénie en Tauride di Guimond de la Touche (1757); grande successo ebbe l'Iphigénie en Aulide di Gluck su libretto di Le Blanc du Rollet (1774); lo stesso Gluck diede nel 1779 una Iphigénie en Tauride su libretto di N. F. Guillard, con cui rivaleggiò (1781) l'opera omonima del Piccinni su parole di Dubreuil. Ai noostri giorni scrisse una Iphigénie J. Moréas (1903).
In Italia l'Efigenia in Tauris di P.J. Martello (1723) fu tra le sue tragedie una di quelle che più piacquero; altre ne scrissero G. L. Biamonti (1789), I. Pindemonte (inedita fino al 1904), C. della Valle (Ifiqenia in Aulide, Ifigenia in Tauride, ed. Napoli 1818); anche G. Leopardi giovinetto si proponeva di trattare il tema.
L'Iphigenie auf Tauris di Goethe (redazione in prosa 1779, in versi 1786, pubbl. 1787) riprende il mito antico umanizzandolo: la pura giovinetta da sacerdotessa di Diana è diventata presso i rozzi Tauri sacerdotessa di umanità.
Fra le opere d'arte moderne ispírate da I. basti ricordare l'Offerta di Ifigenia di G. B. Tiepolo (Coll. Giustiniani-Bandini, venezia) e il quadro di A. Feuerbach del museo di Düsseldorf.
Bibl.: Monografia dottissima di L. Kjellberg, in Pauly-Wissowa, Real-Encykl., IX, 2588 segg. Orienta bene anche K. Robert, Griechische Heldensage, II, ii, Berlino 1921, p. 700; III, ii, ivi 1923-26, p. 1095 segg., 1327 esgg. Ma la ricostruzione della storia del mito, anche qual'è brevemente schizzata qui sopra, ha molto di ipotetico: v. U. v. Wilamowitz, in Hermes, XVIII (1883), p. 249 segg., e da ultimo, brevemente, Glaube der Hellenen, Berlino 1931, I, p. 181, n. i (non tutto convincente). Sul carattere dell'eroina nell'Ifigenia in Aulide, G. Pasquali, in Atene e Roma, XXI (1918), p. 67 segg. Su Ifigenia nelle Ciprie, v. E. Bethe, Homer, II, Lipsia 1929, p. 240 segg. Sulle rappresentazioni figurate, K. Robert, op. cit., p. 1102 segg., p. 1332; E. Pfuhl, Malerei und Zeichnung der Griechen, Monaco 1923, p. 697 segg.; H. Philippart, Iconographie de l'Iphigénie en Tauride d'Euripide, Parigi 1932.