Il 311: l’editto di Serdica
Per la politica interna dell’Impero romano e per il ruolo che il cristianesimo assume all’interno di questa realtà statuale, gli anni 310 e 311 rappresentano una cesura significativa che è messa in luce in particolar modo dall’editto di tolleranza dell’imperatore Galerio.
Nel 310 i rapporti di potere assumono una nuova configurazione, che apre la strada agli eventi del 3121. All’inizio del 310, Costantino riesce a consolidare il proprio potere, avendo messo fuori gioco il concorrente Massimiano, che, dopo avere tentato un colpo di Stato nella Gallia meridionale, infine si toglie la vita2 al termine della primavera dello stesso anno.
A partire da questo momento, nell’Impero il potere è suddiviso tra quattro imperatori – Costantino, Licinio, Galerio e Massimino Daia – e un usurpatore, Massenzio. Nell’aprile del 311 Galerio fa pubblicare il suo famoso editto di tolleranza.
Fra le fonti letterarie di cui si dispone per tale periodo, si è informati soltanto dagli autori cristiani – in particolare dagli scrittori Lattanzio ed Eusebio di Cesarea – sulle misure concernenti i cristiani, con la conseguenza che spesso non è possibile verificare l’esattezza delle loro affermazioni.
Mancano, viceversa, resoconti tramandati da autori pagani, come, per fare degli esempi, quello di Tacito sulla persecuzione dei cristiani per iniziativa di Nerone3, o quello di Plinio il Giovane, che indirizza a Traiano una lettera riguardante i cristiani di Bitinia4.
La situazione dei cristiani nelle singole aree dell’Impero prima dell’editto di tolleranza di Galerio
Alla fine del 310, la condizione dei cristiani nelle diverse aree dell’Impero si presenta molto differenziata. Nell’anno 303, Diocleziano e Galerio avevano dato avvio a una grande persecuzione anticristiana, portata avanti in modi assai diversi nelle varie parti dell’Impero. Dove comandano Galerio e Massimino Daia, essa si protrae per svariato tempo, come del resto probabilmente nelle aree soggette all’Augusto Licinio5: non si è tuttavia informati sulle modalità della sua attuazione. La situazione è invece molto differente nelle aree governate da Costantino e dall’usurpatore Massenzio. In quella sottoposta a Costantino, le misure contro i cristiani, adottate da Diocleziano nel 303, sono ignorate e sin dal principio non erano state mai applicate integralmente6. Costanzo Cloro, il padre di Costantino, aveva preso parte alle persecuzioni dei cristiani scatenate in tutto l’Impero, ma si era limitato a imporre il divieto del culto cristiano e a distruggere i luoghi in cui i cristiani erano soliti radunarsi. Aveva rinunciato alle condanne a morte e alle confische, contrariamente a ciò che usualmente capitava nelle aree amministrate dagli altri imperatori7. Dopo avere assunto il potere nel luglio del 306, Costantino concede immediatamente ai cristiani la libertà di professare la propria religione. Consente loro probabilmente non solo di riunirsi, ma anche di ricostruire i luoghi di culto distrutti8. In questo modo, nell’area di sua pertinenza, il cristianesimo ritorna a essere una religio licita9. Fino alla vittoria contro Massenzio, il 13 ottobre 312, Costantino non dichiara pubblicamente di essersi posto sotto la protezione del Dio dei cristiani, né promuove in modo particolare il cristianesimo10. Fa piuttosto annunciare pubblicamente il suo legame speciale con Apollo e il Sol Invictus. Analogamente a Costantino, anche Massenzio, ben prima dell’editto di Galerio, modifica la propria politica verso i cristiani11, che rinuncia a perseguitare già negli anni 308-30912. Probabilmente a quella data, o forse nel 311, dispone inoltre la restituzione dei beni sequestrati ai cristiani13, andando così addirittura oltre le concessioni che Galerio farà più tardi nel proprio editto. Per Roma, questa restituzione si realizza certamente a partire dal 311: i disordini14 scoppiati in città attorno al trono episcopale, che sfociano in rivolte di strada e finiscono con il bando dei tre vescovi (Marcello, Eusebio ed Eraclio), non permettono di collocare tale evento prima di quella data.
Nella primavera del 310, o all’inizio dell’estate di quell’anno, Costantino si trova a marciare lungo il Reno: è di ritorno dalla Gallia meridionale e ha domato l’usurpazione di Massimiano. Ligio ai comandi della Fortuna (ordinante Fortuna), devia dalla strada principale e si trova dinanzi a un santuario15, dove vede Apollo, che, accompagnato dalla dea Victoria, gli consegna corone d’alloro con immagini di vota16. Il dio compare davanti a Costantino: lui solo è in grado di coglierne la presenza, quantunque visioni e apparizioni si prestino a collegarsi anche con l’idea di una percezione non individuale, che interessa più di una persona o persino molte persone. Agli avvenimenti capitati al sovrano fa riferimento unicamente il panegirico tenuto con ogni probabilità a Treviri, nell’agosto del 31017. Per Costantino si tratta del primo incontro con il divino, di cui si abbia notizia. L’autore del panegirico colloca l’incontro con Apollo in un luogo concreto dedicato a questo dio (templum), che tuttavia per ragioni di ordine stilistico non menziona. Si è soliti ritenere che si tratti del santuario di Grand18. L’oratore, nel nominare il dio e nell’alludere a un suo santuario, pone Costantino in stretta relazione con le idee pagane. Nei successivi panegirici rivolti all’imperatore, non si riscontra più una connessione con un dio pagano tanto univoca, ma solo un insieme di concetti vaghi, non accompagnati da alcuna precisa menzione di un dio in particolare19, e ciò vale per tutti i panegirici20. Apparizioni sotto forma di visioni, sogni, incontri personali con le divinità, o altri segni visibili a molti non sono inusuali nella tarda antichità e si ritrovano sia presso i cristiani sia presso i pagani21. Nel caso di Costantino, la quantità di testimonianze22 relative ad apparizioni di questo tipo è molto maggiore rispetto a quella concernente altri imperatori, sebbene la documentazione di cui attualmente si dispone sia probabilmente ancora incompleta23.
L’oratore non stabilisce alcuna identificazione tra Apollo e il Sol Invictus, diversamente da quel che accade di frequente24. La ricerca moderna, tuttavia, solitamente la ipotizza anche per questo passo25, rendendo così possibile far rientrare l’incontro con Apollo nella peculiare e ben documentata relazione di Costantino con il Sol Invictus26. Resta dubbio se l’incontro con Apollo, qui indicato come deus praesens, costituisca o no per Costantino l’avvio di un orientamento politico-religioso completamente nuovo, se cioè si tratti, come usualmente si suppone, di un allontanamento dagli dei della tetrarchia27. Indubbiamente sono molti gli aspetti propri di tale incontro, che dunque è variamente interpretato28.
La consegna delle ghirlande d’alloro con le rappresentazioni di vota richiama l’idea di una lunga vita da dominatore vittorioso. Tra Costantino e Apollo si ha una sorta di coincidenza, visto che l’imperatore si riconosce nel dio (in illius specie). Pertanto è possibile intendere tanto l’imperatore quanto il dio come colui cui spetta – così annuncia l’autore – il dominio su tutto il mondo (totius mundi regna). L’affermazione rimane indefinita e si presta quindi a essere interpretata in modi differenti. In ogni caso, l’incontro con Apollo rivela che gli dei nutrono un grande interesse per Costantino e il suo potere, che è e sarà legato alla vittoria29. Qui il riferimento ai poeti è talora interpretato in relazione al fatto che Costantino sarà il nuovo Augusto annunciato da Virgilio. Tra gli studiosi, l’autenticità storica di questo incontro rimane controversa. Si è avanzata per esempio l’ipotesi che si tratti di una invenzione riconducibile alla sfera della politica, di una finzione letteraria ideata dall’autore del panegirico o di una messa in scena operata dai sacerdoti del tempio. Per ragioni metodologiche, è impossibile proporre una soluzione a tale questione30. Certo è comunque che la scena raccontata non può assolutamente andare contro le intenzioni di Costantino, anzi, essa deve al contrario avere corrisposto a quelli che erano i suoi fini. Tale scena, inoltre, è messa in relazione con altri eventi simili. Qui gioca un ruolo di primo piano31 l’idea che l’apparizione di Apollo costituisca il modello di riferimento per la prima visione cristiana di Costantino, raccontata in Eusebio e collocata nel 31132. Di recente la visione eusebiana è stata interpretata, per esempio da Klaus Martin Girardet, come l’apparizione di un alone33. Secondo questo studioso, l’apparizione attribuita a Costantino nel tempio di Apollo ha precisamente il carattere dell’apparizione di un alone. Lo studioso in questo contesto si richiama all’equivalenza tra Apollo e il Sol. In una sua interpretazione successiva, ma certamente da collocare dopo la vittoria contro Massenzio, a tale equivalenza è assegnato un nuovo significato, cristiano, da parte dei cristiani della cerchia di Costantino. L’imperatore fa sua questa interpretazione e la racconta a Eusebio. Secondo Girardet, un elemento importante per dare fondamento a questa equivalenza è il riferimento eusebiano al fatto che Costantino non stia andando in un luogo preciso34 e che, quindi, non stia marciando contro Massenzio. L’informazione, nella sua vaghezza, ben si adatta alle parole dell’autore del panegirico, secondo le quali Costantino devia dalla strada principale, senza specificare dove sia diretto («ubi deflexisses ad templum toto orbe pulcherrimum»)35. Ubi e templum restano indeterminati. Il collegamento tra i due eventi, ricondotti alla stessa apparizione celeste, interpretata una volta in chiave pagana e l’altra in chiave cristiana, non è obbligato. L’incontro di Costantino con Apollo e l’apparizione celeste, di cui dà notizia Eusebio, sono notevolmente diversi. Quest’ultima è percepita da un ampio pubblico e, trattandosi di un alone, può anche rispondere alla realtà. Queste due interpretazioni sono inoltre formulate a un anno di distanza. L’interpretazione cristiana è offerta al più presto all’inizio dell’estate del 311 e al più tardi nell’ottobre dello stesso anno, quando Costantino marcia contro Massenzio36. Datare l’interpretazione cristiana al 311 presuppone, inoltre, che si segua la rappresentazione e l’indicazione temporale dell’apparizione fornita da Eusebio. A svantaggio dell’interpretazione di Girardet v’è poi il fatto che i primi segnali evidenti che Costantino si sia posto sotto la protezione del Dio dei cristiani si trovano solo dopo la vittoria contro Massenzio.
Anche dopo il 312, in ogni caso, si può pensare ad apparizioni di carattere pagano pure nei panegirici. È così che Nazario37 nel 321 parla di un esercito celeste apparso sotto la guida di Costanzo, padre di Costantino, prima della sua marcia, dalla Gallia, contro Massenzio38.
La situazione dei cristiani nell’Impero cambia sensibilmente quando Galerio, nell’aprile del 311, emana un editto che rende possibile ai cristiani l’esercizio della loro religione (religio licita). Galerio muore subito dopo, nel maggio dello stesso anno39.
L’editto40 è promulgato probabilmente a Serdica e pubblicato il 30 aprile a Nicomedia, la città di residenza di un tempo41, e all’incirca in quello stesso periodo anche in altre città. Il testo latino dell’editto ci è stato tramandato da Lattanzio42. Probabilmente lo scrittore usa la pubblicazione di Nicomedia come testo di riferimento, perché lo menziona espressamente. Ed è possibile che soggiorni in tale città43. Eusebio offre una traduzione greca del testo pubblicato, riportandone anche l’intitulatio, che manca in Lattanzio44. Il testo eusebiano si trova, con pochissime variazioni nell’intitulatio, anche in Niceforo Callisto Xantopulo45. Rufino fornisce una traduzione in latino del testo greco presente in Eusebio46. La traduzione eusebiana non è di aiuto, se non in pochissimi passi, per una migliore comprensione del testo latino.
L’editto è menzionato da Eusebio anche in altri scritti47 e lo si ritrova in pochissimi altri autori cristiani48, mentre nei testi pagani non si riscontra alcun riferimento ad esso. Zosimo e gli epitomatori riassumono gli eventi parlando dell’ascesa di Licinio al potere, e della malattia e morte dell’Augusto Galerio, senza menzionare l’editto49, il cui testo tràdito ha la forma di una lettera rivolta alla popolazione, mentre appunto è un editto50. Il documento è certamente pubblicato nella area dell’Impero soggetta a Galerio, probabilmente anche in quella del suo collega Licinio, ma sicuramente non nell’area posta sotto il potere di Massimino Daia e dell’usurpatore Massenzio, né in quella governata da Costantino51. Esso è promulgato in nome dei quattro imperatori di allora. Nell’ultima versione della historia ecclesiastica di Eusebio sono nominati soltanto Galerio e Costantino, mentre in quella precedente si menziona anche Licinio. Il nome di Massimino Daia è eliminato dopo la sua destituzione e morte nel 313, quello dell’Augusto Licinio nel 324, dopo la sua sconfitta nella battaglia contro Costantino. A differenza di quanto accade negli annunci di Costantino successivi alla sua vittoria contro Massenzio, nell’editto di Galerio si parla sempre di cristiani nel loro complesso e non si fa differenza tra diversi gruppi52.
È possibile dividere il testo dell’editto in cinque parti53: inizia con la presentazione dei motivi e la descrizione degli scopi propri della persecuzione dei cristiani, cui Diocleziano aveva dato avvio nel 303, nonché con un breve riassunto delle conseguenze per i cristiani54; in seguito si afferma il fallimento della persecuzione55; si annuncia dunque il nuovo indirizzo politico, ricondotto alla clementia degli imperatori: in esso si ammette di nuovo la fede cristiana e si concede ai cristiani di ricostruire i propri luoghi di culto56; poi si annuncia una lettera ai governatori delle province come regolamento più dettagliato57; in chiusura, i cristiani sono esortati a pregare per il bene dell’imperatore (pro salute nostra), della res publica (pro salute rei publicae) e per il loro bene (pro salute sua), in modo che lo Stato (res publica) non ne tragga danno e che essi possano vivere sicuri58.
Ai cristiani è concesso di ritornare (denuo) alla propria fede59 e di ricostruire i loro luoghi di culto60. Il cristianesimo diviene così una religio licita. Con l’editto di Galerio, per i cristiani sono ripristinate le condizioni61 precedenti il 303, anno d’inizio della persecuzione62. Ma, se è possibile, l’editto di Galerio va anche oltre63. Ora è esplicitamente consentito essere cristiani, cosa che nel 262 Gallieno, nel suo editto di tolleranza, non consentiva64. Le concessioni ai cristiani sono tuttavia legate alla condizione che rispettino la disciplina, intendendo con essa la publica disciplina Romanorum65. Il testo lascia intendere che Galerio continua ad avere un atteggiamento molto sfavorevole nei confronti dei cristiani. Così in apertura sono di nuovo ripetute nei particolari le ragioni della persecuzione, da cui Galerio non prende affatto le distanze. Queste riflessioni occupano circa la metà del testo tramandato da Lattanzio.
Galerio spiega che gli imperatori – non il solo Galerio – all’inizio della persecuzione (antehac) volevano fare in modo che i cristiani, che avevano abbandonato il modo di vivere dei loro antenati, tornassero ad avere una buona disposizione d’animo (ad bonas mentes). L’espressione ad bonas mentes è documentata anche da Lattanzio in un’altra opera66, sempre in relazione alle persecuzioni. Ci si riferisce, quindi, a un’espressione utilizzata già in uno dei testi di Diocleziano, in cui si riconsiderava lo scopo delle persecuzioni67.
I procedimenti dell’imperatore contro i cristiani sono una conseguenza delle leges veteres e della publica disciplina Romanorum68. Qui Galerio fa riferimento alle riforme politiche, sociali, economiche e religiose introdotte da Diocleziano e portate avanti dai suoi colleghi e successori, anche se in proporzioni diverse. Anche le misure contro i cristiani fanno parte del quadro di queste riforme. In tale contesto, Diocleziano, nella legislazione a esse relativa, si riferisce sempre all’autorità del diritto romano e del diritto degli antenati, su cui ironizza Lattanzio69.
La nozione di disciplina si trova ripetutamente già nell’editto sul matrimonio (de nuptiis) del 29570 e anche nel cosiddetto editto contro i manichei del 302, che, per la forma, è un rescritto71, sebbene il termine disciplina non venga esplicitamente citato nel secondo. La disciplina, assieme alle leges veteres, funge spesso da punto di riferimento72.
La connessione tra leges veteres e publica disciplina Romanorum assicura il collegamento con la tradizione romana73. Con disciplina publica Romana s’intende l’ordine pubblico in senso lato, che si concretizza per buona parte in determinazioni di legge (leges veteres), ma anche in modalità tramandate di comportamento (secta, mos). Concerne gli ambiti politico, sociale, economico e religioso. Quest’ultimo costituisce una parte essenziale della disciplina74, sviluppatasi in un lungo processo storico, che trova chiara espressione nelle leges veteres.
Il termine secta indica il modo di vivere degli antenati pagani dei cristiani, ed è qui utilizzato come sinonimo di vitae institutum, agendi ratio (τρόπος) o mos maiorum75.
Segue un’ampia illustrazione delle ragioni («siquidem...») per cui i cristiani avrebbero abbandonato il modo di vivere dei loro antenati, i veterum instituta. Di ciò sono ritenute responsabili la loro voluntas e la loro stultitia. Moreau e altri dopo di lui traducono la prima delle due espressioni con ‘ostinazione’, sulla scorta di Plinio il Giovane76, che parla dell’obstinatio di alcuni cristiani77. Tale resa non è affatto corretta, perché questo termine, sia nel passo citato sia negli altri, non costituisce la base di partenza per la creazione di nuove leggi, come accade nel testo di Lattanzio, bensì si limita a presentare i cristiani, che, nella loro impassibilità, si attengono alle proprie leggi. Per voluntas si intende la volontà dei cristiani di darsi leggi proprie; la voluntas può creare diritto positivo e giustizia, dato che possiede la caratteristica d’istituire diritto78. La tanta voluntas dei cristiani si è, tuttavia, tratta in inganno, perché vive già in uno Stato e dovrebbe rispettarne le leggi: essa va perciò giudicata sciocca («Christianos [...] tanta stultitia occupasset») e sviata, con la conseguenza («ut non [...] ita [ut] facerent [...] congregarent») che i cristiani hanno creato leggi proprie («sibimet leges facerent»), radunando ai loro ordini popoli diversi («varios populos»), che vivono in luoghi differenti («per diversa»).
Nell’ultima versione della Storia della Chiesa di Eusebio, tanta stultitia non è tradotto: evidentemente un rimprovero di questo genere rivolto ai cristiani non risulta più adatto in un testo che reca nell’intitulatio anche il nome di Costantino79.
Con il termine veterum instituta, poi, si intendono le istituzioni politiche, sociali e religiose nel loro complesso, ovvero quelle degli antenati (veteres) romani pagani dei cristiani.
Alla nozione di veteres sono stati attribuiti anche altri significati, che non risultano, però, convincenti. Per esempio, con questo termine si indicano gli ebrei80. Il concetto di veteres è ricompreso nella parola parentes, che ai tempi di Galerio si riferisce, in senso stretto, agli antenati romani pagani esclusivamente dei cristiani attuali, non a quelli dei romani in generale81.
La frase relativa «quae [...] constituerant» (colui che ha originariamente – primum – creato questi instituta) chiarisce più da vicino il concetto di veteres. Forsitan, che si riferisce ai parentes (= veteres), restringe il campo, indicando che non tutti gli antenati dei cristiani vanno considerati come creatori degli instituta.
Sulla scorta di questo modo di procedere, i cristiani hanno creato in base al loro arbitrio («pro arbitrio suo») e, in base alle loro preferenze, proprie norme di comportamento («leges»), intendendo costituire un solo popolo da popoli diversi in luoghi differenti82.
Il cristianesimo, infatti, lega popoli diversi a uno solo, che obbedisce alla propria legge, ponendosi quasi al posto dello Stato romano, che ha il medesimo obiettivo83. Dietro questo rimprovero rivolto ai cristiani, si cela il modo stesso in cui essi si considerano come populus – ἔθνος – dei84. Massimino Daia riprenderà in seguito questo argomento dell’immagine di sé dei cristiani come popolo proprio85. Tale argomento sarà usato anche come rimprovero, da parte delle città, nelle petizioni rivolte all’imperatore86.
Il comportamento dei cristiani porta alle misure che gli imperatori avevano adottato contro di loro (nostra iussio)87. Tali misure li dovevano ricondurre ai veterum instituta. Qui molti corrono il rischio di doversi giustificare di fronte a un tribunale88 e molti sono condannati89.
Secondo le affermazioni di Galerio, la perseveranza dei cristiani fa sì che essi non diano prova di onorare né gli dei pagani né il loro stesso Dio, perché la persecuzione glielo vieta. Qui, quindi, l’imperatore riconosce la compresenza del politeismo pagano e del monoteismo cristiano90.
In questa situazione, gli imperatori stabiliscono di sospendere la persecuzione. Galerio lascia intendere che questa decisione sia una concessione imperiale (indulgentia). L’espressione «contemplationem [...] intuentes» proviene dal linguaggio della cancelleria imperiale91. Nello stesso tempo è chiaro che egli è disposto a fare questa concessione perché i cristiani hanno opposto una resistenza forte («plurimi in proposito perseverarent»). Più tardi, nella lettera di Costantino agli abitanti delle province dell’Oriente dell’Impero, la stessa argomentazione sarà in seguito utilizzata capovolta per i pagani. Costantino rinuncia a procedere in modo violento contro di loro, perché la loro resistenza è troppo forte, ma presenta questa rinuncia anche come ἐπιείκεια (clementia)92.
Le conseguenze politiche e pratiche dell’editto sono argomento di controversia fra gli studiosi. Che cosa significa la garanzia della securitas («incolumis et securi vivere [...] possint») al termine dell’editto? I cristiani sono stati accolti nella comunità cultuale dello Stato, come pensa una parte della critica? Ora i sacrifici pagani e le preghiere cristiane hanno lo stesso valore93? Le numerose domande, che qui si pongono, spesso non trovano risposta nel testo dell’editto. Sulla base dello stato in cui versano le fonti, e soprattutto per la ragione che tanto il periodo quanto l’area in cui l’editto è in vigore sono limitati, la sua applicazione di fatto non è suscettibile di verifica. In Occidente la situazione dei cristiani muta profondamente già con la vittoria di Costantino su Massenzio, il 28 ottobre 312; nell’area amministrata da Licinio avviene un cambiamento dopo l’accordo con Costantino a Milano nel 313, mentre in Oriente, nell’area sottoposta a Massimino Daia, l’editto non entra mai pienamente in vigore. Invece, alla fine del 311 si verificano nuove persecuzioni, e la situazione cambia di nuovo nel 313, dopo la caduta e la morte di Massimino Daia.
L’alia epistula, diretta ai governatori delle province e già annunciata nell’editto, non si conservata o non è mai stata inviata, visto che Galerio muore pochi giorni dopo la redazione dell’editto. In essa dovevano essere contenute le direttive per i governatori provinciali su come si sarebbero dovuti comportare in futuro i cristiani94. Occorre supporre che in questa lettera dovesse essere spiegata ai cristiani più nel dettaglio l’indicazione di non agire contro la disciplina95.
È difficile identificare con chiarezza la differenza tra la disciplina, la cui trasgressione da parte dei cristiani motiva la persecuzione iniziata nel 303, e la disciplina, contro la quale non bisogna andare dopo la fine della persecuzione.
Rispetto al periodo in cui la persecuzione aveva avuto inizio, il contenuto della disciplina ora è inteso diversamente oppure non è più necessario che le determinazioni a essa legate siano applicate in tutta la loro estensione, perché altrimenti i cristiani non potrebbero essere tali senza entrare in conflitto con la disciplina.
Il rispetto della disciplina richiesto dopo la sospensione delle persecuzioni è dunque interpretato in maniera diversa. Alcuni studiosi ritengono che i cittadini cristiani, per esempio nel caso di una controversia giudiziaria, entrando negli uffici del magistrato o all’inizio del processo facciano il sacrificio obbligatorio oppure rinuncino alle loro legittime pretese96. La stessa cosa vale qualora vogliano assumere una carica.
Il richiamo al fatto che i cristiani non possono agire in contrasto con la disciplina lascia aperta la possibilità di successive limitazioni per loro a livello locale o nell’ambito di singole aree di governo97. Così la libertà di riunione può essere limitata e vincolata ad alcune condizioni98.
Pressoché in generale si suppone che l’editto non preveda la restituzione delle proprietà comunitarie sequestrate99. Si tratta in questo caso di un argumentum e silentio, ma gli altri riferimenti espliciti alla restituzione di beni sequestrati rendono verosimile che l’editto di Galerio non preveda una riconsegna generale delle proprietà delle comunità100. Bisogna tuttavia supporre che almeno i luoghi di culto siano restituiti101.
La preghiera dei cristiani pro salute nostra (per il benessere dell’imperatore/degli imperatori) non si riferisce ovviamente alla salute dell’Augusto Galerio, ma al benessere generale degli imperatori. Ciò corrisponde ai vota pro rei publicae salute e pro salute imperatoris102. Quello che in questo caso Galerio pretende dai cristiani rappresenta un’ovvietà sin dal periodo neotestamentario103.
L’editto fa sì che le prigioni siano aperte, che i condannati al lavoro nelle miniere siano liberati e che coloro che hanno professato la fede (confessores) siano liberi. Tra di loro si trova Donato, che ha passato molti anni in prigione e a cui è dedicata l’opera di Lattanzio, il De mortibus persecutorum104. Secondo Eusebio105, l’editto è una conseguenza della providentia divina.
Nella ricerca contemporanea si registra un’eccessiva tendenza a supporre che Galerio stesso sia l’ideatore dell’editto. Nella letteratura scientifica meno recente, l’editto è talvolta attribuito anche a Costantino106, che lo impone a Galerio, sostenendo così i cristiani. Secondo questa interpretazione, l’editto preluderebbe al successivo appoggio di Costantino ai cristiani. Da questo punto di vista, le formule in esso contenute costituiscono un compromesso, per fare sì che Massimino Daia si schieri con Costantino, in contrapposizione a Licinio.
Le ragioni che spingono Galerio a porre termine alla persecuzione dei cristiani sono controverse107. Tanto Eusebio quanto Lattanzio collegano l’editto con il grave stato di malattia di Galerio, che avrebbe revocato la persecuzione perché impressionato da tale stato108. Questo collegamento si riscontra parzialmente anche nella ricerca moderna109.
Se, viceversa, si parte da una spiegazione politica, si aprono altre differenti possibilità interpretative. Si può pensare all’insuccesso delle misure adottate nella persecuzione, che lo stesso Galerio concede110, ma una simile spiegazione non costituisce un motivo calzante. Per esempio, la persecuzione dei manichei non viene a cessare e l’editto sui prezzi massimi dei beni non è abolito, sebbene entrambi non abbiano avuto realmente successo.
Egualmente si pensa che con ciò si voglia al contempo sia evitare una divisione tra la popolazione dell’Impero, sia rendere i cristiani utili per lo Stato111.
Ancora, secondo un’altra interpretazione, Galerio si propone di assicurarsi il favore della popolazione cristiana nel quadro di una lotta per il potere nell’Impero112. In questo modo, tuttavia, non si tiene conto del fatto che Galerio sa molto bene che, a causa della sua malattia, gli effetti del suo editto non lo riguarderanno. Occorre, infatti, tenere presente che si tratta forse di ridurre il peso politico proprio dei sovrani che perseguitano i cristiani. Questa spiegazione pare imporsi per la propria evidenza, visto che già Plinio il Giovane113, governatore della Bitinia, interpella Traiano sui cristiani, che possono diventare un problema tale per gli amministratori delle città da risultare opportuno discuterne con l’imperatore114. A favore di questa interpretazione v’è il fatto che Eusebio115 attesta che i pagani si rallegrano con i cristiani per la fine della persecuzione e Atanasio116 ricorda d’avere sentito dire che in Egitto, durante la persecuzione, i pagani avevano nascosto i cristiani, anche se minacciati di punizione. L’imperatore non può, dunque, pensare di guadagnarsi il favore della popolazione pagana nel suo complesso con la persecuzione dei cristiani. L’editto certamente non apporta alcun vantaggio a Costantino, perché nell’area da lui governata i cristiani non sono perseguitati. In ogni caso, non è possibile considerare l’editto di Galerio come un antecedente del cosiddetto editto di Milano o delle misure che Costantino adotterà in favore dei cristiani dopo la sua vittoria su Massenzio.
L’editto di Galerio entra immediatamente in vigore nell’area a lui sottoposta e in quella governata dal collega Licinio, che, dopo la morte di Galerio, assume il controllo dei territori amministrati da quest’ultimo, sino al Bosforo. Per l’area soggetta a Costantino, tale editto non riveste un particolare significato, in ragione della sua politica in favore dei cristiani. Ma anche nei territori sottoposti a Massenzio, i cristiani sono ormai liberi da ogni persecuzione. Viceversa, la situazione si sviluppa diversamente nell’area governata da Massimino Daia, che, una volta deceduto Galerio, estende lui pure il proprio dominio fino al Bosforo117, prendendo possesso di territori dell’Asia Minore, precisamente delle diocesi Asiana e Pontica.
Massimino Daia, ricevuto l’editto, lo pubblica non nell’area originariamente da lui governata (la diocesi Oriens), ma in Asia Minore, territorio già amministrato da Galerio, poi conquistato dopo la morte di questo118. Si limita a dare disposizioni orali al praefectus praetorio Sabino119, che incarica di rendere parzialmente pubblico il contenuto dell’editto120. Sabino esegue l’ordine, con l’invio di una lettera ai governatori delle province. In questo scritto manca, tuttavia, la concessione disposta da Galerio: facoltà di ricostruire i luoghi di riunione, a condizione di osservare il comando di pregare per l’imperatore e per l’Impero. Non si fa altrettanto menzione dell’annunciata alia epistula121 destinata ai governatori, che avrebbe dovuto contenere un’ulteriore regolamentazione. Massimino Daia si attiene all’editto del collega Galerio solo in modo restrittivo. I cristiani riprendono, però, immediatamente la loro vita comunitaria e ricostruiscono i luoghi di culto distrutti122.
Attorno all’ottobre-novembre del 311, Massimino Daia riprende la politica persecutoria123. A tale riguardo, Costantino gli scrive una lettera minacciosa, pretendendo dal collega un’interruzione della persecuzione, che, però, prosegue in forma nascosta124.
Non è possibile chiarire perché Costantino abbia deciso di compiere questa mossa. Secondo Girardet125, non si tratta né di fedeltà alla legge, né di filantropia, ma solo della decisione di Costantino di porsi sotto la tutela del Dio dei cristiani.
L’imperatore interviene presso Massimino Daia in favore dei cristiani una seconda volta, alla fine del 312, dopo la sua vittoria su Massenzio126.
La prima limitazione imposta ai cristiani risale all’autunno del 311: si tratta del divieto di riunirsi nei propri cimiteri127. La facoltà di limitare la libertà di riunione si ritrova già nell’editto di tolleranza dell’imperatore Galerio: «ut ne quid contra disciplinam agant»128. Invero, già in passato i cristiani si erano dovuti attenere a questa norma: riunirsi nei cimiteri, quindi attorno alle tombe dei martiri, era, infatti, considerato un pericolo per l’ordine pubblico, visto che il ricordo dei martiri poteva condurre a rivolte politiche e violenze. Così, ad esempio, il praefectus Aegypti Emiliano129, durante la persecuzione dei cristiani sotto Valeriano, impone al vescovo Dionigi di Alessandria il divieto di riunirsi e di entrare nei cimiteri130.
In seguito, i rappresentanti della Chiesa che vivono nella parte dell’Impero posta sotto il dominio di Massimino Daia subiscono attacchi. Il vescovo Pietro di Alessandria è giustiziato il 26 novembre 311131, e nello stesso periodo la medesima sorte tocca anche a molti altri vescovi egiziani132. Il presbiterio Luciano di Antiochia è condannato a morte il 7 gennaio 312 a Nicomedia133. Della stessa punizione sono fatti oggetto i vescovi Silvano di Emesa134 e Metodio di Olimpo, in Licia135. A tale proposito, Lattanzio136 riferisce di mutilazioni: sembra che a parecchi cristiani siano cavati gli occhi, amputate le mani, mutilati i piedi o tagliati naso e orecchie.
Nella stessa epoca, le città sono indotte a pregare l’imperatore perché conceda l’estromissione dei cristiani dal loro territorio137. Si richiede, tra le altre cose, di poter vietare la costruzione di luoghi di culto cristiani entro le mura della città e di impedire ai cristiani l’esercizio della loro fede. Massimino Daia risponde a queste petizioni in modo favorevole, giustificando più tardi il proprio comportamento in uno scritto indirizzato al praefectus praetorio Sabino alla fine del 312138. Le richieste delle città e la risposta dell’imperatore sono rese pubbliche e accessibili, incidendole su stele di ferro139. Circa tali petizioni e le risposte dell’imperatore, non mancano anche testimonianze epigrafiche incise solo su pietra. Queste mostrano i punti di forza del politeismo, ma anche l’opportunismo dei ceti cittadini più elevati140.
Con ogni probabilità, dietro le richieste delle città ci sono anche interessi economici dei ceti cittadini più in vista, dai quali Massimino Daia dipende grandemente141. L’esercizio del culto costituisce, infatti, anche una delle ragioni fondamentali del benessere economico delle città. Rientra fra questi fenomeni che si accompagnano alla religiosità pagana anche la pratica pagana del pellegrinaggio, che offre possibilità di guadagno a diversi ceti professionali. Si pensi, ad esempio, alla produzione e allo smercio di oggetti devozionali. In occasione della visita di Paolo a Efeso si giunge, per esempio, a una sollevazione scatenata dagli argentieri, che vedono minacciata la vendita di riproduzioni del tempio di Artemide142. Ancora nel V secolo (precisamente nel 408), nella città africana di Calama, la fabbricazione di immagini in argento delle divinità è causa di violenze143. Il pericolo di essere cacciati dalle proprie città per i cristiani rappresenta una minaccia più grave ancora delle misure precedenti e li priva di ogni speranza, come spiega Eusebio144.
Contemporaneamente si assiste a una promozione dei culti pagani e dei rispettivi sacerdoti145, nonché a una propaganda negativa contro i cristiani. L’imperatore fa divulgare allora copie degli scandalosi Acta Pilati. Secondo Eusebio, tale scritto è letto nelle scuole146. Inoltre, sono diffusi rapporti di alcune prostitute di Damasco, in cui si racconta di orge cristiane147.
La ripresa delle persecuzioni ad opera di Massimino Daia ha termine al più presto nel novembre-dicembre del 312148, quando il nascente conflitto con Licinio gli crea delle difficoltà politiche.
Non solo in campo politico, ma anche rispetto alle questioni religiose, gli anni 310 e 311 costituiscono una cesura, senza che Costantino giochi, in tutto ciò, un ruolo di particolare rilievo. L’incontro con Apollo presso il tempio di Grand sottolinea, tuttavia, le sue mire di potere. Questo rientra sì nel novero delle rappresentazioni religiose pagane, ma Costantino si allontana ulteriormente dalla tetrarchia, malgrado non siano sicuri i precisi termini in cui ciò effettivamente si verifichi.
Per l’Impero, nel suo complesso, l’editto promanato da Galerio in favore dei cristiani significa in particolare la fine delle persecuzioni e il temporaneo affermarsi, nelle diverse parti dell’Impero, di un modo sostanzialmente uniforme di trattare i cristiani.
L’editto fa nuovamente del cristianesimo una religio licita, senza dissolvere, tuttavia, i problemi politici, sociali ed economici sollevati in precedenza nei confronti dei cristiani, nelle diverse parti dell’Impero. Perciò non sorprende che le disposizioni dell’editto siano interpretate in modo diverso nei territori di pertinenza di imperatori differenti e che nell’area di Massimino Daia portino a una recrudescenza delle persecuzioni a livello locale. La situazione cambia profondamente solo a partire dal 312, quando a tutti sono evidenti gli effetti del sostegno pubblico offerto da Costantino ai cristiani – un sostegno che concerne l’intero Impero e si diffonde parallelamente all’ampliamento dell’area in cui l’imperatore esercita il potere –, come le fonti documentano con chiarezza. Se l’editto di Galerio non costituisce la premessa di detti sviluppi, comunque li agevola: se Costantino non sente la necessità di prendere le distanze da regole risalenti al periodo delle persecuzioni, è perché esse erano già state abbandonate con l’editto di Galerio.
Così gli eventi del 311 e quelli immediatamente successivi restano un punto di passaggio, ma lo sono solo perché l’accrescimento del potere di Costantino nel 312 rende possibile e dà poi corso a uno sviluppo completamente diverso. Cionondimeno, anche la posizione che i cristiani raggiungono nel 311 all’interno dell’Impero non è scevra da minacce. Il ritorno alle circostanze caratterizzanti gli anni 303 e 311 non è assolutamente immaginabile, mentre sarebbero stati possibili tanto un’accettazione del cristianesimo diversificata nelle differenti aree dell’Impero quanto un confronto con il mondo pagano. Certamente ciò avrebbe evitato di pervenire a un’affermazione del cristianesimo come unica religione dominante.
1 Per una bibliografia essenziale sull’argomento si vedano: R. Andreotti, s.v. Licinius, in Dizionario epigrafico di antichità romane, 4/2 (1959), pp. 979-1041, in partic. 989-994; Eusèbe de Césarée. Histoire ecclésiastique, éd. par G. Bardy, 4 voll., Paris 1952-1960, 19712; T.D. Barnes, The New Empire of Diocletian and Constantine, Cambridge (MA) 1982; B. Bleckmann, Konstantin der Große, Reinbek 1996; C. Castello, Per una rilettura dell’editto di Galerio del 30 aprile 311, in Studi in onore di Remo Martini, 3 voll., Milano 2008-2009, I, Milano 2008, pp. 503-507; H. Castritius, Studien zu Maximinus Daia, Kallmünz 1969; S. Corcoran, The Empire of the Tetrachs. Imperial Pronouncements and Government, A.D. 284-324, Oxford 1996, 20002; F. Corsaro, L’imperatore Licinius e la legislazione filocristiana dal 311 al 313, in Studi in onore di Cesare Sanfilippo, 8 voll., Milano 1982-1991, III, Milano 1983, pp. 155-186; K.M. Girardet, Der Kaiser und sein Gott, Berlin 2010; Id., Das Jahr 311: Galerius, Konstantin und das Christentum, in Costantino prima e dopo Costantino. Convegno internazionale (Perugia-Spello 27-30 aprile 2011), a cura di G. Bonamente, N. Lenski, R. Lizzi Testa, in corso di stampa (la numerazione delle pagine usata è dunque provvisoria, come per il contributo di A. Marcone citato infra); H. Grégoire, La ‘Conversion’ de Constantin, in Revue de l’Université libre de Bruxelles, 36 (1930-1931), pp. 231-272; Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus. Herrschaftspropaganda in der zeitgenössischen Überlieferung, Stuttgart 1990; D. Kienast, Römische Kaisertabelle. Grundzüge einer römischen Kaiserchronologie, Darmstadt 19962; I. König, Origo Constantini. Anonymus Valesianus, I, Trier 1987; W. Kuhoff, Diokletian und die Epoche der Tetrarchie. Das römische Reich zwischen Krisenbewältigung und Neuaufbau (284-313), Frankfurt a.M.-Berlin-Bern 2001; Lactance, De la mort des persécuteurs, éd. par J. Moreau, 2 voll., Paris 1954; Lactantius, De mortibus persecutorum. Edited and Translated by J.L. Creed, Oxford 1984; A. Marcone, Editto di Galerio e fine delle persecuzioni, in Costantino prima e dopo Costantino, cit.; F. Millar, The Emperor in the Roman World, London 1977; S. Mitchell, Maximinus and the Christians in A.D. 312: A New Latin Inscription, in Journal of Roman Studies, 78 (1988), pp. 105-124; J. Molthagen, Der römische Staat und die Christen im zweiten und dritten Jahrhundert, Göttingen 19752; B. Müller-Rettig, Der Panegyricus des Jahres 310 auf Konstantin den Grossen. Übersetzung und historisch-philologischer Kommentar, Stuttgart 1990; C.E.V. Nixon, B.S. Rodgers, In Praise of Later Roman Emperors. The Panegyrici Latini. Introduction, Translation and Historical Commentary with the Latin Text of R.A.B. Mynors, Berkeley-Los Angeles-Oxford 1994; Panégyriques Latins, texte établi et traduit par É. Galletier, 3 voll., Paris 1949-1955, II: Les panegyriques constantiniennes (VI-X), Paris 1952; I. Sega, L’editto di Galerio del 311, in Scritti in onore di C. Vassalini, a cura di L. Barbesi, Verona 1974, pp. 445-458; P. Siniscalco, L’editto di Galerio del 311: qualche osservazione storica alla luce della terminologia, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana. X Convegno internazionale in onore di Arnaldo Biscardi, Napoli 1995, pp. 41-53; J. Walter, Pagane Texte und Wertvorstellungen bei Lactanz, Göttingen 2007; G. Weber, Kaiser, Träume und Visionen in Prinzipat und Spätantike, Stuttgart 2000.
2 Cfr. Lact., mort. pers. 30,5. La morte di Massimiano è interpretata anche come suicidio indotto o come assassinio. Per un’analisi dei documenti, cfr. B. Müller-Rettig, Der Panegyricus, cit., pp. 203-204.
3 Cfr. Tac., ann. XV 44,2-5.
4 Cfr. Plin., epist. X 96.
5 Licinio è nominato Augusto l’11 novembre 308. In nessuna fonte si fa riferimento all’assegnazione di un territorio specifico. T.D. Barnes, The New Empire, cit., p. 198, per es. ipotizza che abbia condiviso con Galerio il potere sulle province danubiane. Secondo I. König, Origo Constantini, cit., pp. 94-95, Licinio (cfr. Anon. Vales., I 3,8) governa sulla Pannonia e forse sulla Rezia; cfr. anche W. Kuhoff, Diokletian und die Epoche der Tetrarchie, cit., p. 834 nota 1613.
6 Cfr. ad es. Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., p. 82; K.M. Girardet, Der Kaiser, cit., pp. 27-30.
7 Cfr. Lact., mort. pers. 15,7. Una visione più attenuata si trova in Eus., h.e. VIII 13,13, app. 4; v.C. I 13-16; Optat. I 22. Cfr. per es. K.M. Girardet, Der Kaiser, cit., p. 27.
8 Cfr. Lact., mort. pers. 24,9; inst. I 1,13.
9 Lo statuto giuridico che Costantino dispone per i cristiani è controverso: cfr. al riguardo K.M. Girardet, Der Kaiser, cit., p. 27; Id., Das Jahr 311, cit., p. 11 nota 71.
10 Diversamente, K.M. Girardet, Der Kaiser, cit. e Id., Das Jahr 311, cit., passim, ritiene che Costantino dichiari pubblicamente la propria simpatia per il cristianesimo senz’altro prima della fine del 311 (cfr. Eus., v.C. I 28, passo relativo ai fatti che accadono prima della battaglia contro Massenzio) e che dunque le vicende precedenti narrate da Eusebio vadano collocate successivamente a tale anno, come del resto già sostenuto da E. Gibbon, The History of the Decline and Fall of the Roman Empire, ed. by W.E.H. Lecky, III, New York 1906, p. 230, e oggi universalmente accettato dagli studiosi (cfr. per es. Eusebius Caesariensis, Life of Constantine, ed. by Av. Cameron, S.G. Hall, Oxford 1999, pp. 207-208); resta invece ancora dubbio se tale inversione cronologica dipenda da un errore dello storico antico o sia invece intenzionale. Sempre K.M. Girardet, Der Kaiser, cit., pp. 61-62, giudicando Paneg. 8(5),14,4: «cum tu [...] adveneris et ille quasi maiestatis tuae comes et socius» un riferimento di parte pagana alla dichiarazione pubblica di Costantino di essere sotto la protezione del Dio dei cristiani (cfr. anche Paneg. 8,4), data questo testo alla fine dell’estate del 311, mentre É. Galletier, in Panégyriques Latins […] II: Les panegyriques constantiniennes, cit., p. 78, lo assegna al 312. A partire da quest’anno i riferimenti pubblici al cristianesimo da parte di Costantino e un suo particolare sostegno ad esso non possono più essere messi in dubbio.
11 Cfr. Eus., h.e. VIII 14,1-2 e Optat. I 18: «iubente deo indulgentiam mittente Maxentio Christianis libertas est restituta». Per una descrizione precisa, seppure assai concisa, delle misure adottate dall’usurpatore Massenzio, cfr. F. Millar, The Emperor in the Roman World, cit., p. 578.
12 A proposito degli anni 308-309, cfr. K.M. Girardet, Das Jahr 311, cit., p. 11 nota 75, che si pronuncia in favore di una rinuncia alla persecuzione già a partire dagli anni 306-307.
13 Cfr. Aug., coll. c. Don. III 18,34: «illi [i donatisti] gesta alia recitaverunt, in quibus legebatur, Miltiades [il vescovo di Roma] misisse diaconos cum litteris Maxenti imperatoris et litteris praefecti praetorio ad praefectum urbis, ut ea reciperent quae tempore persecutionis ablata memoratus imperator [Massenzio] Christianis iusserat reddi»; ma anche Aug., psalm. c. Don. 288.
14 Per quanto concerne i disordini a Roma, cfr. in particolare la testimonianza di Damaso, epigr. 18 e 40 ed. A. Ferrua, ma anche l’interpretazione datane da T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, Cambridge (MA)-London 1981, pp. 38-39.
15 Paneg. 7,21,3-7: «Postridie enim quam accepto illo nuntio geminatum itineris laborem susceperas, omnes fluctus resedisse, omnem quam reliqueras tranquillitatem redisse didicisti, ipsa hoc sic ordinante fortuna ut te ibi rerum tuarum felicitas admoneret dis immortalibus ferre quae voveras, ubi deflexisses ad templum toto orbe pulcherrimum, immo ad praesentem, ut vidisti, deum. Vidisti enim, credo, Constantine, Apollinem tuum comitante Victoria coronas tibi laureas offerentem, quae tricenum singulae ferunt omen annorum. hic est enim humanarum numerus aetatum, quae tibi utique debentur ultra Pyliam senectutem. Et immo quid dico ‘credo’? vidisti teque in illius specie recognovisti, cui totius mundi regna deberi vatum carmina divina cecinerunt. Quod ego nunc demum arbitror contigisse, cum tu sis, ut ille, iuvenis et laetus et salutifer et pulcherrimus, imperator. Merito igitur augustissima illa delubra tantis donariis honestasti ut iam vetera non quaerant, iam omnia te vocare ad se templa videantur praecipueque Apollo noster, cuius ferventibus aquis periuria puniuntur quae te maxime oportet odisse».
16 Fondamentale ed esaustivo B. Müller-Rettig, Der Panegyricus, cit., pp. 273-289, 330-350. Cfr. anche Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., pp. 50-56; C.E.V. Nixon, B.S. Rodgers, In Praise of Later Roman Emperors, cit., pp. 248-251; G. Weber, Kaiser, Träume und Visionen, cit., pp. 278-282; breve commento di É. Galletier, in Panégyriques Latins […] II: Les panegyriques constantiniennes, cit., pp. 43-46. A riguardo del numero e del significato delle corone, cfr. B. Müller-Rettig, Der Panegyricus, cit., pp. 278-280. L’entrata in scena della dea Victoria nel contesto di questo incontro è del tutto singolare (cfr. G. Weber, Kaiser, Träume und Visionen, cit., p. 280). A proposito dell’idea di un dominio straordinariamente lungo come elemento della rappresentazione di sé dell’imperatore, non limitata solo a Costantino, cfr. M.A. Guggisberg, A. Kaufmann-Heinimann, Der spätrömische Silberschatz von Kaiseraugst. Die neuen Funde. Silber im Spannungsfeld von Geschichte, Politik und Gesellschaft der Spätantike, Augst 2003, pp. 171-183, in partic. 179, a proposito di una placca donata da Costante e che si riferisce a un lungo dominio. A proposito di questa placca, cfr. anche M. Beyeler, Geschenke des Kaisers, Berlin 2011, pp. 292-293.
17 Cfr. B. Müller-Rettig, Der Panegyricus, cit., pp. 10-11.
18 Ivi, pp. 339-350.
19 Cfr. per esempio Paneg. 10(4) [321],28,1, ma anche 7,2; 14,1; 15,4; 16,1; 26,1; Paneg. 9(12) [313],3,3;11,4. A proposito di questi testi, cfr. K.M. Girardet, Der Kaiser, cit., pp. 40, 61-62, 84.
20 In altri tipi di fonti, la situazione risulta molto meno chiara. Sulle monete, per es., compare ancora il Sol Invictus. Cfr. Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., p. 78 note 93, 96, 97; J.P.C. Kent, B. Overbeck, A. Stylow, Die römische Münze, München 1973, n. 629 a proposito del medaglione del 313; cfr. anche W. Kuhoff, Diokletian und die Epoche der Tetrarchie, p. 923. Anche nelle iscrizioni sono in parte scelte espressioni vaghe; cfr. per es. ILS 694 («instinctu divinitatis»).
21 Cfr. B. Bleckmann, Pagane Visionen Konstantins, in Costantino il Grande: dall’antichità all’umanesimo, a cura di G. Bonamente, F. Fusco, I, Macerata 1992, pp. 151-170, in partic. 161-62; G. Weber, Kaiser, Träume und Visionen, cit., passim.
22 Per una lista, cfr. G. Weber, Kaiser, Träume und Visionen, cit., pp. 571-572.
23 Cfr. B. Bleckmann, Konstantin der Große, cit., p. 65; Eus., v.C. 11,1; 18,1-3; G. Weber, Kaiser, Träume und Visionen, cit., pp. 393-396.
24 Cfr. i documenti relativi in K.M. Girardet, Der Kaiser, cit., p. 39 nota 179. Circa la relazione tra il Sol Invictus e Apollo, cfr. B. Müller-Rettig, Der Panegyricus, cit., pp. 334-335; Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., pp. 50-54, che fornisce diverse interpretazioni possibili; K.M. Girardet, Der Kaiser, cit., p. 41.
25 Cfr. G. Weber, Kaiser, Träume und Visionen, cit., p. 280. Nessuna fonte considera Apollo Grannus uguale al Sol Invictus. Per le possibili testimonianze, cfr. B. Müller-Rettig, Der Panegyricus, cit., p. 344; viceversa, K.M. Girardet, Der Kaiser, cit., p. 39 nota 179, muove da un’equivalenza.
26 In questo modo è possibile istituire un collegamento anche con il cristianesimo. K.M. Girardet, Der Kaiser, cit., pp. 85-86 e passim, sottolinea che la rappresentazione del Sol Invictus può anche essere interpretata in una prospettiva cristiana, nella quale, infatti, Christus è il Sol iustitiae.
27 A questo proposito, risulta critico Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., p. 53, che si riferisce al fatto che solo in questo panegirico Apollo è posto in stretta relazione con Costantino (cfr. anche Paneg. 22,2: «numinis tui [Apollo]», senza che sia istituita una connessione con il Sol.
28 Cfr. per es. G. Weber, Kaiser, Träume und Visionen, cit., pp. 279-280.
29 Su questa teologia della vittoria, i suoi precedenti e i suoi sviluppi ulteriori in Costantino, cfr. ad es. F. Corsaro, Sogni e visioni nella teologia della vittoria di Costantino e Licinio, in Augustinianum, 29 (1989), pp. 333-349.
30 Per una rassegna delle ricerche, cfr. G. Weber, Kaiser, Träume und Visionen, cit., pp. 281-282.
31 L’idea si trova già in H. Peter, Die geschichtliche Literatur über die römische Kaiserzeit bis Theodosius I. und ihre Quellen, I, Leipzig 1897, p. 412; H. Grégoire, La ‘Conversion’ de Constantin, cit., pp. 256-257. Una rassegna della letteratura è offerta da B. Müller-Rettig, Der Panegyricus, cit., p. 330; cfr. anche H.A. Drake, Constantine and the Bishops, Baltimore-London 2000, p. 183 ; Eusebius von Caesarea, De vita Constantini. Über das Leben Konstantins, eingeleitet von B. Bleckmann, übersetzt und kommentiert von H. Schneider, Turnhout 2007, p. 58.
32 Cfr. Eus., v.C. I 28,2. Tale visione non è identica al sogno che Costantino avrebbe fatto alla vigilia della battaglia di ponte Milvio (riportato da Lact., mort. pers. 44,5), sebbene quel sogno sia spesso erroneamente posto in relazione alla visione. Su ciò, cfr. K.M. Girardet, Der Kaiser, cit., pp. 45-46. Della visione, Eusebio non parla in h.e., ma solo in v.C.
33 Ivi, pp. 35-41, che richiama P. Weiss, The Vision of Constantin, in Journal of Roman Archaeology, 16 (2003), pp. 237-259.
34 Cfr. Eus., v.C. I 28,2: ποι.
35 Cfr. Paneg. 7,21,3.
36 K.M. Girardet, Der Kaiser, cit., p. 189.
37 Cfr. Paneg. 10,14,1-6,29,1.
38 Cfr. Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., p. 85 nota 136; G. Weber, Kaiser, Träume und Visionen, cit., pp. 285-288.
39 Sulla data di morte, cfr. W. Kuhoff, Diokletian und die Epoche der Tetrarchie, cit., p. 872, con la nota 1647.
40 Lact., mort. pers. 34-35,1: «Inter cetera quae pro rei publicae semper commodis atque utilitate disponimus, nos quidem volueramus antehac iuxta leges veteres et publicam disciplinam Romanorum cuncta corrigere atque id providere, ut etiam Christiani, qui parentum suorum reliquerant sectam, ad bonas mentes redirent, siquidem quadam ratione tanta eosdem Christianos voluntas invasisset et tanta stultitia occupasset, ut non illa veterum instituta sequerentur, quae forsitan primum parentes eorundem constituerant, sed pro arbitrio suo atque ut isdem erat libitum, ita sibimet leges facerent quas observarent, et per diversa varios populos congregarent. Denique cum eiusmodi nostra iussio extitisset, ut ad veterum se instituta conferrent, multi periculo subiugati, multi etiam deturbati sunt. Atque cum plurimi in proposito perseverarent ac videremus nec diis eosdem cultum ac religionem debitam exhibere nec Christianorum deum observare, contemplationem mitissimae nostrae clementiae intuentes et consuetudinem sempiternam, qua solemus cunctis hominibus veniam indulgere, promptissimam in his quoque indulgentiam nostram credidimus porrigendam, ut denuo sint Christiani et conventicula sua componant, ita ut ne quid contra disciplinam agant. Alia autem epistola iudicibus significaturi sumus quid debeant observare. Unde iuxta hanc indulgentiam nostram debebunt deum suum orare pro salute nostra et rei publicae ac sua, ut undique versum res publica praestetur incolumis et securi vivere in sedibus suis possint. Hoc edictum proponitur Nicomediae pridie Kalendas Maias ipso octies et Maximino iterum consulibus».
41 Per quanto concerne Serdica quale luogo di soggiorno di Galerio, cfr. Anon. Vales., I 3,8. Eusebio non cita espressamente Nicomedia come luogo di pubblicazione, ma parla in generale di città (cfr. Eus., h.e. VIII 17,2).
42 Cfr. Lact., mort. pers. 34.
43 Diversa l’interpretazione proposta in Lactantius, De mortibus persecutorum, cit., p. XXVII, rispetto agli attuali orientamenti della ricerca.
44 Un commento fondamentale è offerto da J. Moreau in Lactance, De la mort des persécuteurs, cit. Cfr. anche Lactantius, De mortibus persecutorum, cit., pp. 112-113; a proposito di alcune questioni fondamentali legate all’editto e di talune proposte di soluzione avanzate nei contributi recenti, cfr. K.M. Girardet, Das Jahr 311, cit., pp. 1-10. Sul probabile testo dell’intitulatio, cfr. W. Kuhoff, Diokletian und die Epoche der Tetrarchie, cit., p. 874 nota 1649.
45 Cfr. Nicephor., h.e. VII 23. Si veda P.R. Coleman-Norton, Roman State and Christian Church. A Collection of Legal Documents to A.D. 535, I, London 1966, pp. 18-24, che fa riferimento ad alcune divergenze.
46 Cfr. Rufin., hist. VIII 17,3-11.
47 Cfr. Eus., h.e. VIII 16,1; X 5,2; v.C. I 57,3; m.P. 13,14.
48 Cfr. Oros., hist. VII 28,13; Theophan., Chron. a.m. 5797 = I 13,9-11 ed. Carolus de Boor. Una ricorrenza epigrafica si trova evidentemente nella prima riga del rescritto di Colbasa, dove si legge: «otia tandem sibi permissa laetentur [i cristiani]». Cfr. AE 1988,1046 oppure S. Mitchell, Maximinus and the Christians, cit., p. 108.
49 Cfr. I. König, Origo Constantini, cit., p. 95.
50 Eus., h.e. VIII 17,2: ἑπαρχιώταις ἰδίοις nei manoscritti A, T, E, R. Sulla forma, cfr. S. Corcoran, The Empire of the Tetrachs, cit., pp. 186, 199; F. Millar, The Emperor in the Roman World, cit., p. 579.
51 Cfr. da ultimo K.M. Girardet, Das Jahr 311, cit., p. 3. S. Corcoran, The Empire of the Tetrachs, cit., p. 186, reputa che l’editto sia pubblicato solo nell’area soggetta a Galerio.
52 K.M. Girardet, Der Kaiser, cit., p. 126.
53 Per quanto concerne partizioni diverse e parzialmente divergenti, cfr. ad es. P. Siniscalco, L’editto di Galerio del 311, cit., p. 42; W. Kuhoff, Diokletian und die Epoche der Tetrarchie, cit., p. 875; A. Marcone, Editto di Galerio e fine delle persecuzioni, cit., p. 9.
54 Lact., mort. pers. 34,1-3: «Inter cetera quae pro rei publicae semper commodis atque utilitate disponimus, nos quidem volueramus antehac iuxta leges veteres et publicam disciplinam Romanorum cuncta corrigere atque id providere, ut etiam Christiani, qui parentum suorum reliquerant sectam, ad bonas mentes redirent, siquidem quadam ratione tanta eosdem Christianos voluntas invasisset et tanta stultitia occupasset, ut non illa veterum instituta sequerentur, quae forsitan primum parentes eorundem constituerant, sed pro arbitrio suo atque ut isdem erat libitum, ita sibimet leges facerent quas observarent, et per diversa varios populos congregarent. Denique cum eiusmodi nostra iussio extitisset, ut ad veterum se instituta conferrent, multi periculo subiugati, multi etiam deturbati sunt».
55 Lact., mort. pers. 34,4: «Atque cum plurimi in proposito perseverarent ac videremus nec diis eosdem cultum ac religionem debitam exhibere nec Christianorum deum observare».
56 Lact., mort. pers. 34,4: «contemplationem mitissimae nostrae clementiae intuentes et consuetudinem sempiternam, qua solemus cunctis hominibus veniam indulgere, promptissimam in his quoque indulgentiam nostram credidimus porrigendam, ut denuo sint Christiani et conventicula sua componant, ita ut ne quid contra disciplinam agant».
57 Lact., mort. pers. 34,5: «Alia autem epistola iudicibus significaturi sumus quid debeant observare».
58 Lact., mort. pers. 34,5: «Unde iuxta hanc indulgentiam nostram debebunt deum suum orare pro salute nostra et rei publicae ac sua, ut undique versum res publica praestetur incolumis et securi vivere in sedibus suis possint».
59 Lact., mort. pers. 34,4: «ut denuo sint Christiani».
60 Lact., mort. pers. 34,4: « et conventicula sua componant». Sul significato di questa frase in chiave filologica e i suoi riferimenti, cfr. P. Siniscalco, L’editto di Galerio del 311, cit., p. 50.
61 J. Molthagen, Der römische Staat, cit., pp. 118-119, 142.
62 Ivi, pp. 99-100.
63 Ivi, p. 119.
64 Cfr. ivi, pp. 99-100. Il fondamento del punto di vista di J. Molthagen è Eus., h.e. VII 15, dove si dà notizia di un processo contro un soldato di nome Marino, che si dichiara cristiano in seguito alla denuncia di un concorrente ed è giustiziato. Se questo passo di Eusebio può essere giudicato attendibile, allora la situazione giuridica dopo l’editto di Gallieno rimane la stessa dei tempi di Nerone e di Traiano, ovvero i cristiani corrono ancora il rischio di essere denunciati e condannati. In J. Molthagen, Der römische Staat, cit., pp. 99-100, si trova la letteratura meno recente sulla questione.
65 Cfr. Lact., mort. pers. 34,1.
66 Lact., inst. V 19,5: «haec ipsa ignoratio effecit ut in persequendis sapientibus tam mali sint fingantque se [i pagani] illis consulere, illos [i cristiani] ad bonam mentem velle revocare».
67 Cfr. Lactance, De la mort des persécuteurs, cit., p. 390; P. Siniscalco, L’editto di Galerio del 311, cit., p. 45. È necessario aggiungere che l’espressione è documentata anche nella lettera di Massimino Daia alla città di Tiro in traduzione greca (cfr. Eus., h.e. IX 7,11) e dall’iscrizione di Colbasa (AE 1988,1046, ll. 2-3: «ad rectam bonam mentem redierunt [i cristiani]»).
68 Lact., mort. pers. 34,1: «iuxta leges veteres et publicam disciplinam Romanorum».
69 Lact., inst. V 19,3: «ad maiorum iudicia confugiant [i persecutori], quod illi sapientes fuerint [gli antenati], illi probaverint, illi scierint quid esset optimum, seque ipsos sensibus spoliant [i persecutori], ratione abdicant, dum alienis erroribus credunt».
70 Mos. et Rom. legum collatio VI 4 = FIRA 2,558-560.
71 De maleficiis et Manichaeis, cfr. Mos. et Rom. legum collatio XV 3 = FIRA 2,580-581.
72 Per le relazioni tra l’editto dell’imperatore Galerio, l’editto sul matrimonio (de nuptiis) e l’editto contro i manichei (De maleficiis et Manichaeis), cfr. ad es. Lactance, De la mort des persécuteurs, cit., pp. 112-113; P. Siniscalco, L’editto di Galerio del 311, cit., pp. 44-45; S. Corcoran, The Empire of the Tetrachs, cit., pp. 173-174, 187; per un’espressione molto vicina a quella di Lattanzio, cfr. Mos. et Rom. legum collatio VI 4,2: «iuxta disciplinam iuris veteris» (cfr. S. Corcoran, The Empire of the Tetrachs, cit., p. 187 nota 70), ma anche VI 4,4: «disciplinam legesque Romanas». Per una ricerca sul termine disciplina, cfr. R. Freudenberger, Das Verhalten der römischen Behörden gegen die Christen im 2. Jahrhundert – dargestellt am Brief des Plinius an Trajan und den Reskripten Trajans und Hadrians, München 1967, p. 130.
73 P. Siniscalco, L’editto di Galerio del 311, cit., p. 43. A. Marcone, Editto di Galerio e fine delle persecuzioni, cit., pp. 10-11, parla, in riferimento a Diocleziano, di una ‘religione politica’: il sovrano avrebbe politicizzato la religione, compiendo una iniziativa di autentica novità per la sua epoca. Con la dovuta cautela, Arnaldo Marcone stabilisce una relazione tra questa idea e il concetto moderno di religione politica. Rispetto a questa sua interpretazione, occorre tenere presente che la concezione di una religione politica su basi politeistiche è nettamente distinta da una concepita su basi monoteistiche, in seguito secolarizzata.
74 Cfr. ad es. Mos. et Rom. legum collatio VI 4,1: «ea, quae Romanis legibus caste sancteque sunt constituta, venerabilia maxime videntur atque aeterna religione servanda, dissimulare ea quae a quibusdam in praeteritum nefarie incesteque commissa sunt, non oportere credimus [gli Augusti]: cum vel cohibenda sunt vel etiam vindicanda, insurgere nos disciplina nostrorum temporum cohortatur. Ita enim et ipsos inmortales deos Romano nomini, ut semper fuerunt, faventes atque placatos futuros esse non dubium est, si cunctos sub imperio nostro agentes piam religiosamque et quietam et castam in omnibus mere colere perspexerimus vitam».
75 Cfr. in particolare Acta ss. Scilit. 14: «ad Romanorum morem redeundi»; Lactance, De la mort des persécuteurs, cit., p. 390; P. Siniscalco, L’editto di Galerio del 311, cit., pp. 45-46.
76 Cfr. Plin., epist. X 96,1,3.
77 Lactance, De la mort des persécuteurs, cit., p. 117. Cfr. anche P. Siniscalco, L’editto di Galerio del 311, cit., pp. 46-47, che contiene ulteriori passi sull’obstinatio dei cristiani.
78 Cfr. ad es. Cic., rep. 3,18; 3,23: «etenim iustitiae non natura nec voluntas, sed imbecillitas mater est», anche se qui è formulata in modo negativo. Che il diritto positivo costituisca un atto della volontà, è un’idea molto comune (cfr. per es. Gaius, inst. 1,1: «Omnes populi, qui legibus et moribus reguntur, partim suo proprio, partim communi omnium iure utuntur. Nam quod quisque populus ipse sibi ius constituit, id ipsius proprium est vocaturque ius civile, quasi ius proprium civitatis»). Se questa volontà è fatta derivare da principi corretti, può creare la giustizia (Dig. I 1,10 pr.: «Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuens»).
79 Cfr. Lactance, De la mort des persécuteurs, cit., p. 390, che segue E. Schwartz, Eusebius Werke, II,3, Leipzig 1909, p. LI.
80 Sulle diverse interpretazioni del terminr, cfr. Lactance, De la mort des persécuteurs, cit., p. 391; P. Siniscalco, L’editto di Galerio del 311, cit., p. 44.
81 Cfr. Lactance, De la mort des persécuteurs, cit., p. 117 («par leurs propres aïeux»).
82 Sulla traduzione erronea di Eusebio, che rende populus con πλῆθος, cfr. J. Moreau in Lactance, De la mort des persécuteurs, cit., p. 391. Anche Rufino, nella sua traduzione latina (cfr. Rufin., hist. VIII 17,7) non corregge questo errore. Traduce, infatti, πλῆθος con plebs. Anche congregare è male interpretato da entrambi.
83 Cfr. Lactantius, De mortibus persecutorum, cit., p. 112, con riferimento a Plin., epp. X 33-34 e X 116-118.
84 Cfr. J. Walter, Pagane Texte, cit., p. 273, con riferimento alla letteratura più vecchia.
85 Cfr. Eus., h.e. IX 1,5.
86 Cfr. Eus., h.e. IX 9a,4.
87 Iussio = πρόσταγμα (nella traduzione di Eusebio) = edictum. Il termine tecnico sarebbe διάταγμα (cfr. S. Corcoran, The Empire of the Tetrachs, cit., p. 171).
88 A proposito di questo valore di periculo subiugati, cfr. Lactance, De la mort des persécuteurs, cit., p. 392.
89 Eusebio traduce deturbati con ταραχθέντες e spiega questo termine con la glossa παντοίους θανάτους ὑπέφερον (cfr. Rufin., hist. VIII 17,8: «mortes innumerabiles tolerare»). Egli interpreta quindi l’espressione in modo unilaterale, se si pensa alla molteplicità delle condanne che possono essere inflitte ai cristiani (cfr. per es. Eus., h.e. IX 1,7). Lactance, De la mort des persécuteurs, cit., p. 117, rende deturbati con frappés. A proposito di passi analoghi, cfr. ivi, pp. 392-393.
90 Ivi, pp. 391-392.
91 Cfr. Mos. et Rom. legum collatio VI 4,2-3.
92 Cfr. Eus., v.C. II 60,2.
93 Su questa e ulteriori questioni, cfr. K.M. Girardet, Das Jahr 311, cit., pp. 8-10, che offre un elenco delle diverse opinioni in proposito, prendendo le mosse dall’idea che i cristiani abbiano continuato a essere come prima cittadini di seconda classe.
94 Lact., mort. pers. 34,5: «quid debeant observare [i cristiani]».
95 Lact., mort. pers. 34,4: «ita est ut ne quid contra disciplinam agant». Così, da ultimo, K.M. Girardet, Das Jahr 311, cit., p. 8. S. Corcoran, The Empire of the Tetrachs, cit., p. 187, suppone che in questa lettera si parli dell’eventuale restituzione dei beni della comunità. È possibile che un riferimento a questa lettera si trovi in uno scritto di Costantino a Licinio (cfr. Eus., h.e. X 5,3). Se ciò fosse vero, allora la lettera sarebbe stata davvero inviata, ma non ci sono documenti in proposito. Su questo punto, cfr. F. Corsaro, Sogni e visioni, cit., pp. 170-171.
96 Per ulteriori esempi, cfr. K.M. Girardet, Das Jahr 311, cit., p. 9.
97 Lactance, De la mort des persécuteurs, cit., p. 394, si pronuncia contro l’ipotesi che la frase vada interpretata in questo modo. Egli discute gli argomenti dei sostenitori dell’opinione contraria, ai quali va aggiunto H. Castritius, Studien zu Maximinus Daia, cit., pp. 73-74.
98 La frase, nella quale si fa riferimento all’osservanza della disciplina, riduce in modo significativo (ita ut) l’uso dei luoghi di culto ricostruiti. Si pensi già al divieto di riunione nei cimiteri sotto Massimino Daia.
99 Su questo presupposto, cfr. ad es. K.M. Girardet, Das Jahr 311, cit., p. 10; The Crisis of the Empire A.D. 193-337, ed. by A.K. Bowman, P. Garnsey, Av. Cameron, Cambridge 20052, p. 657.
100 Su documenti relativi ad altri casi di restituzione, cfr. ad es. Optat. I 18 (Massenzio); Eus., h.e. X 5,15-17 (sotto Costantino, alla fine del 312), Eus., h.e. IX 10,11 (editto di tolleranza di Massimino Daia, dopo la sconfitta subita ad opera di Licinio a Campus Ergenus il 30 aprile 313). Per ulteriori documenti in materia, cfr. K.M. Girardet, Der Kaiser, cit., pp. 125-126; sulla restituzione di beni confiscati a cristiani perseguitati, cfr. ivi, p. 127 nota 633; quanto al risarcimento dei precedenti proprietari di questi beni, cfr. ivi, p. 131 nota 657 (cfr. anche Lact., mort. pers. 48,7-9).
101 Lact., mort. pers. 34,4: «conventicula componant». Per una prospettiva analoga, cfr. K.M. Girardet, Der Kaiser, cit., p. 131 nota 657.
102 Cfr. Lactance, De la mort des persécuteurs, cit., p. 395. Eus., v.C. I 57,3: εὐχὰς ὑπὲρ αὐτοῦ, suscita invece l’impressione che Galerio pretenda che i cristiani preghino per lui personalmente. In una prospettiva analoga, cfr. Theoph. Conf. Chron. a.m. 5797 = I 13,9-11 ed. Carolus de Boor: ὑπὲρ αὐτοῦ εὔχεσθαι.
103 Cfr. 1 Clem. 61; Tert., Apol. 30,1-4.7; 31; 32,1;33; H.U. Instinsky, Die Alte Kirche und das Heil des Staates, München 1963, passim.
104 Cfr. Eus., h.e. IX 1,7 segg. (racconto della situazione nell’Oriente dell’Impero); Lact., mort. pers. 35,2. Su Donato, cfr. anche Lact., mort. pers. 1,1; 16,3-11; 52,5; Lactantius, De mortibus persecutorum, cit., pp. XXXI-XXXII, XXXVI, 80, 113, per ulteriori riferimenti. Il Donato in questione è del resto sconosciuto. Gli incaricati citati, sotto la cui responsabilità egli sarebbe stato perseguitato (cfr. Lact., mort. pers. 16,4), fanno pensare che si tratti di una vittima delle persecuzioni nell’Oriente dell’Impero (forse in Bitinia).
105 Cfr. Eus., h.e. VIII 16,2.
106 Cfr. ad es. H.D. Altendorf, in Reallexikon für Antike und Christentum, 8 (1972), pp. 786-796, in partic. 793-794. H. Grégoire, La ‘Conversion’ de Constantin, cit., pp. 246-247, riconduce viceversa l’editto all’influenza di Licinio. La deduzione si basa soprattutto sui seguenti elementi: Licinio, nella fase di redazione dell’editto, si trova a Serdica; è un amico intimo di Galerio; vuole conquistare il favore della popolazione della Tracia e dell’Asia Minore. In favore di un’influenza sull’editto dell’Augusto Licinio o della sua cerchia, si pronunciano per es. F. Corsaro, Sogni e visioni, cit., pp. 180-182, e D. Woods, The Deathbed Conversion of Galerius Maximianus to Religious Tolerance: Fact or Fraud?, in Studia Patristica, 94 (2010), pp. 85-89, in partic. 87-88.
107 Cfr. W. Kuhoff, Diokletian und die Epoche der Tetrarchie, cit., pp. 876-877 nota 1651.
108 Cfr. Lact., mort. pers. 33,11; Eus., h.e. VIII 17,1.
109 Cfr. ad es. R. Klein, Galerius, in Die römischen Kaiser, hrsg. von M. Clauss, München 1997, pp. 276-282, in partic. 280-282, che considera l’obbligo di pregare per l’imperatore e per lo Stato (res publica) come una conseguenza diretta della malattia di Galerio. Per indicazioni su altri studiosi che condividono questa opinione, cfr. I. Sega, L’editto di Galerio del 311, cit., pp. 454-455, che a sua volta la condivide (ivi, pp. 457-458).
110 Cfr. per es. J. Walter, Pagane Texte, cit., p. 318.
111 Cfr. P. Siniscalco, L’editto di Galerio del 311, cit., p. 52.
112 Cfr. B. Bleckmann, Konstantin der Große, cit., p. 49.
113 Cfr. Plin., epist. X 96.
114 In questo caso è irrilevante quanto alto sia stato veramente il novero dei cristiani. A partire da allora, il loro numero non si è certamente ridotto. Per i tentativi, dall’esito piuttosto incerti, di calcolare l’ammontare dei cristiani nell’Impero ai tempi dell’imperatore Galerio, cfr. di recente K.M. Girardet, Der Kaiser, cit., pp. 13-14. In ogni caso Plinio il Giovane, nella lettera indirizzata a Traiano, parla della presenza di molti cristiani nella sua provincia (Plin., ep. X 96,9).
115 Cfr. Eus., h.e. IX 1,11.
116 Cfr. Ath., h. Ar. 63 = PG 25, c. 770.
117 Cfr. Lact., mort. pers. 36,1-2. La divisione delle aree di pertinenza si conclude nell’estate del 311, quando Licinio e Massimino Daia s’incontrano sul Bosforo: cfr. W. Kuhoff, Diokletian und die Epoche der Tetrarchie, cit., pp. 879-881. Lactance, De la mort des persécuteurs, cit., p. 398, colloca l’incontro dei due imperatori alla fine di luglio; T.D. Barnes, The New Empire, cit., p. 66, all’inizio dell’estate; D. Kienast, Römische Kaisertabelle, cit., p. 268, in maggio.
118 Cfr. Eus., h.e. IX 1,1.
119 Cfr. Eus., h.e. IX 1,1: «ἀντὶ [...] λόγῳ προστάττει...», e poco dopo: «ἀγράφῳ προστάγματι». Eusebio (cfr. E. Schwartz in Eusèbe de Césarée. Histoire ecclésiastique, cit., III, p. 44) ha posto attenzione a questo raddoppiamento. A proposito del procedimento attraverso il quale l’editto è reso pubblico, cfr. S. Mitchell, Maximinus and the Christians, cit., p. 113. Il racconto eusebiano del procedimento non è chiaro e risulta in sé contraddittorio. Si riferisce che Massimino Daia non pubblica l’editto, ma dà piuttosto indicazioni orali ai funzionari sulla necessità di abbandonare la persecuzione, ed essi trasmettono – così pare – ciò che è loro detto. Poi Eus., h.e. IX 1,2 attesta che Sabino (cfr. PLRE I, s.v. Sabinus 3, p. 791) scrive ai governatori delle province.
120 Cfr. Eus., h.e. IX 1,1-7. Sulla lettera di Sabino, cfr. Eus., h.e. IX 1,3-6 = S. Corcoran, The Empire of the Tetrachs, cit., pp. 148-149 (lettera n. 54).
121 Cfr. Lact., mort. pers. 34,5.
122 Cfr. Eus., h.e. IX 1,7-11.
123 Cfr. Lact., mort. pers. 36,3; Eus., h.e. IX 1,2 segg. Sulla durata della pace per i cristiani, cfr. Eus., h.e. IX 2,1 (meno di sei mesi pieni). Circa il calcolo del momento in cui le persecuzioni sono riprese, cfr. Eusèbe de Césarée, Histoire ecclésiastique, cit., III, p. 47 nota 2.
124 Cfr. Lact., mort. pers. 37,1.
125 Cfr K.M. Girardet, Das Jahr 311, cit., p. 13.
126 Cfr. Eus., h.e. IX 9a,12; ma anche IX 9,12-13.
127 Cfr. Eus., h.e. IX 92,1.
128 Lact., mort. pers. 34,4.
129 Cfr. PLRE I, s.v. L. Mussius Aemilianus signo Aegippius 6, p. 23.
130 Cfr. Eus., h.e. VII 10,10.
131 Per la datazione di questo martirio, cfr. H. Castritius, Studien zu Maximinus Daia, cit., p. 65 nota 13. Lactance, De la mort des persécuteurs, cit., p. 400, parla erroneamente di un uomo di nome Pioné.
132 Cfr. Eus., h.e. IX 6,2; VII 32,31; VIII 13,7.
133 Cfr. Eus., h.e. IX 6,3; VIII 13,2.
134 Cfr. Eus., h.e. IX 6,1.
135 Cfr. Hier., vir. ill. 83.
136 Cfr. Lact., mort. pers. 36,7.
137 Cfr. Lact., mort. pers. 36,3; Eus., h.e. IX 2,1; 4,1 segg.
138 Cfr. Eus., h.e. IX 9a,6. Su questo scritto indirizzato a Sabino, cfr. in generale S. Corcoran, The Empire of the Tetrachs, cit., pp. 152 nota 57; 188 nota 30; S. Mitchell, Maximinus and the Christians, cit., pp. 114-15.
139 Cfr. Eus., h.e. IX 7,1.
140 Su Antiochia, cfr. Eus., h.e. IX 2,1; su Nicomedia, cfr. Eus., h.e. IX 9a,4-6. Questa petizione è all’inizio respinta per l’elevato numero di cristiani che ci vivono (cfr. Eus., h.e. IX 9a,4). Su Arycanda in Licia, cfr. CIL III 12132 = TAM II 3,785. Per una traduzione francese, cfr. Eusèbe de Césarée, Histoire ecclésiastique, III, cit., p. 49 nota 1. Per una versione migliorata, cfr. S. Mitchell, Maximinus and the Christians, cit., p. 110 = AE 1988,1047; cfr. anche I. Aryk., n. 2 = S. Sahin, Die Inschriften von Arykanda, Bonn 1994 (Inschriften griechischer Städte aus Kleinasien 48). Su Colbasa in Pisidia, cfr. AE 1988,1046 (6.4.312). Per una traduzione e un commento dell’iscrizione, cfr. S. Mitchell, Maximinus and the Christians, cit., pp. 108-110, 116-124. Su Tiro, cfr. Eus., h.e. IX 7,3-14, che in questo caso tramanda il testo. Sulla risposta di Massimino Daia (= rescritto) alle città, cfr. anche S. Corcoran, The Empire of the Tetrachs, cit., pp. 149-151.
141 A tale proposito, cfr. H. Castritius, Studien zu Maximinus Daia, cit., pp. 52-62, che muove, però, dall’idea che queste riflessioni economiche non determinino in modo esclusivo il comportamento di Massimino.
142 Cfr. At 19,24-40.
143 Cfr. Aug., epist. 91; 104,5; H. Castritius, Studien zu Maximinus Daia, cit., p. 56 nota 62.
144 Cfr. Eus., h.e. IX 7,15.
145 Cfr. Lact., mort. pers. 36,4; Eus., h.e. IX 4,2.
146 Cfr. Eus., h.e. IX 5,1, ma anche ivi, IX 7,1; 1,9,4. Si tratta di un documento di cui si è a conoscenza solo grazie a questo passo di Eusebio: cfr. anche le note in Eusèbe de Césarée, Histoire ecclésiastique, cit., I, p. 34, nota 3; III, p. 50 nota 1; IV, pp. 125-126.
147 Cfr. Eus., h.e. IX 5,1 segg.
148 Sulla datazione, cfr. W. Kuhoff, Diokletian und die Epoche der Tetrarchie, cit., pp. 926-930; circa la datazione dei singoli documenti, cfr. S. Corcoran, The Empire of the Tetrachs, cit., pp. 187-189.