MESSINA, Ignazio
– Nacque a Genova il 28 maggio 1903 da Giuseppe e da Amalia Silvestri, secondogenito di cinque tra fratelli e sorelle.
Il padre (1871-1942), erede di due generazioni di piccoli armatori di Riposto (Catania), gestiva, in società con i fratelli e con i cugini, una ridotta flotta di piccole navi vinicole che coprivano la rotta tra la Sicilia e Genova trasportando mosti e vini da taglio. Nell’ultimo decennio del XIX secolo, Giuseppe aveva trasferito la famiglia e gran parte della sua attività a Genova dove si insediò definitivamente alla vigilia dello scoppio della prima guerra mondiale: all’epoca possedeva certamente una nave a vapore, la «Angelina», e la società aveva sede in un piccolo ufficio di via del Campo, nello stesso stabile dove abitava la famiglia. Durante gli anni della guerra, con i traffici marittimi bloccati, i Messina, in società con i parenti Tabuso, avevano esercitato un’attività commerciale all’ingrosso nel settore alimentare e delle conserve, ma nel 1921, con la ripresa economica, Giuseppe decise di abbandonare il trasporto vinicolo e aprì, sempre con la «Angelina», una linea mercantile tra Genova e la Libia.
Nel 1921 il M. conseguì la maturità classica presso il liceo statale Andrea D’Oria; quindi, avendo iniziato a lavorare nell’azienda di famiglia – che nel frattempo aveva trasferito la propria sede operativa nella zona della Lanterna –, in due anni ottenne il diploma di ragioniere presso un istituto serale, per poi frequentare il corso allievi ufficiali di artiglieria a Lucca. Nel 1929 Giuseppe trasformò la compagnia in società in accomandita semplice con il nome sociale Ignazio Messina, distribuendo le carature ai quattro figli e, con quote minori, a due dirigenti poi rimasti in azienda per tutta la vita: F. Ciaravino e il comandante C. Arcidiacono; fu comunque il M. a essere investito delle maggiori responsabilità e della rappresentanza legale della compagnia.
Nel corso dei primi sette-otto anni di intensa attività la Ignazio Messina aveva allargato le proprie linee nel Mediterraneo con le nuove unità «Lido», «Sturla», «Oreto», «Foce», oltre alla «Angelina» attiva sulla rotta Genova-Tripoli; quindi, tra il 1929 e il 1935, acquisì quattro nuove navi («Borzoli», «Multedo», «Albarosa», «Astero») e portò a trisettimanali i viaggi da e per la Libia, aggiungendo rotte per la Tunisia, l’Algeria e il Dodecaneso. Nel 1932 con due nuovi piroscafi («Progresso» e «Risveglio») effettuò il servizio di trasporto di emigranti ebrei in Palestina; nello stesso anno entrarono in linea l’«Audace» e la «Tenace», mentre nasceva anche la società accomandataria ARMA (Agenti raccomandatari marittimi associati) con sede in piazza Fossatello, 2.
In questa stessa fase di costante crescita della società emersero i primi contrasti con il governo italiano in rapporto alle linee da e per la Libia su cui operavano anche compagnie sovvenzionate dallo Stato le quali, secondo il M., violavano la libera concorrenza.
Di fatto si trattò di una difficile battaglia testimoniata da una serie di lettere ufficiose e ufficiali le quali facevano pressione sia sulla Federazione fascista degli armatori, sia direttamente presso il ministero delle Comunicazioni, allora retto da C. Ciano con cui il M. aveva buoni rapporti. Il M., documenti alla mano, accusava società come la Florio, la Compagnia transatlantica di navigazione, il Lloyd triestino (per le nuove linee del Tirreno e per la Grecia), di concorrenza sleale; lo scontro si accentuò, dopo il 1935, in coincidenza con l’apertura di nuove linee per il Mar Rosso e per l’Africa Orientale, dopo la campagna d’Etiopia.
La guerra d’Etiopia permise, comunque, al M. di allargare ulteriormente il proprio raggio d’azione e di mettersi in concorrenza con il Lloyd triestino e la flotta Lauro, grazie all’istituzione di una nuova linea tra Genova e Massaua e all’espediente di trasportare gratis decine di migliaia di colli di posta.
Il M. acquisì, inoltre, terminal anche ad Assab e a Gibuti mentre, a Genova, la società occupava come capolinea operativo di carico e scarico ponte Eritrea, nel nuovo porto di Sampierdarena. In un secondo momento, dopo aver valutato la forte domanda da parte dei coloni dell’Eritrea e della Somalia, desiderosi di rivedere l’Italia, fu anche inaugurato un trasporto passeggeri. Nella circostanza delle sanzioni imposte all’Italia dalla Società delle Nazioni nel novembre 1935, la Ignazio Messina trasportò gratuitamente in Italia un’ingente quantità di rottami metallici raccolti dalle federazioni fasciste della Libia e dell’Africa Orientale; conseguentemente a questa esperienza la ditta si impegnò nel trasferimento dall’Eritrea, a noli ridottissimi, di una merce «povera» come i minerali ferrosi, riuscendo però in seguito ad accaparrarsi anche il trasporto di merci «ricche», ad alto valore aggiunto, come caffè, banane, pellami, spezie e coloniali.
Proseguendo, tra il 1935 e il 1940, il trend positivo per la ditta, questa, alla vigilia della seconda guerra mondiale, contava 17 navi, una direzione composta di una settantina tra impiegati e dirigenti e circa cinquecento marittimi. Un vasto indotto costituito non solo dalle società e dalle agenzie raccomandatarie e di trasporto ma anche da società di riparazioni navali, meccaniche e di carpenteria legava numerosi altri dipendenti alla Ignazio Messina che, tra l’altro, a Tripoli disponeva di un deposito galleggiante di carbone con quaranta impiegati e un centinaio di marittimi. Alla vigilia dell’entrata in guerra la fase di espansione fu completata con l’acquisizione dei CAMED (Cantieri del Mediterraneo di Pietra Ligure con un’appendice sussidiaria a Lussinpiccolo) presso i quali lavoravano trecento addetti.
Vittima di un grave incidente, occorsogli nel giugno 1940, che gli procurò la perdita dell’occhio sinistro, il M., dal 1941-42 al 1945-46, concentrò la sua attività esclusivamente nella gestione dei cantieri di Pietra Ligure.
Pur se talvolta non perfettamente allineato con la politica economica del governo fascista e di idee fondamentalmente liberali (ma anche sensibile al solidarismo cattolico dell’amico e collega A. Costa), nell’immediato dopoguerra (1945) il M. ebbe comunque qualche problema con esponenti del Comitato di liberazione nazionale di Pietra Ligure, peraltro risolti nel giro di pochi mesi. Già nell’agosto 1945, perduta tutta la sua flotta con la sola eccezione della nave «Lido», diede vita a una società impegnata nello sminamento del porto di Genova e riuscì a costruire e a varare un piccolo mercantile «Il Risveglio»; suo principale obiettivo fu comunque quello di riattivare le linee verso il Nordafrica, in particolare per la Libia e la Tunisia. Intenzione del M. era quella di far ripartire velocemente la compagnia attraverso l’acquisizione di alcune navi «Liberty», che il governo degli Stati Uniti aveva messo a disposizione dell’Italia per la ricostruzione, ma i suoi fratelli si opposero e si arrivò a una divisione dell’attività, anche sul piano societario: al M. rimasero due navi e i cantieri.
Tra il 1948 e il 1952 dai cantieri di Pietra Ligure uscirono cinque nuove navi, due delle quali, mercantili più moderni e tecnologicamente avanzati, rimasero però invenduti sul mercato nazionale; il M. riuscì infine a venderli all’Unione Sovietica ma, a causa di un’intervista rilasciata a L’Unità al suo ritorno in Italia, subì un duro boicottaggio – che ebbe conseguenze economiche – sia da parte degli Stati Uniti, per il tramite dell’ambasciatrice in Italia, Clara Boothe Luce, sia, soprattutto, da parte del mondo armatoriale genovese e, in generale, italiano.
Per il gruppo cantieristico-armatoriale del M. gli anni più difficili furono quelli dal 1950 al 1960.
Il mercato puntava al naviglio usato e non era agevole ottenere commesse pubbliche o private per il cantiere, mentre le vecchie rotte del Mediterraneo e dell’Africa non erano ancora redditizie. Alla fine degli anni Cinquanta la direzione, trasferita nella centrale via Petrarca, contava appena 34 addetti, dei quali un solo dirigente e otto impiegati di concetto, e l’azienda soffriva per una endemica crisi di liquidità avendo difficoltà a reperire prestiti dalle banche.
Nel 1958 il M. decise di cedere il cantiere di Pietra Ligure in gestione alla società olandese Val Ommeren, la quale però intendeva sfruttarne la vasta area per realizzare una speculazione edilizia; dopo una lunga causa, infine conclusa con un arbitrato a favore del M., questi, alla fine degli anni Sessanta, cedette l’attività cantieristica in via definitiva. In questi anni erano già entrati nella gestione diretta dell’attività armatoriale i figli del M., nati dal matrimonio (1932) con Rosa Maria Poggi: il primogenito Gianfranco, Giorgio, ingegnere navale e, infine, Paolo, nonché il genero Luigi Maria Gais, marito di Maria Grazia, proveniente dalla Olivetti.
Con una flotta di una dozzina di unità il M. ripartì con le linee per Tripoli e Bengasi, cui si aggiunsero gli scali di Tunisi e Malta; successivamente stabilì rotte regolari per la Grecia, la Turchia e l’Egitto; da questa base poté superare successivamente la soglia di Suez. Furono fissati quindi scali a Tel Aviv e Haifa. Inoltre, aprendo a una rotta e a un traffico del tutto nuovi, la Ignazio Messina strinse un vantaggioso contratto con la multinazionale United Distribution Trading, monopolista dello zucchero, che portò le navi della società nei porti del Venezuela, di Cuba, di Curaçao, delle Canarie con scali conclusivi a Marsiglia e a Genova; infine, grazie a un accordo italo-spagnolo, furono recuperati nuovi traffici di merci varie: pelli grezze, ghisa, cacao, tonno sott’olio. In misura più limitata proseguì anche il trasporto passeggeri.
Dopo un infarto che lo colpì nel 1964, il M., pur continuando a occuparsi della compagnia, delegò più vaste funzioni ai figli e allo staff di dirigenti che lo seguiva da quasi quarant’anni: R. Di Negro, L. Balbi, Arcidiacono.
In questa fase furono allacciate linee con porti del Mar Rosso e del Golfo Persico, poi con quelli del Sudafrica e dell’Australia. Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta la Ignazio Messina si tenne in linea con il processo di evoluzione tecnologica del naviglio mercantile adottando le navi dette «Ro - Ro» e «Lo - Lo» che attraccavano orizzontalmente alla banchina e potevano essere scaricate mediante l’apertura di portelloni. Da questa tipologia si passò rapidamente al sistema dei container con la «Jollyemme» che coprì per prima la rotta tra Genova e Tripoli; nel 1975, con il marchio di riconoscimento «Jolly», la flotta del M. cominciò a percorrere con ritmo settimanale sia le linee dell’Africa occidentale sia quelle del Mar Rosso. La crescita dei traffici (il sistema container riduceva dell’80% le soste nei porti) ampliò l’attività della Ignazio Messina che dal 1974 divenne società per azioni, trasferendo nel 1977 il terminal della società da Genova, oramai insufficiente, alla Spezia (sarebbe tornato a Genova solo nel 1996), mentre gli uffici amministrativi e la direzione, dai primi mesi del 1982, furono sistemati nel nuovo quartiere di via Madre di Dio.
Il M. morì a Genova il 12 ott. 1982.
Fonti e Bibl.: Lettere, documenti, bilanci, ritagli di giornali, fonti iconografiche sono in consultazione a Genova presso l’Archivio della Ignazio Messina spa; si veda anche a Roma presso l’Archivio della Confederazione italiana degli armatori. Vedi inoltre: P. Lingua, I. M., vita di un armatore genovese, Genova 2003; per la storia generale dell’economia genovese nel XIX e XX secolo, cfr. G. Giacchero, Genova e la Liguria nell’Età contemporanea, Genova 1980, e specificamente per la storia di Genova, P. Lingua, Breve storia dei Genovesi, Roma 2001.
P. Lingua