Il caso Montepaschi e i limiti della vigilanza
Per la crisi dell’istituto bancario senese sono finite sul banco degli imputati anche le autorità di vigilanza, Consob e Banca d’Italia. Ma i poteri di questi enti, che pure sono intervenuti, non sono sufficienti.
Quando una banca è colpita da una crisi, sul tavolo degli imputati salgono non solo i suoi amministratori, ma anche le autorità di vigilanza. Queste ultime, infatti, hanno come missione regolare e vigilare sui mercati finanziari a tutela dei risparmiatori. Munite di poteri molto estesi, devono porre in essere tutte le misure necessarie per prevenire le crisi bancarie ed evitare che queste provochino il panico tra i depositanti con effetti a cascata anche sull’intero sistema finanziario.
Esemplare è il caso Montepaschi, che è stato colpito a partire dal 2010 da una crisi di liquidità e patrimoniale, scoppiata nel pieno della tempesta finanziaria che ha investito il nostro paese con veemenza crescente (specie nell’ultima parte del 2011). Ciò anche a causa del cosiddetto rischio del debito sovrano, legato all’andamento negativo dei titoli di Stato e all’aumento dello spread delle nuove emissioni azionarie.
La banca senese è riuscita a sopravvivere grazie agli interventi di sostegno statali e a una serie di misure imposte dalla Banca d’Italia. L’origine di tutti i guai del Montepaschi risale però al 2008, allorché lo storico istituto senese acquistò la banca Antonveneta da ABN AMRO nell’ambito di un accordo con il Banco Santander. L’operazione, rivelatasi ex post molto onerosa (circa 9 miliardi di euro), fu possibile solo in virtù di operazioni finanziarie (un aumento di capitale e l’emissione di titoli obbligazionari) volte a procurarsi la liquidità necessaria per effettuare l’investimento. Il tutto sotto l’occhio vigile o, secondo le critiche, non sufficientemente vigile dei principali regolatori, cioè la Banca d’Italia e la Consob.
In realtà, non si può dire che i 2 istituti di vigilanza siano rimasti inattivi in concomitanza con le vicende del Monte dei Paschi.
La Banca d’Italia, in particolare, ha anzi pubblicato sul proprio sito Internet nel gennaio 2013 un rapporto che illustra i principali interventi di vigilanza sul gruppo senese. Il documento dà conto di numerosi incontri informativi con i responsabili della banca, di richieste di interventi specifici per rafforzarne il patrimonio, delle ispezioni effettuate nel 2010 e nel 2011 presso l’istituto per accertare la situazione dei vari rischi di liquidità e finanziari.
In un crescendo di attività, il 15 novembre 2011 il direttorio della Banca d’Italia convocò a Roma i vertici della banca senese e della fondazione Montepaschi, azionista di riferimento i cui amministratori sono in gran parte espressi dal Comune di Siena e da altri enti locali. Come si legge nel rapporto, l’incontro è stato l’occasione per «metterli di fronte alle proprie responsabilità», richiedendo anche «una rapida, netta discontinuità nella conduzione aziendale», attuata nei mesi successivi attraverso il ricambio dell’intero vertice aziendale. Nel gennaio del 2012 il governatore della Banca d’Italia richiese alla banca senese un piano straordinario di interventi tradotti in un nuovo business plan presentato poi dai nuovi amministratori nominati nel giugno 2012.
Anche la Consob ha puntato il faro sul Montepaschi fin dall’aumento di capitale del 2008 realizzato, come si è visto, per finanziare l’acquisto di Antonveneta.
Numerose sono state, infatti, le richieste di informazioni, gli scambi di corrispondenza anche con la Banca d’Italia e i richiami al rispetto delle regole di trasparenza e correttezza in relazione a varie operazioni in titoli (Fresh, Santorini, Alexandria) effettuate dalla banca senese.
Ma gli strumenti di vigilanza amministrativa hanno un limite fisiologico. Nel caso Montepaschi questo è stato superato, se è vero che, come denunciato dalla Banca d’Italia alla procura penale nell’ottobre 2012, durante l’ispezione del 2010 la banca occultò sia agli ispettori sia ai revisori contabili un contratto finanziario con Nomura, riguardante la ristrutturazione del titolo Alexandria. Con riferimento a questi e altri episodi (è stata ipotizzata addirittura qualche tangente) anche la Consob ha denunciato il reato di manipolazione del mercato a carico di esponenti aziendali. Il dossier è ora in mano al giudice penale che dispone di strumenti d’indagine molto più potenti.
Nelle more sia la Consob sia la Banca d’Italia hanno avviato procedimenti per l’irrogazione di sanzioni amministrative nei confronti dei vertici aziendali in carica fino al 2012. Alcuni procedimenti si sono già conclusi con la condanna al pagamento di importi elevati. La banca senese ha avviato anche azioni di responsabilità civile.
Il nuovo corso del Monte dei Paschi ha ricevuto una sorta di benedizione dalla Banca d’Italia che nella relazione annuale presentata il 31 maggio 2013 ha ricordato come il finanziamento concesso alla banca dallo Stato italiano e il nuovo piano di ristrutturazione aziendale hanno innescato un circuito virtuoso, anche se molto dipenderà dall’evoluzione del contesto economico e finanziario del paese. Anche la Commissione europea ha dato il proprio avallo al programma di risanamento, chiedendo peraltro interventi volti a rafforzare sotto il profilo patrimoniale l’istituto senese.
Il ‘buco’ Montepaschi
acquisizione Antonveneta 9,3 mld
operazione Alexandria, contabilizzata da Nomura 220 mln
commissione per Nomura 88 mln