TORREGROSSA, Ignazio
– Nacque a Palermo il 15 settembre 1864 da Giovanni, contabile, e da Eleonora Gaudiano.
Nel 1879 entrò nel seminario arcivescovile di Palermo e, ancora studente, fu incaricato dai superiori di insegnare matematica. Ordinato sacerdote, nell’autunno del 1887 decise di entrare nella Congregazione dei Missionari servi dei poveri, sviluppatasi all’interno dell’associazione mista di sacerdoti e laici Boccone del povero, istituita per iniziativa del sacerdote e medico Giacomo Cusmano allo scopo di destinare «un boccone per ogni pietanza» alla mensa dei poveri.
Nel 1888 fu richiamato in seminario dall’arcivescovo di Palermo, Michelangelo Celesia, per insegnare filosofia. Si adoperò subito – secondo quanto suggerito dall’enciclica Aeterni Patris di Leone XIII – nella diffusione del neotomismo. Animato da questo proposito fondò i periodici La Favilla e Il Tomista. Offrì un’assidua collaborazione all’organo della Congregazione del Boccone del povero La Carità, pubblicato dal 15 agosto 1888, contribuendo con i suoi articoli a porre l’attenzione sulla questione sociale e divenendo presto «l’anello di congiunzione fra la tradizionale forma mentis assistenzialistica e il nuovo impegno sociale» (Sindoni, in La Chiesa di Sicilia, 1994, p. 738).
Nell’anno dell’enciclica Rerum novarum, diede alle stampe il saggio Le scienze sperimentali e la scolastica o la restaurazione filosofica (Palermo 1891). Il lavoro, che raccoglieva alcuni articoli pubblicati nel periodico La Favilla, aveva lo scopo di contribuire a educare il giovane clero agli studi della filosofia di Tommaso d’Aquino, nella quale si potevano ritrovare le «sane dottrine sulla carità», massimo fattore di «vera civiltà» e di «pace sociale».
Nell’aprile del 1892 giunse a Palermo Giuseppe Toniolo invitato da monsignor Vincenzo Di Giovanni a tenere alcune conferenze sul pensiero sociale cristiano. L’incontro spinse Torregrossa, l’avvocato Vincenzo Mangano e monsignor Di Giovanni a fondare il Circolo dei buoni studi, sezione dell’Unione cattolica per gli studi sociali. Dall’8 all’11 ottobre dello stesso anno, su invito di Toniolo, Torregrossa partecipò a Genova al primo congresso cattolico di studi sociali. Nella relazione, dal titolo La carità nell’organismo sociale, trattò il tema del rapporto tra capitale e lavoro, la ‘grande questione’, affrontata, da prospettive divergenti, dai socialisti e dai cattolici. Se la locuzione socialismo cattolico era una «nomea insidiosa» poiché conteneva l’antitesi logica di due parole, l’espressione democrazia cristiana, come avrebbe osservato lo stesso Toniolo, era capace di convertirsi «in una legge di incivilimento, la quale [...] si traduce nella graduale elevazione dei più umili e più numerosi» (Il concetto cristiano della democrazia, in La Carità, novembre-dicembre 1897, p. 163).
I Fasci siciliani dei lavoratori – diffusisi tra il 1892 e il 1893 – divennero ben presto il «banco di prova dei nascenti movimenti socialista e cattolico-sociale» (Sindoni, in La Chiesa di Sicilia, 1994, p. 741). In questo clima, Torregrossa decise di rientrare nell’istituto cusmaniano dove rimase sino al 1894.
Lasciato l’istituto, continuò l’impegno nelle iniziative sociali. Nell’agosto del 1894, insieme a Mangano, fondò la Federazione operaia cattolica, un’iniziativa che, nonostante le difficoltà, contribuì a intensificare l’associazionismo cattolico.
Nell’articolo Per la Camera del lavoro in Palermo, pubblicato negli ultimi mesi del 1895 nella rivista La Carità, Torregrossa difese il sistema corporativo che avrebbe potuto ricomporre la società ed essere l’arma da contrapporre alle cooperative di lavoro proclamate dai socialisti. All’imperfezione della Camera del lavoro, faceva da contraltare la corporazione nella quale «tutti gli elementi di una data arte od industria, o manifattura» si sarebbero potuti riunire. In seguito, ritenendo che le corporazioni non fossero d’immediata realizzazione, cominciò a considerare la cooperazione come una tappa comunque necessaria per raggiungere la corporazione. Un corporativismo che, agli antipodi di quello che sarebbe stato propagandato dal fascismo, non avrebbe soppresso la libertà e l’autonomia dell’organizzazione sindacale.
Nell’articolo Il movimento cattolico in Sicilia, apparso nel 1898 nella rivista di Romolo Murri Cultura sociale, Torregrossa criticò l’idea di intendere il movimento cattolico come un semplice superamento dello stato d’inerzia in cui giaceva la realtà isolana. Bisognava, piuttosto, redigere un programma su basi scientifiche «capace di informare il movimento a criteri pratici e sistematici» (1° aprile 1898, p. 110). L’articolo fu una risposta polemica, condivisa da Murri, a una breve corrispondenza, firmata da Luigi Sturzo con lo pseudonimo Un siciliano, che presentava i circoli e le casse rurali come i mezzi più immediati ed efficaci per fare uscire dal servilismo «la massa agricola». Il confronto fra Torregrossa e Sturzo palesò il «diverso orientamento tra i vari esponenti del giovane e irrequieto movimento democratico cristiano siciliano» (Malgeri, 2002, pp. 57 s.).
Tra i preti democratici cristiani che sostennero con forza l’ipotesi di un partito operaio cattolico, il 13 novembre 1898, in una lettera indirizzata a Murri, non nascondendo il difficile rapporto con i conservatori dell’Opera dei congressi. scrisse: «Mi parli di organizzazione del partito: mi chiami a nozze. È quello che predico da un pezzo, dolente sempre di non essere stato ascoltato dagli amici» (in R. Murri, Carteggio, II, a cura di L. Bedeschi, Roma 1971, pp. 234-238).
Tra il 1895 e il 1903, si impegnò in un’intensa e fattiva collaborazione con riviste e quotidiani siciliani e nazionali: La Sicilia cattolica; Rivista internazionale di scienze sociali; La Patria di Ancona; L’Avvenire d’Italia di Bologna; Cultura sociale, La Vita nova, Il domani d’Italia fondati da Murri; il quotidiano di Lucca L’Esare; Il Popolo italiano, periodico democratico cristiano trasferito nel 1899 da Genova a Torino.
All’inizio del nuovo secolo, ansioso di trovare una conciliazione tra cattolicesimo e correnti filosofiche contemporanee, «dal volontarismo all’intuizionismo», espresse un’adesione entusiastica per la filosofia di Maurice Blondel, e insieme a Murri partecipò ai corsi tenuti a Roma da Antonio Labriola sulla concezione materialistica della storia.
Nella collana della Piccola biblioteca della cultura sociale di Murri, pubblicò Perché sono democratico cristiano (Roma 1900). Nella prefazione Toniolo descriveva il «colto ed operoso professore siciliano» (p. VI) che, senza alcun intento polemico, aveva avuto il merito di testimoniare il desiderio di tornare al «ragionamento speculativo», di definire e utilizzare le «autorevoli sentenze tratte [...] in ispecie dalle Encicliche di Leone XIII e dagli Atti della Santa Sede» (p. X).
Le battaglie del sacerdote apparivano più complesse nella realtà siciliana, una terra nella quale l’inoperosità determinava un maggior pericolo, a detta di Toniolo, di cadere nel fraintendimento e nel sospetto. Torregrossa aveva cercato, con il suo saggio, di rispondere all’urgente esigenza di indicare un nuovo ordine sociale democratico nel quale il compito dello Stato sarebbe stato di promuovere il bene comune e di soddisfare gli interessi degli individui, delle famiglie e delle classi sociali. Una funzione, questa, identificata nelle espressioni tout pour le peuple e tout par le peuple, cioè nell’idea di partecipazione del popolo al governo della cosa pubblica.
Nell’estate del 1900 si presentò alle elezioni generali amministrative per il rinnovo del Consiglio comunale di Palermo. I cattolici eletti avrebbero dovuto impedire le spese eccessive, sollecitare clausole sociali nei contratti di appalto delle opere pubbliche, coordinare la scuola ai veri bisogni della vita, ottenere la sistemazione della rete fognaria. Con questi obiettivi, fu eletto il 4 agosto con 2230 voti, ma restò in carica solo un mese. Alle elezioni amministrative di settembre, dopo lo scioglimento del Consiglio comunale, non fu più rieletto.
Nel gennaio del 1901 l’enciclica Graves de communi re precisò l’ambito della democrazia sociale cristiana ponendo una distinzione tra l’azione dei cattolici a favore del proletariato e le organizzazioni politiche. Al congresso di Taranto il comitato regionale dell’Opera dei congressi incaricò Torregrossa di fondare l’Unione cattolica del lavoro in Sicilia. Il 2 giugno 1901 fu istituita a Palermo la prima sezione con uno statuto avanzato che, recependo le teorizzazioni di Torregrossa e di Mangano, cercò di avviare un sindacato cattolico.
Propugnare il programma sociale della democrazia cristiana significava compiere la più grande opera apologetica del cristianesimo, promuovere l’educazione e l’organizzazione del popolo. Il programma mirava alla realizzazione dell’organizzazione graduale della società in associazioni professionali, corporative, autonome, generali; alla rappresentanza proporzionale dei partiti nei Consigli comunali e nazionali; al referendum e al diritto d’iniziativa popolare; a un largo decentramento amministrativo; a una legislazione efficacemente protettrice del lavoro; alla tutela degli interessi agricoli, delle classi e interessi industriali e commerciali; alla creazione di un ministero del Lavoro e di camere professionali; alla diminuzione progressiva delle spese militari e dei servizi improduttivi della burocrazia amministrativa; a una riforma tributaria conforme alle esigenze di giustizia distributiva; alla repressione dell’usura; alla tutela delle libertà civili e politiche; al disarmo generale e progressivo, all’arbitrato internazionale. Tali punti programmatici rispondevano all’applicazione integrale del cristianesimo, all’espressione dell’autentico concetto di democrazia.
Non tralasciando l’impegno nello studio, nel 1902 Torregrossa pubblicò il saggio – ancora una volta con la prefazione di Toniolo – Discussione etico-sociologica intorno al divorzio promosso dalla Società cattolica italiana per gli studi scientifici. Nel lavoro, riprendendo il tema della difesa dell’indissolubilità del matrimonio affrontato nel 1893 in Il divorzio e il diritto di natura, Torregrossa si avvaleva del metodo sociologico per rispondere alle esigenze del sapere del suo tempo. Dalla famiglia, società perfetta fondata sull’autorità paterna, sull’armonia e sul dovere, dipendeva la stabilità della stessa società, definita «cospirazione» di tutti gli uomini verso lo stesso bene e con concordia di mezzi.
Nel medesimo anno, gli fu mossa un’accusa di modernismo per aver pubblicato sulla rivista Patria (1902, n. 256), l’articolo Cultura religiosa nel quale aveva «citato e lodato» l’ipotesi sull’Esateuco secondo cui la maggior parte delle «sezioni storiche dei primi sei libri [...] contengono sia un elemento divinamente ispirato, e pertanto, dotato di divina certezza, sia un elemento puramente umano e, conseguentemente privo di ogni divina certezza» (Conigliaro, in La Chiesa di Sicilia, 1994, p. 621). Il segretario di Stato di Leone XIII, cardinale Mariano Rampolla del Tindaro, scrisse all’arcivescovo di Palermo per informarlo che l’articolo aveva «rattristato» il pontefice. A seguito della lettera ricevuta, Celesia convocò Torregrossa ottenendo da questi «l’umile sottomissione e la disponibilità a smentirsi per iscritto» (cfr. lettere al cardinale M. Celesia, 11 novembre 1902, e al cardinale M. Rampolla, 16 novembre 1902, in Palermo, Archivio storico diocesano, Corrispondenza, 1902, cit. in Conigliaro, in La Chiesa di Sicilia, 1994, p. 622).
Il 20 luglio 1904 – dieci giorni prima che fosse pubblicato sull’Osservatore romano l’annuncio dello scioglimento dell’Opera dei congressi –, presso la Federazione democratica cristiana, fondata nel 1902, Torregrossa difese la sua ortodossia e ‘modernità’ «come animo sincero per le conquiste moderne» (Commemorando Leone XIII, Palermo 1904, p. 66). Nei due discorsi tenuti il 28 luglio 1903 e il 20 luglio 1904, incaricato di commemorare l’ottavario e l’anniversario della morte di Leone XIII, non mancò di cogliere «la modernità di vedute» del defunto pontefice, il desiderio di «abbattere ogni ostacolo» affinché l’azione della Chiesa potesse penetrare nella vita sociale. Leone XIII era stato il «grande restauratore dell’ordinamento sociale» chiamato a liberare il movimento democratico dai pericoli «che avrebbero potuto arrestare o deviarne il cammino» (ibid., p. 40).
Nel mutato clima della Pascendi dominici gregis (1907) e dell’antimodernismo di Pio X, temendo una sospensione a divinis, Torregrossa preferì ritirarsi dall’azione politica e sociale.
Il 4 novembre 1908, alla presenza dell’arcivescovo di Palermo Alessandro Lualdi, Torregrossa prese possesso della parrocchia palermitana di S. Nicolò da Tolentino. Il nuovo incarico amareggiò quanti ne avevano ammirato l’azione e l’impegno politico-sociale. Ritiratosi ‘in sacrestia’, tornò all’attività di pubblicista due mesi dopo la pubblicazione dei Quattordici punti del presidente Woodrow Wilson. Dinanzi all’«immane brutalità della guerra», in un discorso tenuto il 10 marzo 1918 presso il circolo di cultura, denunciò l’ipocrisia e l’ingenuità paradossale di coloro che avevano parlato di «diritto, di fedeltà ai patti convenuti, di lealtà dei mezzi usati, di pietà per i feriti e per i prigionieri» (La coscienza cristiana e la guerra, Palermo 1918, p. 16).
Morì a Palermo il 18 aprile 1922.
Opere. Oltre a quelle citate, Per la Camera del lavoro in Palermo, a cura del Circolo dei buoni studi, Palermo 1896; Il dovere dell’elemosina, Palermo 1898; Il secolo XIX, Roma 1901; Lettera in data 22 agosto 1918 alla sig.na M. Perez, Palermo 1919; Vincenzo Diliberto. Fra’ Giuseppe da Palermo, cappuccino. Miei ricordi, Palermo 1921.
Fonti e Bibl.: L’attività di Torregrossa è in buona parte desumibile dai numerosi articoli pubblicati sui giornali ai quali collaborò e dalla corrispondenza con i principali protagonisti della storia del movimento cattolico tra Otto e Novecento. Si vedano, per esempio, l’Archivio Luigi Sturzo di Roma (I Sezione - Corrispondenza [1890-1950], Prima parte [1891-1924]), l’Archivio Romolo Murri - Fondazione Romolo Murri - Centro studi per la storia del modernismo Università di Urbino (Corrispondenza relativa alla rivista Cultura sociale, alla Società italiana cattolica di cultura, al giornale Domani d’Italia, corrispondenza di varia natura [1898-1908]), l’Archivio storico diocesano di Palermo (corrispondenza dell’arcivescovo Michelangelo Celesia [1886-1903]).
A. Frappani, Pionieri d’azione sociale (profili di sacerdoti), Roma 1960, pp. 186-191; L. Bedeschi, I pionieri della DC, Milano 1966, pp. 645-666; E. Guccione, Ideologia e politica dei cattolici siciliani, da Vito d’Ondes Reggio a Luigi Sturzo, Palermo 1974, pp. 83-92; Id., Ordine sociale e democrazia in I. T., in La presenza della Sicilia nella cultura degli ultimi cento anni, Palermo 1977, pp. 170-201; A. Sindoni, T. I., in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, diretto da F. Traniello - G. Campanini, II, I protagonisti, Casale Monferrato 1982, pp. 644-647; La Chiesa di Sicilia dal Vaticano I al Vaticano II, II, prefazione di G. De Rosa, a cura di F. Flores d’Arcais, Caltanissetta-Roma 1994 (in partic. F. Conigliaro, Teologia e teologi di Sicilia, pp. 620-623; A. Sindoni, Il movimento cattolico sociale dal Concilio Vaticano I al Vaticano II, pp. 731-791); C. Giurintano, I. T., carità cristiana e giustizia sociale, Torino 1996; F. Conigliaro, Un secolo di teologia in Sicilia. Cultura ecclesiastica e teologi siciliani tra i due Concili Vaticani, San Cataldo 1998, pp. 644-647; M.T. Falzone, Da questo vi riconosceranno. Chiesa e poveri in Sicilia in età contemporanea, Caltanissetta-Roma 2000, pp. 132-137; F. Malgeri, Cattolici, cultura e politica nella Sicilia contemporanea, Caltanissetta-Roma 2002, pp. 55-59, 61-63 e ss.; C. Giurintano, T. I., in Dizionario enciclopedico dei pensatori e dei teologi di Sicilia, secc. XIX e XX, a cura di F. Armetta, Caltanissetta-Roma 2010, pp. 3125-3132.