L’esito del primo turno delle elezioni presidenziali ucraine del 2004 aveva visto il candidato governativo, Viktor Janukovyč, e il leader della coalizione d’opposizione Nostra Ucraina, Viktor Jušˇcenko, giungere praticamente appaiati. Il ballottaggio di fine novembre sembrò assegnare la vittoria a ;Janukovyč. L’Osce, tuttavia, certificò brogli e illegalità diffuse durante lo svolgimento del voto, scatenando una lunga serie di proteste di piazza cui presero parte centinaia di migliaia di persone vestite d’arancione. Nel frattempo Europa e Stati Uniti rifiutarono il risultato elettorale, mentre la Rada – il Parlamento ucraino – approvò una mozione di sfiducia nei confronti del governo e indisse nuove elezioni. Queste ultime, tenutesi a fine dicembre, sancirono la vittoria di Jušˇcenko con il 51% dei voti, mentre Janukovyˇc si fermava al 44%.
Il primo periodo della presidenza Jušˇcenko fu condiviso con il primo ministro Julija Tymošenko, suo alleato d’opposizione nei mesi precedenti la ‘rivoluzione arancione’. La Costituzione del paese fu emendata per limitare il potere della presidenza, trasformando la forma di governo da presidenziale a semipresidenziale: il potere di nomina dei ministri sarebbe stato attribuito al primo ministro, e quest’ultimo non sarebbe più stato destituibile dal presidente senza un voto del Parlamento. I governi ‘arancioni’ adottarono una politica estera orientata all’approfondimento delle relazioni con l’Unione Europea (accelerando i processi di cooperazione politica e liberalizzazione commerciale) e con la Nato, mentre i rapporti con Mosca si inasprirono raggiungendo livelli di tensione anche drammatici. La coalizione filooccidentale risultò tuttavia decisamente instabile: divisa al suo interno da una lotta di potere tra Jušˇcenko e la Tymošenko, fu anche scossa da un’importante crisi politica che ne limitò gli spazi di manovra.
L’entrata in vigore della riforma costituzionale nel gennaio 2006 avvenne infatti a ridosso di nuove elezioni parlamentari, e queste ultime decretarono la vittoria del partito di Janukovyč, che raccolse il 32% dei voti validi, mentre il partito della Tymošenko si fermava al 22% e Nostra Ucraina al 14%. La nomina a primo ministro di Janukovyč fu inevitabile, e i nuovi poteri attribuiti dalla Costituzione a quest’ultimo ingenerarono un braccio di ferro politico tra presidente e primo ministro. Le tensioni raggiunsero il loro apice nell’aprile 2007, quando Juščenko tentò di sciogliere il Parlamento per decreto. Un compromesso portò a nuove elezioni a settembre, e il loro esito confermò il Partito delle regioni di Janukovyč come prima forza politica con il 34% dei voti. L’esito delle urne vide tuttavia la Tymošenko guadagnare posizioni (31%) e Nostra Ucraina tenere (14%). Grazie al risultato elettorale, un nuovo governo a guida Tymošenko è riuscito a restare in carica dalla fine del 2007 fino alle successive elezioni presidenziali del gennaio 2010, sebbene i nuovi rapporti di forza (con il partito del presidente così debole rispetto al grande exploit della Tymošenko) abbiano gradualmente ma sistematicamente messo sempre più a repentaglio la stabilità della coalizione arancione.