IKTINOS
(᾿Ικτιᾒνος, Ictinus). − Architetto greco, attivo intorno al terzo venticinquennio del V sec. a. C. Le fonti antiche ci dicono che partecipò ai lavori del Partenone, del Telesterion di Eleusi e del tempio di Apollo Epikoùrios a Bassae. Riguardo al Partenone, Strabone (ix, 395-396) dice che il tempio fu fatto da I.; Plutarco (Per., 13) dice che Fidia soprintendeva a tutti i lavori voluti da Pericle, avendo alle sue dipendenze grandi architetti e tecnici (παᾒντων ε½πιᾒσκοπος) e che il Partenone fu costruito da Kallikrates e da I.; Vitruvio (vii, Pr. 16) dice che intorno al Partenone scrissero un trattato I. e Karpion. Riguardo al Telesterion di Eleusi Strabone (ix, 395) attribuisce la costruzione ad I.; Vitruvio ricorda ugualmente I. (Gereris et Proserpinae cellam immani magnitudine Ictinos dorico more, sine exterioribus columnis, ad laxamentum usus sacrificiorum, pertexit), mentre Plutarco (Per., 13) nomina Koroibos, Metagenes e Xenokles, e non Iktinos. Sul tempio di Apollo Epikoùrios ci informa più particolareggiatamente Pausania (viii, 41, 5), che lo ammira per la bellezza della pietra e per l'armonia, mettendolo per queste qualità al secondo posto fra tutti i templi del Peloponneso, dopo quello di Tegea, e dicendone autore l'architetto I. vissuto ad Atene al tempo di Pericle e costruttore del Partenone. Pausania spiega l'epiteto di Epikoùrios del dio in relazione alla liberazione dalla pestilenza che infierì all'inizio della guerra del Peloponneso e per cui Apollo ricevette in Atene l'epiteto di Alexìkakos.
Nonostante che tutti e tre questi monumenti siano in gran parte conservati, e nonostante queste indicazioni delle fonti, non è facile ricostruire la personalità di questo architetto e definirne i caratteri, perché, tanto i monumenti, quanto le fonti, presentano diversi problemi e varî punti interrogativi.
Riguardo al Partenone bisogna chiedersi anzitutto quale parte vi ebbe Kallikrates. Poiché Vitruvio ci dice che I. scrisse un trattato sul Partenone sembrerebbe logico pensare che egli sia stato il vero creatore del tempio, l'ideatore del relativo progetto, e allora si è congetturato che Kallikrates a suo fianco, nonostante fosse anch'egli architetto, avesse piuttosto la funzione di direttore tecnico dei lavori, mentre Karpion, ricordato da Vitruvio come autore di un volume sul Partenone, potrebbe essere semplicemente un mustratore dell'opera di I., non sappiamo di quale tempo, se contemporaneo o posteriore, pur non potendo escludere la possibilità che avesse addirittura collaborato alla stesura del trattato di I. stesso. Ma anche ammettendo che I. sia stato il progettista e il creatore dell'architettura del Partenone, non si può prescindere dal chiedersi se e quanto in questa concezione del grandioso tempio abbia influito la personalità di Fidia, che tutto dirigeva. È chiaro che la pianta del Partenone in tutti gli elementi che l'allontanano da quella più tradizionale e canonica dell'ordine dorico (con la facciata ottastila, lo sfalsamento nell'allineamento degli assi delle colonne del pronao e dell'opistodomo con quelle della peristasi, il restringimento dell'ambulacro, l'ampiezza del vano della cella), come nelle più salienti innovazioni (quali l'inserimento del fregio figurato, la totale decorazione plastica delle novantadue metope) tradisce l'esigenza di adeguarsi alla funzione di accogliere organicamente il colossale àgalma crisoelefantino di Atena Parthènos e di celebrare la dea, i miti attici, i fasti ateniesi. L'architettura appare cioè strettamente legata al programma decorativo e il tempio è qui, oltre che mirabile e ricco prospetto esterno, secondo la tradizione, anche un vasto spazio interno per il simulacro. Fidia non fu certamente estraneo in queste sostanziali e significative trasformazioni della concezione architettonica templare, anche se non potremo mai definire con precisione la sua responsabilità e il suo diretto intervento nella progettazione del Partenone, e se spetti invece ad I. l'aver saputo interpretare e tradurre in termini architettonici i suggerimenti eventuali dell'epìskopos.
Comunque se per questi elementi si può pensare al frutto di una stretta e felice collaborazione fra l'artista sommo e il geniale architetto, alla personalità di I. possiamo attribuire l'armonia, la raffinatezza, la perfezione tecnica del tempio; l'intelligente sfruttamento dello stereobàtes in pòros del Partenone prepersiano, con l'arretramento del nuovo stylobàtes verso N per un più solido appoggio alla roccia; l'oculato reimpiego di alcuni rocchi di colonne e di blocchi; il sottile calcolo delle curvature paraboliche dello stylobàtes marmoreo che, trasmettendosi organicamente alla trabeazione e ai frontoni, imprimono, insieme all'inclinazione delle colonne e dei muri della cella, una dinamica elasticità alla struttura; la soluzione della contrazione angolare del fregio dorico con il restringimento dell'intercolumnio terminale e quello appena sensibile delle metope a partire da quella maggiore centrale, quasi interpretando questo problema tecnico con sensibilità prospettiva; l'originale dorizzazione dello zoophòros di tradizione attico-ionica con le regulae e le guttae che ne scandiscono l'orlo inferiore come un triglýphion; l'impiego delle alte colonne ioniche per coprire il vano del tesoro della dea detto Parthenòn: la sapiente differenziazione dei lacunari a sottolineare le partizioni diverse del soffitto del pronao e dell'opistodomo, e l'unitaria stesura di quello dei due lunghi e stretti ambulacri laterali; il leggero infossamento del pavimento della cella per far risaltare quasi come su un sottile stylobàtes le colonne doriche del peristilio circondante l'àgalma su tre lati; la terminazione del risvolto della sima dei frontoni sui lati con la plastica testa leonina; l'inserzione di una falsa antefissa fra quelle terminali dei coppi marmorei per un più ricco e armonico coronamento dei lati lunghi del tetto.
A tutte queste particolarità architettoniche e struttive che rivelano la complessità e l'originalità di concezione, si unisce la singolarità della pianta stessa in cui l'architetto ha saputo interpretare particolari esigenze di tradizioni e di culto, con l'inserzione del thesauròs, con la ripetizione nella cella delle misure dell'antico Hekatòmpedon.
Il tempio di Apollo Epikoùrios è stato a lungo noto soltanto attraverso i disegni e gli studî ricostruttivi dello Haller e del Cockerell e ritenuto, in genere, secondo la testimonianza di Pausania, opera postpartenonica di Iktinos. Una accurata revisione del monumento fatta dal Dinsmoor vi ha riscontrato elementi di carattere più antico della seconda metà del V sec. a. C. e di modificazioni del progetto originario. Carattere arcaico avrebbe l'uso di colonne di cm 4 più grosse nel diametro sulla facciata N, con capitelli più larghi e più alti, sebbene l'altezza della peristasi resti complessivamente uguale sui quattro lati. A una fase originaria del progetto non attuato del tempio sarebbe inoltre da attribuire un capitello ionico di calcare trovato sepolto vicino alle fondazioni del tempio negli scavi del 1908. Anche i blocchi del fregio marmoreo con centauromachia e amazzonomachia presentando in parte alcuni tagli per ridurne la lunghezza cosicché, per esempio, qualche coda di centauro risulta mozzata, farebbero pensare o a un errato calcolo nelle misure dei blocchi lavorati in ergastèrion, e adattati nel montaggio, o a una modificazione nella stesura originaria del fregio progettata nella prima fase. W. Hahland ha creduto di poter ricostruire senza altro una prima fase del tempio con il cosiddetto àdyton in posizione normale, cioè senza la porta di accesso dalla peristasi a E con diretta comunicazione assiale con la cella per mezzo di una porta al posto della colonna corinzia della seconda fase; in questo primo progetto non solo dunque non vi sarebbe stato questo singolare elemento della colonna corinzia, ma anche le due semicolonne angolari che l'inquadrano sarabbero state collegate ai muri della cella, non con tratti di muro obliqui, ma normali alle pareti. Questa prima fase sarebbe pertanto da attribuire ad I. secondo lo Hahland, mentre dopo la morte di questo architetto un successore più giovane ne avrebbe modificato il progetto introducendo la colonna corinzia, facendo oblique le colonne angolari, cambiando l'orientamento dell'àdyton; e questi mutamenti nella costruzione avrebbero portato anche al rimaneggiamento dei blocchi del fregio, specialmente in relazione alla sostituzione della colonna corinzia alla porta di accesso all'àdyton. Il Riemann ha messo in evidenza una dipendenza della pianta da quella del tempio di Apollo a Delfi degli Alcmeonidi, nel numero delle colonne, nelle proporzioni, nell'allungamento della cella, nella presenza dell'àdyton, riscontrando nel tempio una fusione di elementi arcaici e classici, e mentre attribuirebbe i capitelli ionici a I., rimane incerto se a lui stesso debba assegnarsi anche l'introduzione dell'ordine corinzio che richiama un periodo più recente, verso la fine del V sec. a. C.
Di fronte a queste fasi e a queste modificazioni nella costruzione del tempio rimane dunque problematico individuare l'opera di I. a Bassae, ma si può comunque dire che il progetto originario da attribuire a questo architetto rivela anzitutto, come nel Partenone, una geniale formulazione nella pianta, adeguandosi a esigenze di culto e di tradizione, con un intenzionale richiamo al famoso santuario delfico, con un orientamento forse dettato da quello di un preesistente sacello. Come nel Partenone vi troviamo unito l'ordine dorico esterno a quello ionico interno con l'originale motivo delle semicolonne che, incorporate ai brevi tratti di muro, lasciano più largo spazio alla cella e creano nicchie laterali per oggetti votivi che animavano e arricchivano la visione della camera del dio. Come nel Partenone il pavimento della cella definito dalle colonne è leggermente incassato, non per creare un impluvio, come pensavano quelli che ricostruivano la cella ipetrale, ma per dare maggiore spicco al colonnato. Non si può inoltre non attribuire al progetto originario di I. anche il fregio figurato interno, collegato intimamente al colonnato ionico e che non può non esser messo accanto a quello panatenaico, pur nella significativa diversità fra quello mitologico nell'interno della cella di Apollo, concepito come abbellimento del vano destinato ad accogliere il dio, e quello celebrante i fasti ateniesi esposto all'esterno della cella. Il capitello ionico in calcare, rimanendo isolato, potrebbe rappresentare un modello, o un primo progetto non attuato, ma quello marmoreo realizzato sembrerebbe verisimile attribuirlo ugualmente alla creazione dell'architetto ideatore del progetto e mostra una particolare originalità nella alta e larga curvatura che unisce le due volute e che, come ha dimostrato il Dinsmoor, determina la soppressione dell'abaco. Non meno singolare risulta la base ampia, dettata dalla particolare funzione di raccordo con il muro a cui si addossa la semicolonna. Rimane invece un problema aperto se l'introduzione della colonna corinzia isolata, e, come ha dimostrato il Dinsmoor, dei due capitelli corinzî anche sulle colonne angolari che l'inquadrano, ritenute in genere erroneamente ioniche, siano frutto di una successiva elaborazione dello stesso I. oppure di un più giovane successore dopo le esperienze callimachee. La ricostruzione del capitello corinzio attraverso i disegni dello Haller, del Cockerell, del Wotschitzky, del Roux lascia ancora varie incertezze, ma sembra che l'elemento fondamentale dell'acanto che decora il kàlathos costituisca una corona di venti foglie, pari cioè al numero delle scanalature della colonna, su due piani, di cui uno più arretrato, da cui si innalzavano due volute con palmetta intermedia e foglie angolari. Ma anche accettando gli elementi più sicuri della ricostruzione, rimane aperto il problema del rapporto con la creazione del capitello corinzio che le fonti attribuiscono a Kallimachos, mentre non è mancato chi, come il Weickert e il Riemann, ha pensato che Fidia avesse già dato una originale formulazione di capitello corinzio nella colonna che si ricostruisce in funzione di sostegno della mano protesa con la Nike nella statua della Parthènos, con un influsso sia su Kallimachos sia sull'architetto di Bassae. Ma non si esce dal campo delle ipotesi e la datazione dell'esemplare di Bassae sfugge a una sicura precisazione, impedendo di stabilire se debba essere considerato in rapporto con una possibile attività di I. oppure esorbiti già dai limiti cronologici di questo architetto.
La mancanza delle curvature dello stylobàtes, dell'inclinazione delle colonne, il diametro maggiore delle sei della facciata, farebbero pensare a una progettazione del tempio in un periodo anteriore a quella del Partenone, ma è indubbio che il fregio ionico rivela uno stile manieristico postpartenonico che presuppone un completamento del tempio nel quarto venticinquennio del V secolo. Il Dinsmoor ha fatto l'ipotesi che I. fosse, come Kolotes, un nativo di Elea, e fosse stato chiamato da Fidia per le modificazioni apportate alla cella del tempio di Zeus per alloggiarvi il colosso crisoelefantino che sarebbe stato dedicato nel 448; dopo Olimpia I. avrebbe iniziato i lavori del tempio di Bassae verso il 45o; questi si sarebbero trascinati a lungo per il trasferimento dell'architetto ad Atene nel 447 ai lavori del Partenone, cosicché il tempio di Apollo sarebbe stato completato soltanto verso il 425. Il Weickert invece, ponendo l'attività di Fidia ad Olimpia dopo il Partenone e dopo il processo, pensa alla possibilità di una venuta di I. nel Peloponneso insieme con Fidia, dove a Bassae avrebbe trasformato i modi peloponnesiaci e un po' provinciali dorici con elementi nuovi. Più evanescente rimane infine la partecipazione di I. nella costruzione del grande Telestenon di Eleusi, perché il suo progetto non fu eseguito e si ricava soltanto da pochi indizî: una probabile pianta quadrata con venti colonne distribuite cinque in larghezza e quattro in profondità, di cui rimangono fondazioni nella metà sinistra della sala, con opàion centrale. Rispetto al progetto definitivamente trasformato, forse da Metagenes, con sette file di sei colonne, quello di I. sembrerebbe dunque con una maggiore spazieggiatura interna.
Una falsa interpretazione di alcuni versi di Ausonio (Mosella, 309-310) gli aveva attribuito erroneamente la miracolosa civetta sull'Acropoli (γλαυᾖξ ε½ν ποᾒλει), perché cui va riferito a in arce e non ad I., mentre vi troviamo riconfermata la fama di I., considerato, quale costruttore del Partenone, fra i sette più grandi architetti greci attraverso l'eco di Catone e di Varrone.
Il Riemann considera I. una molteplice personalità di un periodo di transizione, ancorata alla tradizione tardo-arcaica ma che sa fondere il vecchio con il nuovo, con varie combinazioni che non aprono però nuove vie. Dalla varia e incerta tradizione letteraria e monumentale gli elementi più sicuramente attribuibili a I. sembrerebbero comunque caratterizzarlo come un temperamento duttile, mobile, che sa trovare geniali soluzioni a particolari problemi di culto, d'impianto, di decorazione, particolarmente sensibile agli effetti ottici e prospettici che, mentre dà una raffinatezza nuova e una elaborata eleganza all'ordine dorico, ravviva l'architettura templare tradizionale con introduzione dell'elemento ionico del fregio, delle colonne, delle semicolonne con una concezione più preziosistica e ricca dello spazio interno. Il tempio greco che era stato soprattutto mirabile armonia esterna, diventando la sede di grandiosi e meravigliosi simulacri, giunge nella geniale interpretazione di questo architetto a nuovi effetti interni.
Bibl.: H. Brunn, Geschichte der griech. Künstler, II, Stoccarda 1889, pp. 327, 365; E. Fabricius, in Pauly-Wissowa, IX, 1916, cc. 995-996, s. v.; C. Weickert, in Thieme-Becker, XVIII, 1925, pp. 560-566; W. Dinsmoor, The Temple of Apollo at Bassae, in Metropolitan Museum Studies, IV, 1932-1933, p. 204-227; A. Wotschitzky, Zum korinthischen Kapitell im Apollontempel zu Bassae, in Öesterr. Jahreshefte, XXXVII, 1948, pp. 53-80; W. Hahland, Der iktinische Entwurf des Apollontempels in Bassae, in Jahrbuch, LXIII-LXIV, 1948-49, pp. 14-30; W. Dinsmoor, The Architecture of Ancient Greece, 3 ed., Londra 1950, p. 148 ss.; C. Weickert, Studien zur Kunstgeschichte des 5. Jahrh. v. Ch., II, ῎Εργα Περικλεᾒους, in Abhandl. Deut. Akad. der Wissensch., 1950, I, p. 22; G. Roux, Deux études d'archéologie péloponnésienne, in Bull. Corr. Hell., LXXVII, 1953, pp. 116-138; H. Riemann, Iktinos und der Tempel von Bassai, in Festschrift für Friedrich Zucker zum 70. Geburtstage, Berlino 1954, pp. 299-339; F. Eckstein, Iktinos, der Baumeister des Apollontempels von Phigalia-Bassai, in ΘΕΩΡΙΑ, Festschrift für W. H. Schuchhardt, Baden-Baden 1960, pp. 55-62.