CIAMPI, Ignazio
Nacque a Roma il 31luglio 1824 da Giuseppe, agiato commerciante, e Giuseppa De Angelis. Studiò al Collegio Romano, quindi seguì i corsi di giurisprudenza all'università, ove frequentò anche le lezioni di eloquenza latina e italiana del classicista abate L. M. Rezzi, appassionandosi particolarmente alla lettura e allo studio del Goldoni f. dell'Ariosto, ma interessandosi anche all'opera del Giusti, di Leopardi, di Byron. Laureatosi a ventidue anni, nel '46, come tanta parte della gioventù romana intellettuale, aderì con entusiasmo al clima nuovo determinatosi nello Stato pontificio con l'avvento di Pio IX. Segretario del Circolo romano dal '46 al '48, vincitore del concorso per l'ufficio di uditore alla Consulta di Stato, entrò infine, nell'aprile del '48, quale minutante al ministero di Grazia e Giustizia, incarico che non abbandonò áWavvento della Repubblica. Il De Gubernatis lo annovera fra i combattenti che il 30 apr. 1849 parteciparono agli scontri con i Francesi a Porta San Pancrazio e nei giardini vaticani, ma il suo più attento biografo ed amico, P. E. Castagnola (1881), non conferma questa circostanza che, del resto, lo stesso C. non ricorda mai.
Dopo la restaurazione pontificia abbandonò il suo impiego al ministero e per un paio d'anni preferì tenersi appartato, alternando la residenza a Roma con lunghi soggiorni nella campagna circostante e nei centri vicini: in questo periodo e durante questi suoi vagabondaggi, prese il gusto e l'abitudine alla ricerca negli archivi e nelle biblioteche, ove raccolse documenti di cui si valse in seguito per i suoi lavori storici ed eruditi. Ripreso nel '52 l'esercizio dell'avvocatura, fu dapprima segretario presso il tribunale della S. Rota, quindi si dedicò con successo alla libera professione, sia come civilista, sia come penalista, impegnandosi in particolare alla Procura dei poveri e nei processi politici che seguirono le agitazioni romane del '67.
A fianco di quella propriamente professionale, il C. svolse in questi anni un'intensa attività pubblicistica. Vicino all'ambiente della Scuola romana, fu alieno dal rigoroso purismo e classicismo che contraddistingueva i membri di questo cenacolo, e poco assiduo alle riunioni che questi solevano tenere al Caffè Nuovo; pubblicò tuttavia componimenti poetici nelle raccolte collettive che dettero breve fama alla Scuola, quali le due Strenne romane per gli anni 1858 e 1859, e articoli e trattazioni erudite sui pochi fogli che uscivano allora a Roma quali: il Giornale arcadico di S. Betti. Arti e lettere e IlBuonarroti di Benvenuto e Francesco Gasparoni, IlFilodrammatico, collaborando anche ad alcuni periodici non romani, quali La Fama di Milano, La Scena di Venezia, IlPirata di Torino.
Dagli anni '60 il C., che aveva sempre dimostrato uno spiccato interesse per il teatro, si impegnò anche in una cospicua produzione drammatica, cui si affiancò una serie di scritti critici ed eruditi sulla storia del teatro e dei suoi protagonisti, autori ed attori.
Nell'estate del 1861, durante la stagione estiva all'anfiteatro Corea, furono rappresentate con qualche successo quattro sue commedie, cui ne seguirono altre: L'usura in guanti, andata in scena al Valle durante il carnevale del '64, e, nell'autunno del '66, sempre al Valle, Una casa e un palazzo e Maurizio o i fratelli di latte, rappresentate dalla nota compagnia di A. Morelli. Da questa data in poi, benché continuasse saltuariamente a scrivere per la scena, il C. si allontanò dall'ambiente propriamente teatrale e le sue opere non vennero più rappresentate, sembra anche a causa di screzi con alcuni attori.
Dopo il 20 settembre il C., come tutti quei professionisti ed intellettuali romani che, pur senza compromettersi sul piano politico, si erano dimostrati cautamente favorevoli all'inevitabile "nuovo corso", si inserì attivamente nella vita pubblica e culturale della nuova capitale. Eletto nel Consiglio comunale, nel novembre del '70 fu nominato giudice del Tribunale civile e penale di Roma di cui, nel maggio 1872, divenne vice presidente per nomina regia. Dal gennaio dello stesso anno aveva ricevuto l'incarico presso la cattedra di storia moderna dell'università romana, incarico che si tramutò in ordinariato nel 1874, quando il C. abbandonò definitivamente l'attività giudiziaria. Da allora fino alla morte si dedicò interamente all'insegnamento e agli studi storici, con una serie di pubblicazioni sulla Nuova Antologia, l'Archivio storico italiano, gli Atti dell'Accademia dei Lincei, di cui era stato nominato socio nel 1876.
Il C. morì a Roma il 21 genn. 1880.
Dichiaratamente il meno impegnato fra gli esponenti dell'ambiente culturale romano nei confronti dell'imperante estetica classicistica, il, C. manifestò fin dagli inizi della sua attività letteraria, sia come poeta sia come storico, e via via più decisamente, la sua adesione ad alcune forme e teoriche tipicamente romantiche; tuttavia quest'adesione in lui rimase sempre un atteggiamento del tutto intellettualistico, privo di ogni sincera rispondenza interiore, né riuscì a liberarlo dai vincoli formali della sua tenace educazione classicista, ulteriormente appesantita da un insistente moralismo e fastidioso pedagogismo, che sono presenti e dominanti in tutta la sua opera. Così l'abbondante produzione poetica del C. (che copre l'arco di tutta la sua vita a partire dal 1857 ed è interamente raccolta in un.volume da lui curato l'anno della sua morte: Poesie, Roma 1880) è orientata in prevalenza sulla, novella in versi, ottave per lo più, di argomento storico e popolare, da Serena in tre canti, edita per la prima volta a Firenze nel 1857, a La tragedia di Fazio armaiolo (Roma 1878); ma il suo interesse per questa forma poetica muove principalmente dal piacere della pignolesca ricostruzione storica e non va mai disgiunto dalle ubbie formali della sua educazione purista. Né gli riesce di creare qualche accettabile paesaggio storico, tanto è impacciato da un verseggiare pesante e totalmente sprovvisto di valore artistico, mentre il resto della sua produzione lirica non è altro che una congerie di esercitazioni di pura marca classicista.
A nume tutelare della sua attività di conimediografo (Commedie, Roma 1863: Ilsegretario e la contessa; L'avvocato; Momolo e Giorgio ovvero i due Arlecchini; Il podere e la figlia del veterano; Un traffico di nuova specie; Caterina; Chi ben apre ben serra; Nuove commedie, Milano 1867: L'usura in guanti; Una casa e un palazzo; Maurizio o i fratelli di latte; Il medico tutore; Nuovo teatro, Roma 1880: Amori popolari; Riccardo Sheridan; Buon vecchio; Esmeralda) il C. pose.invece il Goldoni, cui egli dedicò anche una serie di pubblicazioni erudite, e a lui si ispirò nel tentativo di imitarne la semplicità enaturalezza dello stile e delle situazioni drammatiche, la capacità di osservazione realistica, il "decoro" della messinscena; ma il moralismo delle sue commedie "borgliesi" suona artificioso e retorico e le sue velleità di purismo goldoniano sono fatalmente inquinate dalla conoscenza e dalla frequentazione dei teatro francese contemporaneo, sicché il suo autentico ispiratore risulta essere piuttosto il "teatro teatrale" di E. Scribe (da lui del resto definito in un articolo "acuto, veritiero, ottimista"), con il suo corredo oleografico e banale di ruoli meccanicamente ripetuti, senza che egli tuttavia possedesse la vivacità del dialogo e la padronanza del meccanismo scenico, con risultati da considerarsi totalmente negativi.
Nel volume La commedia italiana, studi storici, estetici e biografici (Roma 1880) il C. raccolse e coordinò tutta una serie dì brevi saggi pubblicati negli anni precedenti, tentando con ciò un excursus storico sullo svolgersi della commedia in Italia a partire dalle sacre rappresentazioni nel Medioevo, excursus in cui ha modo di esplicitare ancora una volta le sue propensioni romantiche per la netta avversione alla commedia umanistica del '500, la condanna dell'imitazione, la rivalutazione delle sacre rappresentazioni, la preferenza per Shakespeare f. i drammaturghi spagnoli. Più interessanti alcuni saggi in appendice al volume, in cui riporta utili dati biografici relativi ad attori ed autori soprattutto romani, fino ad allora trascurati o dimenticati, quali G. Giraud, F. Tacconi, L. Taddei.
Nei lavori storici ed eruditi propriamente detti (Innocenzo X Pamfili e la sua corte, Roma 1878; Storia moderna dalla scoperta dell'America alla pace di Westfalia, Imola 1881-84, 3 voll., pubblicata postnna a cura di P. E. Castagnola; numerose vite di artisti e viaggiatori, particolarmente romani, quali Pietro della Valle il pellegrino, Roma 1880; pubblicazioni di documenti inediti con introduzioni e note: Cronache e statuti della città di Viterbo, Ibid. 1872; Saggio della prima parte inedita della cronaca viterbese di Niccolò della Tuccia, Firenze 1858, pp. 43-61; scritti di varia erudizione per lo più raccolti nel volume Storie, novelle, discorsi e lettere, Roma 1880) il C. si mostra legato ai dettami dello storicismo romantico, con il suo culto del progresso, la ricerca di temi di interesse nazianale, l'alta considerazione della funzione morale e civile della ricerca storica, e tuttavia il suo lavoro, sperso nei mille rivoli dei troppo numerosi interessi, permane, al di là di estrinseci tentativi di sintesi, frammentario e aneddotico, appesantito più che mai dal formalismo classicista e dalla tradizione erudita, impreciso e poco approfondito anche nello studio e nell'uso del materiale documentario inedito, giustificato solo dalla presenza, in questa vasta congerie di notizie, di alcuni dati f. notizie che possono essere utilizzabili in future ricerche.
Fonti e Bibl.: L'elenco completo delle opere del C., peraltro quasi tutte ripubblicate nelle opere antologiche già citate nel testo f. uscite negli ultimi anni della sua vita, si trova in P. E. Castagnola, Notizie della vita e delle opere di L C., Imola 1881; cfr. anche Id., Intorno agli scritti dell'avv. L C., Roma 1866; G. De Gubernatis, Diz. biogr. degli scrittori contemp., Firenze 1879, s. v.; Biografie dei consiglieri comunali di Roma dal 1870, Roma 1873, disp. n. 12; U. Pesci, Iprimi anni di Roma capitale, Firenze 1907, p. 388 s.; D. Gnoli, Ipoeti della Scuola romana (1850-1870), Bari 1913, p. 19; P. P. Trompeo, D. Gnoli. I poeti della Scuola romana (18501870), in IlConciliatore, I(1914), pp. 426 s., 430 8.; S. Negro, Seconda Roma, Milano 1943, pp. 286, 289; B. Croce, La letter. della nuova Italia, Bari 1950, V, p. 221; G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano 1956, ad Indicem;A. G. Bragaglia, Storia del teatro popolare romano, Roma 1958, ad Indicem;C. Filosa, Idue poeti principi della Scuola Romana, Venezia 1958, pp. V, XI; I poeti della Scuola romana dell'Ottocento, a cura di F. Ulivi, Bologna 1964, pp. 36 ss.