IGNAZIO della Croce (al secolo Ignazio Danisi)
Nacque nel 1718 a Castellaneta, presso Taranto, da Nicola Danisi e Agata Mari. Alcuni biografi (De Tipaldo, Perini, Villani, Morei) gli attribuiscono il cognome Cianci, ma E. Barba gli conferisce motivatamente quello di Danisi (p. 3). Primogenito, a ventitré anni ebbe un fratello, Giangiuseppe, poi valente oratore e vescovo di Gallipoli dal 1792 al 1820, come lui appartenente all'Ordine degli agostiniani scalzi. Mostrando fin da piccolo particolari capacità di apprendimento, a otto anni fu condotto a Napoli da uno zio sacerdote per iniziare gli studi, ove parve particolarmente portato per le materie umanistiche e in special modo per la poesia (secondo il Barba, p. 4, fu allievo di Vico e lo avrebbe commemorato nell'Arcadia dopo la morte). I gesuiti lo avrebbero voluto nella loro Compagnia, ma egli scelse di entrare tra gli agostiniani scalzi del collegio di S. Maria della Verità, casa provinciale dell'Ordine a Napoli, con una speciale dispensa, dato che aveva solo quattordici anni.
Vi seguì tutto il corso degli studi filosofici e teologici, curando quelli umanistici (soprattutto gli scrittori latini) e tenendo in secondo piano invece le dottrine peripatetiche e aristoteliche ancora in auge nei chiostri. In seguito si sforzò di applicare alla filosofia e alla teologia un latino più appropriato ed elegante. Questo gli provocò non pochi contrasti con i fautori dei vecchi metodi, tanto che sembra che per un periodo abitasse fuori della sede dell'Ordine.
All'età di ventidue anni cominciò a insegnare ai confratelli filosofia e teologia, riducendo lo spazio delle dottrine scolastiche e introducendo invece lo studio della matematica, delle lingue greca ed ebraica e dell'oratoria sacra. Scrisse anche Istruzioni di oratoria sacra, rimaste allora inedite, con l'auspicio che nell'Ordine fiorisse anche l'insegnamento di questa materia. Molti suoi allievi divennero oratori rinomati sui pulpiti di importanti città d'Italia. Già nel 1742, quando predicò per la prima volta un quaresimale a S. Maria della Verità, suscitò grande entusiasmo negli ascoltatori. Il collegio era allora particolarmente rinomato, grazie principalmente agli sforzi di I. di qualificarlo come centro di studi; con il breve Nihil magis (2 ag. 1741) Benedetto XIV ne accrebbe i privilegi. Nel 1754, secondo G. Origlia, I. aveva già composto molte rime sacre, due famose orazioni latine (una in onore di s. Agostino, Napoli 1746, l'altra per l'apertura degli studi in S. Maria della Verità, Napoli 1747) e la dotta Dissertazione intorno allo schiaffo ed alpannolino che si usa nella confermazione (Venezia 1758).
Nel 1753 I. divenne professore interinale di lettere nell'Università di Napoli. Quando restò vacante la cattedra primaria di teologia partecipò al concorso, ma il re Carlo di Borbone l'assegnò a un personaggio estraneo alla lista dei concorrenti. Sotto il regno di Ferdinando IV fu poi chiamato su quella cattedra e nominato anche giudice nell'aula suprema per le cause ecclesiastiche.
I. viaggiò molto: predicò nella cattedrale di Napoli, a Venezia, Brescia, Roma (1753), Firenze (1766), Genova, Palermo (1756, 1765), raccogliendo ovunque riconoscimenti. Le sue Prediche quaresimali furono pubblicate a Napoli per la prima volta nel 1773. Nel 1776 predicò anche a Torino, mantenendo poi contatti con Carlo Emanuele III e Vittorio Amedeo III, oltre che con Pietro Leopoldo di Toscana e Benedetto XIV. Ebbe inoltre l'approvazione di altri personaggi eminenti del mondo nobiliare ed ecclesiastico, come il card. A.M. Quirini, arcivescovo di Brescia, il card. D. Passionei e membri delle famiglie Albani, Marefoschi e Valenti.
Fu associato a famose accademie letterarie: gli Infecondi, l'Accademia Fiorentina, quella di storia ecclesiastica di Napoli e, soprattutto, l'Arcadia romana; quest'ultima, in occasione di un viaggio di I. a Roma, ammirò molto i suoi versi, latini e italiani. Divenne "pastore" nel 1750, con il nome di Dasmone Andriaco; poco dopo entrò a far parte del Collegio dodecemvirale che coadiuvava il custode generale. Dal 1753 si adoperò per fondare a Napoli una colonia arcadica che prese il nome di Aletina, dal nome della chiesa del suo ordine. La più importante sua raccolta di orazioni, idilli, egloghe ed epistole legati all'Arcadia sono i Dasmonis Andriaci pastoris Archadis e XII viris collegii Arcadici et coloniae Aletinae vice-costodis poemata, pubblicati prima a Venezia (1757), poi a Napoli (1771). I suoi componimenti, che in gioventù erano stati anche di argomento profano, andarono sempre più indirizzandosi su temi sacri.
La colonia Aletina riunì rinomati letterati e poeti, tra i quali Muratori, Metastasio (che stimò molto I.), A.S. Mazzocchi, E. Campolongo e personalità di rango sociale come F.M. Spinelli, principe di Scalea, e G. Albertini, principe di Cimitile. Ogni 8 dicembre, già diversi anni prima della fondazione ufficiale della colonia, essi si riunivano per recitare versi sull'immacolato concepimento della Vergine, poi stampati in opuscoli (Vari componimenti in lode dell'immacolata concezione di Maria recitati nella chiesa di S. Maria della Verità…, Napoli 1741-1805); anche il Vico vi recitò un sonetto nel dicembre 1742, poco prima della morte. La colonia, rimasta in vita fino all'inizio del secolo XIX, aveva come motto sovrastante lo stemma (sul cui sfondo risaltava un giglio): Canit et candet. Un illustre discepolo di I., il p. Pasquale Contursi (Eliofilo), poi chiamato da Pio VII a reggere gli agostiniani scalzi nel 1819, si adoperò per tenerla ancora in vita degnamente.
I. fu descritto come uomo erudito, modesto, che spendeva solo per comprare libri, senza ambizione di avanzamenti. Tuttavia nell'Ordine il suo operato fu molto apprezzato: nel capitolo generale romano del 1758 fu eletto definitore generale; successivamente fu visitatore generale per l'Italia e la Germania, e due volte provinciale di Napoli. Il capitolo generale del 1782 lo elesse procuratore generale dell'Ordine.
I. scrisse molto fin da giovanissimo, e ancora più nella maturità. Oltre le già citate opere poetiche e oratorie vanno ricordate le più importanti tra quelle teologiche, che alla gravità degli argomenti accompagnano sempre un'estrema eleganza nello stile: Dissertazione delnumero settenario dei sacramenti (Venezia 1756); Revelatae religionis vindiciae (Neapoli 1772); De veritatereligionis Christianae (2 voll., Neapoli 1776); DeDeo gratiae auctore (Neapoli 1782); Meditazioni sopra la Passione di Gesù Cristoper santificare il tempo del Carnevale (Napoli 1784, poi Roma 1839). Soprattutto le Revelatae religionis vindiciae e il De veritate religionis Christianae forniscono un quadro esauriente dello stato dell'apologetica cattolica del tempo di fronte agli avversari deisti e razionalisti. Entrambe le opere sono corredate da una cospicua, ma non eccessiva erudizione storica, con testimonianze antiche e recenti, cristiane e pagane. Nel De veritate il metodo di I. è più originale e fondamentalmente storico, mentre nelle Vindiciae è più simile ai trattati di apologetica contemporanei, cioè più astratto e speculativo; le seconde, che si presentano come manuale per gli studenti di teologia, trattano ampiamente della realtà della rivelazione; dopo averne dimostrato la necessità contro il teismo razionalistico di Voltaire, I. la difende dalle accuse di avversari di ogni genere e di tutti i tempi, ma soprattutto si confronta con il naturalismo di Spinoza e le critiche alla realtà dei miracoli. Tratta poi della trasmissione orale della rivelazione primitiva, fatta da Dio ai progenitori, fino a Mosè attraverso i Patriarchi. I. passa poi a dimostrare la rivelazione di Cristo e dei miracoli contro J.-J. Rousseau, P. Bayle e altri autori.
Il De veritate religionis Christianae ha carattere polemico e un taglio più scientifico dell'opera precedente, essendo destinato agli studiosi. Tratta, in tre libri, un numero ristretto di questioni apologetiche: la rivendicazione scientifica dei motivi di credibilità del miracolo e delle profezie (le quali sono per I. il criterio massimo della rivelazione cristiana); la storicità della persona di Mosè (confutando tra altre le affermazioni di autori come J. Toland e di scritti come il De tribus impostoribus, secondo le quali Mosè era stato solo un abile legislatore e comandante, impostosi con l'inganno al rude e credulo popolo ebreo); infine la rivendicazione della storicità della persona di Cristo come messia, taumaturgo, profeta e oggetto di profezie del Vecchio Testamento (di Giacobbe e Malachia), con la conseguente riaffermazione del valore storico dei Vangeli. Nella prefazione all'opera I. sostiene che di necessità un filosofo è o cristiano (abbraccia cioè la rivelazione) o ateo e teista (e negando la rivelazione va necessariamente verso l'anarchia). Il contratto tra gli uomini non avrebbe alcun valore senza il fondamento nella legge eterna di Dio, senza la quale non può essere concepita l'autorità, che la ragione naturale può conoscere ma non creare. Esiste per I., in altre parole, una perfetta concordia tra dottrina evangelica e le leggi dettate dalla sana ragione.
Negli ultimi anni I. nutrì un progetto ambizioso di rinnovamento della struttura del suo Ordine, che gli attirò parecchie inimicizie.
Morì a Napoli il 29 genn. 1784, dopo dieci giorni di malattia; fu seppellito nella chiesa dell'Ordine. Il sacerdote D. Capasso, già discepolo e collega, ne lesse un elogio in elegante latino nella solenne commemorazione nell'Università di Napoli (poi stampato: Vita p. Ignatii a Cruce, Neapoli 1784).
Fonti e Bibl.: G. Origlia, Istoria dello Studio di Napoli, Napoli 1754, II, pp. 390 s.; M.G. Morei, Memorie istoriche dell'adunanza degli Arcadi, Roma 1761, pp. 92, 113, 210, 262; C. Villani, Scrittori e artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei, Trani 1904, p. 306; A. Baldassarri, Una colonia d'Arcadia, in Giornale arcadico, s. 6, IV (1913), 10, pp. 302-307; D.A. Perini, Bibliographia Augustiniana cum notis biographicis. Scriptores Itali, Firenze 1929-37, I, p. 228; II, pp. 135 s.; C. Caiazzo, Gli agostiniani a Napoli nella tradizione e nella storia, Napoli 1936, p. 184; E. Barba, La dottrina apologetica nelle opere del p. I. Danisi della C. … e l'illuminismo incredulo del Settecento, Roma 1943; Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli ornata de lororispettivi ritratti, XIV, Napoli 1828, pp. 38-41 (G. Lerzi); E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri, IV, Venezia 1837, pp. 434 s. (s.v. Cianci); Diz. degli Istituti di perfezione, I, Roma 1974, p. 412.