HUGFORD, Ignazio Enrico
Nacque nel 1703 a Pisa (Fleming, p. 197) o a Firenze (Borroni Salvadori, 1983, p. 1025), dai cattolici inglesi Ignatius, un orologiaio che nel 1683 era emigrato nel Granducato di Toscana e prestava servizio presso Cosimo III de' Medici in qualità di aiutante d'onore, e Brigida Ractelif, che morì di parto. A sedici anni il padre lo consegnò alle cure di Anton Domenico Gabbiani, il pittore ufficiale della corte medicea, che ritrasse il "Sig. Ignazzino" in un gustoso schizzo a sanguigna (Webster, n. 129).
Nel dicembre del 1719 morì il padre che, nel testamento dello stesso anno, lo affidava alla protezione di Cosimo Magnolfi.
Il suo esordio pittorico risale al 1723, anno in cui realizzò la Madonna offre le vesti sacerdotali a s. Ildefonso vescovo di Siviglia, una grande tela per la chiesa di S. Trinita a Firenze. È questa la prima di una lunga catena di commissioni per l'Ordine vallombrosano, favorite dalla presenza in esso del fratello Ferdinando, che aveva vestito il saio nel 1711 e assunto il nome di Enrico.
Quando, nel 1726, Gabbiani morì tragicamente cadendo dalle impalcature di palazzo Incontri, l'H. riuscì a procurarsi parte dei cartoni e dei disegni ancora presenti nello studio del maestro. Cominciò così a raccogliere e collezionare oggetti d'arte, arricchendo un nucleo di dipinti forse appartenuti al padre. Nello stesso tempo aveva iniziato a svolgere il ruolo di intenditore, di intermediario e di mercante d'arte, sfruttando abilmente le vendite delle collezioni in disarmo: già nel 1728 aveva acquistato dagli eredi di Giovanni Niccolò Berzighelli due dipinti di Benedetto Luti (Perini, 1993, p. 553).
Il 1° maggio 1729 fu ammesso all'Accademia del disegno di Firenze come "novizio accademico" (Borroni Salvadori, 1983, p. 1028). Si dedicò allora all'insegnamento del nudo, impegno che mantenne per più di trent'anni. Il 18 ottobre dello stesso anno espose alla mostra allestita dall'Accademia nel chiostro della Ss. Annunziata, sia in proprio, con opere della sua collezione, sia insieme con il fratello Cosimo, il primogenito noto come "gran matematico" specializzato in orologi solari (Id., 1974, pp. 32 s.). Sempre nel 1729 datò e firmò il Cristo appare a s. Giovanni della Croce per la chiesa dei carmelitani scalzi di S. Paolino a Firenze. Agli anni Venti si possono datare anche l'Annunciazione e il S. Francesco di Sales celebra la messa, entrambi a Firenze, rispettivamente nella chiese di S. Iacopo Soprarno e di S. Francesco di Sales (il Conventino).
Nel 1730 Giovanni Aurelio Casari, abate del monastero di Vallombrosa, gli affidò l'esecuzione della tela S. Pietro Igneo scomunica il clero nicolaita di Lucca, che integrava un ciclo di medaglioni con le storie del santo realizzato da Agostino Veracini e Antonio Puglieschi.
La tela, collocata nella chiesa abbaziale il 4 luglio, testimonia con la sua solenne ambientazione architettonica gli orientamenti in chiave classicista dell'autore, comunque sensibile alle nuove tendenze della pittura veneziana. Un piglio più vivace e aggiornato sulla cultura romana palesa invece il bozzetto preparatorio della collezione Lemme a Roma, già attribuito a Marco Benefial (Lemme, p. 164).
Al 1731 risale la Crocifissione del convento della Quiete (conservatorio delle Montalve) a Firenze, di cui esiste una replica nella Pinacoteca nazionale di Bologna.
La sua perizia e la sua conoscenza delle maniere degli antichi lo fece apprezzare anche come "restauratore": intorno al 1736 eseguì per conto delle monache di S. Felicita a Firenze l'ingrandimento di una tela cinquecentesca di Carlo Portelli raffigurante la Ss. Trinità, per adeguarla alle misure dell'altare rinnovato.
Sempre nel 1736 dipinse, firmandoli e datandoli, il Trionfo di Bacco e Arianna e il Trionfo di Flora (Firenze, Uffizi) per il generale José Carrillo de Albornoz, conte di Montemar, allora di stanza a Firenze in attesa dell'eventuale successione spagnola al Granducato.
Il 18 ott. 1737 espose queste due tele alla mostra allestita alla Ss. Annunziata, in cui era presente anche il fratello Enrico. L'H. presentò anche un gruppo di dipinti di sua proprietà, la cui scelta lasciava trapelare un gusto e una cultura di respiro europeo.
Entro l'autunno del 1737 fornì al monastero vallombrosano dodici quadri raffiguranti santi dell'Ordine. L'anno successivo firmò e datò la pala con la Morte di s. Andrea Avellino, destinata all'altare della cappella Ardinghelli nella chiesa teatina dei Ss. Michele e Gaetano a Firenze. La figura del santo ricalca intenzionalmente il S. Lorenzo di Pietro da Cortona conservato nella vicina cappella Franceschi.
Sempre nel 1738 dipinse la Nascita della Vergine nella chiesa di S. Maria a Vigesimo. Alla fine del quarto decennio il pittore abitava stabilmente a Firenze in via de' Bardi, vicino alla casa Ambrogi, allora dimora del mercante inglese Horace Mann, che era molto interessato alle vendite di opere d'arte e col quale l'H. intrecciò una fitta rete di rapporti che gli valsero affari e clienti internazionali.
Nel 1741 dipinse un'Immacolata Concezione già nella cappella di S. Paolo in S. Trinita a Firenze (Vasaturo, 1987, p. 347). Probabilmente nello stesso anno, e comunque sicuramente prima del 1745, realizzò la tela centinata con Tobiolo rende la vista al padre per la cappella dell'Annunziata in S. Felicita a Firenze, che sostituiva la tavola dei Tre arcangeli di Domenico di Michelino (Fiorelli Malesci, p. 192).
Quando, nel 1742, morì Francesco Maria Niccolò Gabburri, si impegnò per accaparrarsi i pezzi della sua pregiata collezione, ottenendo, oltre ad alcune tele di Benedetto Luti e Paolo Anesi, una rara copia del Microcosmo della pittura di Francesco Scannelli annotata da Francesco Albani (Perini, 1998). Probabilmente nello stesso anno ritrasse Margherita di Bernabò Malaspina (Firenze, palazzo Guicciardini, già Bardi), dimostrando in questo genere una padronanza e un'eleganza di tocco che lo resero molto ricercato dall'alta società fiorentina.
Al 1743 risale il Battesimo di Costantino per la chiesa del Crocifisso (oratorio dei Miracoli) a Borgo San Lorenzo. Non lontano, ma di più ardua datazione, si trovano la Sacra Famiglia in gloria nella pieve di S. Maria a Fagna e il S. Giovanni Gualberto nella badia di Ronta in Val di Sieve.
Il circuito delle committenze vallombrosane riprese nel 1745, quando l'H. fu coinvolto nei lavori di restauro e di modernizzazione del refettorio del monastero di Vallombrosa, avviati dall'abate Ignazio Maria Burlini.
Nel giro di due o tre anni, sicuramente aiutato dall'allievo Giovan Battista Cipriani, licenziò quattordici tele che raffigurano la Cena in Emmaus e Santi e beati vallombrosani; un vasto ciclo che, in virtù di un classicismo devoto, semplice e didascalico, dovette incontrare il gusto dei committenti.
Nel frattempo, nel 1746, l'H. trovò il modo di lavorare anche per la badia di Passignano, dipingendo il Cristo appare a s. Geltrude, e per la famiglia Martelli, con una Sacra Conversazione nell'oratorio di S. Giuseppe a Gricigliano.
Entro il febbraio 1747 realizzò alcune lunette in tela, disperse, con episodi della Vita di s. Giovanni Gualberto destinate alla decorazione del chiostro del monastero di Vallombrosa.
Nel 1748 il nuovo abate vallombrosano, Emiliano d'Ambra, lo incaricò di completare la decorazione del refettorio con un'Assunta sulla volta.
Alla metà del secolo, al culmine della carriera, dipinse per conto della Compagnia delle Stimmate di Firenze uno stendardo da portare in processione a Roma, in occasione dell'anno santo del 1750; è plausibile che lo stesso pittore si fosse recato a Roma in veste di pellegrino (Pedrocchi, p. 117). Lo stendardo, che fu poi lasciato in dono alla chiesa romana delle Ss. Stimmate di S. Francesco, è firmato e rappresenta, sul recto, S. Francesco sorretto da un angelo riceve le stimmate e, sul verso, La Vergine e s. Francesco con in braccio Gesù Bambino.
Intorno al 1750 dipinse per la chiesa di S. Francesco di Paola a Bellosguardo un'Annunciazione in una cappella laterale e un medaglione con S. Francesco di Paolavisitato da Lorenzo il Magnifico nella navata (Meloni Trkulja, 1974).
Il 4 sett. 1751 l'H. fu eletto tra i consoli dell'Accademia del disegno (Wynne, p. 110). Fino alla primavera del 1754 fu impegnato alla badia vallombrosana di S. Bartolomeo in Pantano a Pistoia.
Per questa chiesa dipinse il S. Pietro Igneo attraversa il fuoco, S. Atto riceve le reliquie di s. Iacopo e una delle sue composizioni più riuscite, La contessa Matilde dona i suoi beni a s. Bernardo degli Uberti, in cui è stata vista un'anticipazione della pittura storica romantica (Sestieri), il che non nasconde i più espliciti rimandi a Paolo Veronese. L'H. era sicuramente coadiuvato da un'ampia bottega, visto che in questi stessi anni sfornò un'altra serie di tele per la chiesa abbaziale di Vallombrosa. Entro il 10 ott. 1754 (Cecchi, p. 155) furono infatti collocate nel coro di quella chiesa sei dipinti: La Vergine soccorre s. Silvestro, L'abate Gualdo dà a s. Berta il possesso del monastero di Cavriglia, La donazione del conte di Berry al beato Andrea, La vestizione della beata Umiltà, La morte del beato Benedetto Ricasoli e Il martirio di s. Arialdo (quest'ultimo probabilmente dovuto a Cipriani).
Negli anni successivi lo si trova ancora a Vallombrosa alle prese col rinnovamento della cappella seicentesca dei Dieci beati, voluto dall'abate Antonio Frediano Chiocciolini, per il cui coro dipinse la tela, fortemente danneggiata durante l'ultima guerra mondiale, con S. Giovanni Gualberto presenta alla Vergine i Dieci beati (1757).
La composizione, con il gruppo movimentato dei monaci in basso cui si contrappone la sobrietà della teofania celeste, riprende un'idea già sviluppata da Gabbiani nell'affresco per il santuario di Montesenario, di cui l'H. possedeva i disegni preparatori (Serie…, XII, p. 60).
Nei suoi numerosi lavori distribuiti per conventi e badie del territorio toscano (Richa, Paatz), caratterizzati in verità da composizioni monotone e dal livello esecutivo altalenante, si dimostra sempre un ostinato valorizzatore della tradizione classicista e accademica. Non trascurabile è pure la sua produzione grafica, anche se non sono molti i fogli a lui attribuibili con certezza (Webster, Casali, Wynne).
Durante questi due decenni di attività per i vallombrosani, l'H. non aveva affatto dimenticato la passione per il collezionismo e per il mercato.
Nonostante l'editto del plenipotenziario austriaco durante la Reggenza conte Emmanuel de Richecourt (1754) che, almeno sulla carta, limitava le esportazioni di opere d'arte, egli intensificò i suoi traffici con mercanti stranieri, come Horace Mann e William Kent. Da anni poi la sua residenza fiorentina era divenuta il punto di riferimento dei marchands amateurs provenienti da tutt'Europa; e nel gennaio 1755 ebbe l'onore di ricevere Robert Adam e Charles-Louis Clérisseau che, partendo, gli lasciò in dono due "rovine classiche", poi acquistate per le collezioni granducali. Il suo nome era celebre nell'Italia del grand tour non solo per la brillante attività di art dealer - in seguito alla quale fu spesso costretto ad affrontare cause e controversie (Borroni Salvadori, 1983, pp. 1033-1035) - quanto soprattutto per la sua sceltissima collezione, che riuniva pitture, marmi greci, disegni e rarissime stampe: una raccolta "non da privato ma da gran principe", come scrisse Lamberto Cristiano Gori, che fu allievo suo e del fratello (Id., 1974, p. 33). La raccolta comprendeva anche un corpus di dipinti dal XII al XV secolo che ebbe un ruolo non secondario nella rivalutazione dei cosiddetti "primitivi", di cui l'H., forse sulla scorta delle letture vasariane, fu insieme con Thomas Patch tra i primissimi estimatori. Le sue qualità di intenditore d'arte - anche se non sempre le sue attribuzioni erano fondate, come nel caso della Morte della Vergine di Giotto (Filadelfia, collezione Johnson) che egli attribuiva ad Andrea Tafi (Previtali, p. 137) - gli favorirono l'amicizia di altri connaisseurs, come Gavin Hamilton e Pierre-Jean Mariette, del pittore e restauratore Carlo Cesare Giovannini, dei "mediatori" Giuseppe Ravagli e Giovanni Ludovico Bianconi. Oltre ad acquistare, vendere e permutare quadri, l'H. copiava a comando e in tutta fretta le opere richieste dal mercato, come la Sacra Famiglia Canigiani di Raffaello, acquistata dagli Antinori e da lui copiata per Carlo Rinuccini (Conti, p. 348 n. 22). Nel 1758 il marchese Pierano Giugni lo incaricò di un vero e proprio falso, ovvero di ridipingere la duecentesca Madonna dell'Impruneta nella collegiata di S. Maria, con l'intento di venderla al conte di Richecourt.
L'H. fu anche stimato storiografo e in questa veste fornì giudizi critici per le Notizie istoriche delle chiese fiorentine di Giuseppe Richa (1754-62). Intrattenne inoltre rapporti col potente monsignore Giovanni Gaetano Bottari, che stava curando a Roma un'edizione aggiornata - la quarta - delle Vite di Vasari, uscita fra il 1759 e il 1760.
Il 7 marzo 1762 l'H. fu eletto provveditore dell'Accademia del disegno (Fleming, p. 197). Nello stesso anno pubblicò in due edizioni la Vita di Anton Domenico Gabbiani, dedicata a Pierre-Jean Mariette.
L'opera era accompagnata dai Cento pensieri diversi di Gabbiani, in cui erano raccolte cento stampe, eseguite in tecniche diverse, tratte dai suoi disegni di proprietà dello Hugford.
L'anno successivo restaurò l'appartamento dell'abate e altri ambienti del monastero di S. Trinita a Firenze, dipingendovi scene bibliche (Vasaturo, 1987, p. 347).
Nel 1765 l'H. è documentato a Roma "per cause di sanità" (Pedrocchi, p. 118). Infatti già da qualche anno soffriva di un dolorosa artrite reumatica che lo avrebbe lentamente reso inabile al lavoro. Il 6 apr. 1765 fece testamento, nominando erede universale il nipote Ignazio Maria Ronconi, figlio della sorella Caterina; i dipinti, i disegni e le stampe del suo studio sarebbero dovuti andare all'allievo prediletto, nonché esecutore testamentario, Santi Pacini (Fleming, p. 203).
Nel 1766 concluse la Crocifissione tra i ss. Vincenzo da Paola, Antonio Abate e Carlo Borromeo per la pieve di S. Andrea a Doccia.
In questo stesso giro di anni curò le note alla quinta edizione delle Vite di Vasari, in collaborazione con Tommaso Gentili e l'erudito aretino Giovan Francesco de' Giudici, il cui primo volume uscì nel 1767 a Livorno per i tipi di Marco Coltellini.
All'esposizione che si tenne alla Ss. Annunziata tra il 24 e il 26 giugno 1767, presentò molte opere dei suoi "primitivi".
Tra gli altri, il presunto Autoritratto di Masaccio agli Uffizi; il S. Agostino del Botticelli nello stesso Museo, ma ritenuto di Filippo Lippi; una Madonna col Bambino e angeli, pure agli Uffizi, passata come di Jan van Eyck e ora assegnata a Hans Memling (Borroni Salvadori, 1974, p. 49). Tra le opere messe in mostra c'erano anche alcuni ritratti a matita nera e rossa, due dei quali apparsi già nelle esposizioni del 1729 e del 1737, che l'H. attribuiva ad Hans Holbein il Giovane. Questi fogli facevano parte di un gruppo più ampio di trentadue disegni, ora assegnati alla scuola di François Clouet e in gran parte al British Museum di Londra, che l'H. aveva raccolto in un album di cui si fa menzione nella corrispondenza tra Horace Walpole e Mann (Walpole, 1954, pp. 91, 116).
Il 14 genn. 1770 fu riconfermato provveditore dell'Accademia (Borroni Salvadori, 1983, p. 1042). Nello stesso anno uscirono il primo e il secondo volume della Serie degli uomini i più illustri nella pittura, scultura e architettura, per cui l'H. fornì i disegni di molti dei ritratti di artisti; fu sempre lui probabilmente a suggerire le note al testo, non perdendo l'occasione di segnalare i pezzi della sua collezione e di quelle dei suoi amici (Serie…, XII, p. 66). Profondamente colpito dalla morte del fratello Enrico, avvenuta il 2 febbr. 1771, ormai gravato da uno stato di salute precario, l'H. il 12 genn. 1772 chiese di essere esonerato dall'incarico di provveditore dell'Accademia, favorendo la candidatura di Marcello Oretti (Borroni Salvadori, 1983, pp. 1043 s.). Nel 1775 lasciò anche l'insegnamento. Continuò comunque a disegnare, a cedere con accortezza alcuni pezzi della sua collezione, a fornire consulenze e perizie: fu lui a consigliare Giuseppe Bencivenni Pelli, direttore della Galleria granducale, ad acquistare nel 1777 parte della collezione di Alberigo Albergotti.
L'H. morì a Firenze il 16 ag. 1778; e la Gazzetta toscana gli riservò un commosso necrologio (Fleming, p. 203).
La sua collezione passò in eredità al nipote Ignazio Maria Ronconi; ma la difficile situazione economica della famiglia impose una rapida alienazione. Nel 1779 trentuno dipinti, poche incisioni e più di tremila disegni furono acquistati da Pelli per la Galleria; mentre il resto andava disperso in diverse collezioni. Stessa sorte capitò poi alla biblioteca, che fu venduta dall'erede nel dicembre 1782. La splendida raccolta dei disegni è invece confluita nel Gabinetto degli Uffizi, e con essa una serie di caricature del maestro Gabbiani "dei suoi amici e scolari", che l'H. contava di dare alle stampe "per gustoso trattenimento de' dilettanti" (Vita di Anton Domenico Gabbiani, p. 51).
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