II re costruttore: l'immagine del sovrano e le sue opere
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nella cultura mesopotamica, la figura del sovrano costruttore ha una lunga tradizione che risale ai tempi più antichi. Non solo le iscrizioni celebrano le opere costruite dal re e quindi la sua attività edilizia, ma lo stesso sovrano si fa rappresentare come colui che compie l’atto di costruire o di celebrare le sue costruzioni: templi in onore della divinità e opere pubbliche per un miglior funzionamento del proprio paese.
Il sovrano mesopotamico è impegnato sia in azioni di conquista sia nel promuovere la costruzione di monumenti che consentano la perpetuazione, di fronte alle divinità e ai posteri, delle sue gesta.
Oltre all’impegno militare, con operazioni di difesa del territorio urbano da un lato, e di espansione e conquista di nuove regioni ricche di materie prime dall’altro, i re della Mesopotamia si prodigano in opere pubbliche che servono a mantenere prospero il loro paese. L’operato del sovrano mesopotamico presenta una stretta interconnessione tra le azioni di conquista di paesi e città lontane ricche di materie prime e l’impiego di tali risorse nella costruzione di opere pubbliche.
I re sono tali per volere divino e hanno il compito di gestire la città, garantirne la sicurezza, la forza e la buona amministrazione: tra questi, la cura del territorio è un aspetto fondamentale. Gli edifici e le opere dei sovrani predecessori hanno costantemente bisogno di periodici restauri perché l’opera non cada in rovina e il nome di colui che l’ha fatta costruire non si perda nell’oblio: un’attività che spesso le stesse iscrizioni apposte sui chiodi e sui mattoni di fondazione dell’edificio esplicitamente reclamano, invocando maledizioni per i re futuri che non se ne facessero carico. La caduta in rovina di una città, degli edifici e dei monumenti che ivi sono eretti è un pensiero che preoccupa tutti i sovrani della Mesopotamia, dai periodi più antichi fino all’età neoassira nel I millennio a.C. I testi che narrano della decadenza di una città (come ad esempio le composizioni poetiche sulla distruzione e maledizione della città di Akkad) enfatizzano il disfacimento dei monumenti, che si polverizzano e si trasformano in cumuli di macerie abbandonate e dimenticate, cancellando i nomi dei sovrani e di tutto quello che questi hanno compiuto. Per questo motivo, ogni qual volta un sovrano si accinge a restaurare un edificio si preoccupa di recuperare il lavoro di quanti lo hanno preceduto, rinnovandone l’antico splendore: nell’età neobabilonese (VI-V sec. a.C.), i nuovi sovrani di Babilonia si fanno promotori di una serie di interventi di restauro e rifacimento dei monumenti più antichi con lo scopo di riscoprire le fasi più antiche degli edifici ed identificare (tramite i chiodi ed i mattoni di fondazione) i nomi di coloro che hanno contribuito alla grandezza di Babilonia con la costruzione di opere magnificenti nel corso dei secoli.
Il testo della Lista reale sumerica, nella sezione che narra la discesa della regalità dal cielo sulla terra prima dell’evento del diluvio, ricorda che le divinità scelgono la sede terrena del potere regio affidando ad una dinastia di sovrani il compito di gestirlo. Nella sezione post-diluviana del medesimo componimento, il passaggio della regalità da una città all’altra non avviene più per volontà divina, ma tramite l’uso delle armi: la guerra è l’elemento umano tramite il quale un sovrano riesce a sconfiggere un rivale e ad impossessarsi della regalità trasferendola nella propria città per espanderla poi oltre i confini urbani. Ogni azione bellica avviene con il consenso delle divinità che di fatto sono la guida e la garanzia della riuscita dell’azione militare intrapresa da un sovrano. Il re erige templi in onore di quelle divinità che gli hanno consegnato lo scettro del potere e grazie alle quali egli può continuare a espletare la funzione di governante sulla città e sul territorio che conquista.
I sovrani non si limitano ad un’autocelebrazione come costruttori nelle iscrizioni a corredo della effettiva realizzazione della costruzione, ma si rappresentano fisicamente come tali: è il caso del re Urnanshe, fondatore della dinastia che regna a Lagash nel periodo protodinastico (metà del III millennio a.C.), che, in una placchetta quadrangolare, forata al centro, è rappresentato con un cesto di mattoni sulla testa. Questa iconografia viene ripresa dai sovrani assiri del I millennio a.C., come mostra una piccola stele con l’immagine del re Assurbanipal che sorregge il cesto di mattoni.
L’immagine non è meramente simbolica: è la testimonianza di quanto il sovrano ha effettivamente compiuto.
In età neosumerica, alla fine del III millennio a.C., il sovrano Gudea di Lagash (re dal 2143 al 2124 a.C. ca.) ha lasciato, a testimonianza della sua opera edilizia, una serie di statue in dolerite. Una lunga iscrizione in sumerico, incisa sul corpo delle statue, enumera le doti del sovrano, i suoi progetti di costruzione di templi per Ningirsu, la divinità poliade, e la richiesta della benevolenza di questi per il suo regno ed il suo operato. Di Gudea non sono note celebrazioni di vittorie militari, ma le sue iscrizioni enfatizzano invece la sua attività di re costruttore, in particolare di monumentali edifici templari.
Una sua statua lo ritrae seduto con la pianta di un tempio appoggiata sulle ginocchia. La planimetria, con l’indicazione delle misure della struttura, costituisce un dato archeologico ed architettonico di notevole interesse (motivo per cui il monumento è stato definito la statua di “Gudea l’architetto”). L’immagine del re costruttore – che proprio in quel tempio di cui mostra la pianta è ospitata, accanto al simulacro del dio – diventa parte del programma di promozione e conservazione dell’operato regale di fronte alle divinità.
Sempre in età neosumerica, il sovrano Urnamma (re dal 2112 al 2095 a.C. ca.), fondatore della III Dinastia di Ur, fa scolpire una stele sulla quale egli è raffigurato come il sovrano costruttore che porta e maneggia gli strumenti da carpentiere per la costruzione dell’edificio sacro dedicato alla divinità lunare Nanna e del canale per l’irrigazione e la messa in sicurezza delle acque della città di Ur.
Uno dei vanti e dei compiti più importanti del sovrano mesopotamico, così come Urnamma espressamente dice e raffigura, è lo scavo di nuovi canali per l’irrigazione e il mantenimento in buono stato dei vecchi. Questi canali, costruiti perpendicolarmente alle due grandi arterie d’acqua della Mesopotamia (il Tigri e l’Eufrate), consentono una facile irrigazione dei campi, disposti a pettine lungo i corsi d’acqua: in una zona dove la piovosità è scarsissima, l’acqua è una risorsa di primaria importanza e garantire l’accesso ad essa per la coltivazione delle terre è uno dei compiti principali del sovrano mesopotamico, che così scongiura il degrado, l’abbandono e la rovina. Una controversia che ha coinvolto le città di Lagash ed Umma per più di una generazione è originata dal controllo del canale Guedenna, preziosa fonte d’approvvigionamento d’acqua che segnava la linea di confine tra le due città.
Inspirato da Enki/Ea, dio della saggezza e signore delle acque dolci sotterranee, il sovrano mesopotamico compie le sue buone azioni di costruire e conservare la città ed il paesaggio che egli ha ricevuto per dono divino, mantenendo e garantendo il buon funzionamento del territorio. La negligenza dei re può trasformare nel corso del tempo lo splendore della città in un cumulo di mattoni disfatti e la rigogliosità del territorio in un deserto, cancellando il ricordo di chi ha operato per la propria gloria e il bene del suo popolo.