Il bell'Antonio
(Italia/Francia 1959, 1960, bianco e nero, 105m); regia: Mauro Bolognini; produzione: Cino Del Duca/Alfredo Bini per Arco Film/Lyre Cinématographique; soggetto: dall'omonimo romanzo di Vitaliano Brancati; sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini, Gino Visentini; fotografia: Armando Nannuzzi; montaggio: Nino Baragli; scenografia: Carlo Egidi; costumi: Piero Tosi; musica: Piero Piccioni.
Una camera da letto a Roma. Una donna implora Antonio Magnano, è disperata e vicina alle lacrime. Si capisce che lui la vuole lasciare, ma lei non si rassegna. "Non voglio sposarti, voglio solo starti vicino". "Perché vuoi umiliarti... non posso...", risponde lui. I titoli di testa accompagnano i passi di Antonio nella natia Catania, dove ha deciso di fare ritorno dopo gli anni trascorsi nella capitale. La madre lo travolge di affetto e parole. Di diverso tenore l'incontro con il padre, gerarca ai tempi del fascismo, che subito lo apostrofa sottolineando i valori della mascolinità degli uomini veri del sud ("Vieni, Antonio, parliamo un po' fra uomini!") e lo invita a prendere finalmente una decisione e sposare una ragazza che non ha mai visto: Barbara Puglisi. Il cugino Edoardo lo conduce a una festa a casa di un avvocato, luogo di ritrovo di politici e notabili nonché di di-sponibili ballerine del varietà di passaggio in città. Lì An-tonio scopre in una fotografia il volto della misteriosa Barbara che dovrebbe sposare e rimane incantato dalla bellezza di quel volto, poi viene trascinato da una ragazza in una delle camere da letto. Rientrato a casa, in piena notte, sveglia i genitori e comunica loro che sposerà Barbara. È grande la gioia per i Magnano che vedono nel matrimonio con la ricca ragazza, figlia di un notaio, la possibilità di risollevare le sorti economiche di famiglia. Il padre di Antonio si reca a casa del futuro consuocero per definire gli ultimi accordi prematrimoniali. Poi salgono a rendere omaggio al vecchio barone capostipite della famiglia, costretto a letto dalla malattia. Quando il barone Puglisi vede Magnano lo aggredisce ricordando una vecchia vicenda dei tempi del fascismo e, travolto dall'emozione, muore. Il primo incontro faccia a faccia fra Antonio e Barbara avviene proprio al corteo funebre per il barone. Per gli innamoratissimi Antonio e Barbara arriva il giorno del matrimonio e dell'ingresso nella nuova casa: la tenuta dei Magnano in campagna, fra gli aranceti. La porta della camera da letto si chiude e la scena successiva si riapre con lei felice sull'altalena e lui che la spinge, la guarda rapito, la bacia, la adora. Passano le giornate e Barbara apre finalmente gli occhi sull'impotenza del marito. A letto Antonio è sconvolto: "Mi ami ancora, adesso che sai? Mi amerai anche fra un anno?". Barbara lo tranquilizza: "Sei sempre il mio sposo". Ma il fragile equilibrio si spezza e deflagra. Il notaio Puglisi ha uno scontro con il padre di Antonio che di fronte all'evidenza, impazzito, continua a rifiutare la realtà. Anche quando il figlio implicitamente glielo confessa, Alfio Magnano si aggrappa a un'ultima folle speranza: una scelta volontaria di Antonio. Il matrimonio viene annullato, Antonio è sempre più solo, anche la fragile Barbara lo ha abbandonato da tempo, ben prima che la famiglia le abbia trovato un nuovo e facoltoso marito. Alfio Magnano muore durante un incontro con una prostituta. Ma il nome della famiglia viene riabilitato in extremis: la giovane servetta Santuzza confessa di essere incinta e di aspettare un figlio proprio da Antonio. La telefonata di congratulazioni del cugino Edoardo per il bell'Antonio si trasforma in una sorta di epitaffio.
Nella Catania degli anni Cinquanta, dove il tempo è fermo e la vita si svolge dietro mura e persiane, si compie la parabola di Antonio Magnano, il bell'Antonio, rampollo di una famiglia altoborghese in fase di veloce decadimento sociale, amato e conteso dalle donne.
In una delle sue prime trasposizioni da romanzi e racconti italiani (seguiranno, tra gli altri, La viaccia, 1961, da M. Pratesi, Senilità, 1962, da I. Svevo, Metello, 1970, da V. Pratolini), Mauro Bolognini ‒ autore 'letterario' per eccellenza ‒ si ispira al romanzo omonimo di Vitaliano Brancati ma, con l'apporto in fase di sceneggiatura di Pier Paolo Pasolini, lo stravolge spostando in avanti le lancette cronologiche (gli anni Cinquanta, appunto, rispetto al periodo fascista del romanzo), cancellando alcuni personaggi, inventando un finale, ma soprattutto 'raffreddando' in una sorta di studio entomologico il calore delle pagine di Brancati.
Il calvario umano e sociale del bell'Antonio di Bolognini (e Pasolini), figlio della cultura del gallismo del sud e di valori all'apparenza inattaccabili, si compie e si svolge nel tormento di un'impotenza che lo costringe al sotterfugio più che alla bugia e al gioco crudele delle apparenze. Antonio diventa così una sorta di Dorian Gray mediterraneo (specchi e riflessi trovano spazio nella costruzione delle inquadrature, 'esplodendo' in particolare nella sequenza finale) esteticamente inattaccabile ma corroso all'interno, costretto al supplizio quotidiano della finzione, divorato dalle paure e dai rimorsi. L'impotenza di Antonio è psicologica e si manifesta non a caso solo con le donne veramente amate (una Paola dei tempi di Roma descritta al cugino Edoardo in uno sfogo notturno, ma soprattutto la sposa Barbara Puglisi, volto d'angelo capriccioso di Claudia Cardinale), tanto che nel finale la madre griderà alla città dal balcone, in un urlo isterico di trionfo, il riscatto del figlio che ha messo incinta la servetta di casa. Ma questo blocco mentale diventa, nel racconto cinematografico, il blocco più generale della sensibilità offesa dall'arroganza (del potere o della mente, poco importa), della bontà schiacciata dalla malvagità, della diversità fagocitata dall''opinione pubblica'.
Esemplare, per la descrizione d'ambiente, la bella sequenza della festa dei notabili catanesi alla quale Antonio, appena tornato da Roma, viene trascinato dal cugino Edoardo: sudore, donnine facili, balli, esternazioni di potere e crudi giochi al massacro destinati a imprimersi nella memoria.
Bolognini segue il percorso di Antonio ‒ destinato a concludersi comunque drammaticamente, anche e nonostante un successo che si deduce passeggero ‒ affollando il cammino di riferimenti religiosi, per accentuare il sacrificio di un uomo inadeguato: dalla caratterizzazione del personaggio della madre (una misurata e perfetta Rina Morelli) circondata nella pesante casa-museo dai ritratti dei santi, alle figure femminili tentatrici in odore di zolfo che mirano alla 'corruzione' dell'angelico Antonio. Il personaggio è condannato a non riscuotere la simpatia del pubblico, forse solo frammenti di pietà, proprio per la scelta autoriale di raffreddare la materia originale del romanzo trasportandola sotto la lente ideale di un microscopio. Antonio e Barbara, i genitori, i sacerdoti, i parenti, le donne diventano così pedine-marionette di un gioco più grande che non lascia scampo né vie d'uscita. Perché, come recita in un monologo-confessione Antonio usando i versi di una poesia, "corsi cercando amore, ma l'amor non scorsi, e a casa tornai malato in cuore".
Interpreti e personaggi: Marcello Mastroianni (Antonio Magnano), Claudia Cardinale (Barbara Puglisi), Pierre Brasseur (Alfio Magnano), Rina Morelli (Rosaria Magnano), Tomas Milian (cugino Edoardo), Fulvia Mammi (Elena Ardizzone), Patrizia Bini (Santuzza), Anna Arena (signora Puglisi), Guido Celano (onorevole Calderana), Jole Fierro (Mariuccia), Maria Luisa Crescenzi (Francesca), Cesarina Gheraldi (zia Giuseppina), Alice Sandro (Nanda), Mino Camarda, Maurizio Conti.
P.P. Pasolini, Il messaggio del 'Bell'Antonio': confessioni di uno sceneggiatore, in "Il reporter", 9 febbraio 1960, poi in P.P. Pasolini, I film degli altri, Parma 1986.
E. Bruno, Il bell'Antonio, in "Filmcritica", n. 95, marzo 1960.
L. Pellizzari, Il bell'Antonio, in "Cinema nuovo", n. 144, marzo-aprile 1960.
T. Kezich, Due libri sullo schermo, in "Sipario" n. 168, aprile 1960.
P. Bianchi, Il bell'Antonio, in "Il nuovo spettatore cinematografico", n. 10-11, aprile-maggio 1960.
A. Baldi et. al., Mauro Bolognini. Il fascino della forma, Roma 1992.
Mauro Bolognini. Cinema tra letteratura, pittura e musica, a cura di A. Frintino, P.M. De Santi, Pistoia 1997.
Sceneggiatura: in 'Il bell'Antonio' di Mauro Bolognini. Dal romanzo al film, a cura di L. Miccichè, Torino 1996.