AVVENTURA, Ignazio
Poche e frammentarie notizie si hanno sulla vita e l'attività letteraria dell'A., il cui nome (ristabilito nella sua esatta grafia da V. Armando) fu a lungo creduto uno pseudonimo letterario di V. A. Borrelli o di G. Vernazza.
Nel 1925 il Collino pubblicò un "Toni": A Monsù Culin scultur 'd Sua Maestà, tratto da uno zibaldone manoscritto (Amusemens de campagne),compilato nella seconda metà del '700 da un conte di Rivalba e giacente nella Biblioteca Negroni di Novara. Dall'attribuzione del "Toni" a "Monsù Ventura, quartiemetre dj Drâgon D' Piemunt", l'Armando giunse all'esatta identificazione del poeta sulla base di alcuni documenti che rimangono, allo stato attuale degli studi, gli elementi più attendibili per una biografia dello scrittore.
L'A. nacque a Torino il 15 giugno 1733da Ludovico Maurizio e da Anna Battista "Coniugi Auentura". Le agiate condizioni economiche della famiglia gli permisero di frequentare regolarmente i corsi di giurisprudenza presso l'università di Torino, dove si addottorò il 4 ag. 1755.Intrapresa la carriera militare, venne nominato il 12genn. 1757luogotenente di cavalleria e quartiermastro aggiunto in aiuto del capitano Pellione; il 7genn. 1758 raggiunse il grado di quartiermastro effettivo che conservò fino alla morte (1777).
Circa la dimora dell'A., si può arguire che egli visse pressoché stabilmente a Torino, dove lo sorprendiamo nel 1763 prestare a G.M. Mossi la somma di mille lire con l'obbligo di una pensione vitalizia annua (mallevadore fu il conte Carlo Luigi Alfieri di Magliano), e dove ancora risiedeva nel 1776allorquando, morto il debitore, l'A. mosse lite al conte Giacinto, erede di Carlo Luigi di Magliano, per rientrare in possesso del suo avere.
Queste le notizie accertate dall'Armando che, unite all'immagine letteraria che dell'A. tracciò P.P. Burzio (Toni dl' Raccoglitour an mort d'Ventura Cartiemetre famouz Poeta Piemonteis),suggeriscono un quadro appena abbozzato, ma preciso nei suoi lineamenti essenziali, della vita e dell'attività artistica dell'Avventura. Per quel che riguarda la cronologia delle opere, l'unico elemento sicuramente attendibile è la data di composizione del menzionato "Toni" per le nozze dello scultore Ignazio Collino: matrimonio che il Vernazza ci informa essere avvenuto il 29 febbr. 1772.
Secondo i risultati raggiunti dall'Armando, possono attribuirsi all'A. i "Toni" rispettivamente segnati con i numeri 2, 5 e 7 nella raccolta del 1912 edita dallo stesso studioso: poesie che, aggiunte al "Toni" Bei corin doce persone già attribuito all'A. da M. Pipino e forse ad alcune delle nove composizioni aggiunte dall'Armando nel 1914 alla primitiva silloge di poesie inedite, servono a delineare abbastanza nettamente gli interessi culturali e le ambizioni artistiche dell'A. nell'ambito di un'attività letteraria particolarmente diffusa in Piemonte in tutto il Settecento.
Il "Toni" (diminutivo di Antonio, personaggio contadino della Margarita, tragicommedia pastorale del saviglianese Marc'Antonio Gorena) rappresentò nella prima metà del sec. XVIII la figura del villano povero e ignorante, insofferente di fronte all'ingiustizia e naturalmente in possesso di quelle doti capaci di smascherarla e di denunziarla nelle sue forme più clamorose e stridenti: le poesie satiriche che da esso presero il nome si diffusero clandestinamente come un'eco di protesta al costume di città in nome del buon senso contadino, trovarono ammiratori e ignoti cultori fra i ceti più bassi della società (nonostante la censura delle autorità statali e religiose), non mancando di sottolineare, in forme talora grossolanamente pittoresche, ma non per questo meno efficaci e risentite, gli aspetti più retrivi della vita e della morale aristocratica.
Fedele ancora alla sua originaria maniera popolare (ma castigato quanto al suo contenuto d'opposizione), il "Toni" venne in seguito elaborato dall'abate Ignazio Isler, la cui attività si pone tra il 1730 e il 1766, fino a quando, nello scorcio del sec. XVIII, il componimento dialettale, purgato di ogni motivo di fermento popolare e perfettamente stabilito nelle sue forme metriche, fu assimilato dagli ambienti colti della società piemontese, sollecitando la vena satirica, o più semplicemente favorendo le inconfessate velleità poetiche di borghesi quali P. P. Burzio, N. Brovardi, V. A. Borrelli, o di nobili quali F. Asinari di S. Marzano. Caratteristica di quest'ultima fase borghese-aristocratica del "Toni" è da un lato il precisarsi di certi temi politici improntati a un generico e blando spirito riformista (come nel "Toni" La politica fa' vede ch'l sfars e l'ambizion porto dan al Stat),ovvero ispirati a più pensose considerazioni sociali che sono significative di tutta un'epoca (nel "Toni" intitolato Rimedi pr' l mal dla pera si bandisce una sorta di protezionismo a favore del lavoratore indigeno contro quello straniero), d'altro canto il diffondersi di alcuni spunti sentimentali e descrittivi che conducano il singolare componimento in vernacolo ai limiti della sensibilità arcadica.
In siffatto quadro dei temi e dei motivi d'ispirazione del "Toni" si colloca la figura letteraria dell'A. da giudicarsi essenzialmente come quella di un arcade, sia che dipinga con tratti straordinariamente decisi il tipo dell'ufficiale orgoglioso e arrogante (Sul Bondisserea scrit con ordin precis)o che descriva in un clima di morbida e voluttuosa sensibilità la crociata antimaschile delle dame torinesi (Bei corin doce persone),sia che ritragga con accenti satirici abitudini e costumi del bel mondo torinese (Toni su le sgnore ch' a van a caval) o che risolva in chiave grassamente comica aspetti e figure del ceto contadino (Toni sulle battiaje d'un Paisan). Contraddistingue l'attività poetica dell'A. una piacevole vena ironica, un arguto e smaliziato spirito descrittivo che suggerisce spesso allo scrittore la rappresentazione di gustose scene d'ambiente dialettale, un senso misurato e vigile del decoro formale che si realizza nelle delicate immagini del "Toni" A Monsù Culin: elementi che individuano nell'A. uno dei poeti più sensibili e colti fra gli scrittori di "Toni", per il quale la pratica letteraria ha forse rappresentato un'esperienza non secondaria.
Bibl.: M. Pipino, Poesie piemontesi raccolte,Torino 1783; L. Cibrario, Saggio sul dialetto piemontese, in Antologia, XXXVIII(1830), p. 74; A. Manno, Componimenti satireschi in Piemonte, in Curiosità e ricerche di storia subalpina, I, Torino 1875, p. 728; V. Armando, Alcuni toni piemontesi inediti, in Miscellanea di studi storici in onore di A. Manno, Torino 1912, pp. 655-672 (2 ediz., riveduta ed ampliata, Torino 1914); L. Collino, Storia della poesia dialettale piemontese, Torino 1924, pp. 59-62; Id., Il "Toni", Torino s. d. [ma 1925], pp. 13-18, e la rec. di V. Armando, in Giorn. stor. d. letterat. ital., LXXXVI (1925), pp. 375-378. Per quel che riguarda la pubblicazione di alcuni "Toni" di incerta o malsicura attribuzione, si veda la bibliografia annessa alle citate opere dell'Armando e del Collino.