Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il Settecento è il secolo della crisi dell’immagine tradizionale della natura: la scala. Intorno al 1750 viene proposta una prima alternativa alla scala (la mappa), capace di rispecchiare più efficacemente l’articolazione delle affinità morfologiche. Intorno al 1800 viene infine definita una nuova immagine della natura (l’albero), che si rivelerà la più efficace nel visualizzare la massima conquista della storia naturale settecentesca: la teoria dell’evoluzione.
Premessa
Classificare significa, nel Settecento, ordinare al fine di produrre immagini della natura, cioè “visioni del mondo” che filosofi e naturalisti non si limitano a esporre discorsivamente ma tentano di visualizzare, mediante appropriate soluzioni grafiche, in modo da riflettere – “come in iscorcio” – il “piano della natura”.
La scala
L’immagine ereditata dalla tradizione è quella scalare, di cui troviamo traccia già nei dialoghi di Platone. I principi che la ispirano sono quelli della continuità, della pienezza, della progressione e della gerarchia: salendola si passa, gradualmente, dal semplice al complesso, dall’abbozzato al compiuto, dall’imperfetto al perfetto. Ma nell’Antichità e nel Medioevo la scala si era configurata come qualcosa di più e di diverso da un’immagine della natura in senso proprio e stretto. Essa aveva infatti assunto anche valenze metafisico-teologiche, come nel Liber de ascensu di Lullo (1304), e gnoseologico-morali come nel Liber de sapiente di Charles de Bovelles (1509).
La prima scala che rinunci a qualsiasi dimensione supra o extra naturale è la “catena dei corpi” verbalmente descritta da Leibniz in vari scritti degli anni a cavallo fra Seicento e Settecento.
Essa risulta particolarmente convincente perché indica, per la prima volta, anche i collegamenti fra i minerali e i vegetali (corpi intermedi: i “fossili”) e fra i vegetali e gli animali (corpi intermedi: i presunti “zoofiti”). La riprendono, arricchendola, Vallisneri, Bradley, Monro, e finalmente Bonnet la visualizza nel Traité d’insectologie. La sua “scala degli esseri naturali” comincia con le “materie sottili” e i quattro elementi della tradizione chimica, attraversa il regno minerale, “sfuma” in quello vegetale mediante i presunti “litofiti” (pietre vegetali) e i coralli, giunge al regno animale attraverso la “sensitiva” (Mimosa pudica) e i polipi, e culmina nell’uomo passando per lo scimpanzé.
Con questa scala si apre la stagione della massima fortuna dell’immagine, che viene accolta fra gli altri da La Mettrie, Leclerc de Buffon, Daubenton, Diderot, Kant, Rousseau, Robinet e da una moltitudine di scrittori e poeti. La scala viene impiegata per raggiungere conclusioni assai impegnative. Nella Vue philosophique de la gradation naturelle des formes de l’être, Robinet inserisce molti altri corpi intermedi (in particolare, tutte le razze umane) e afferma un principio che avrebbe avuto una grande, tragica fortuna: quello della superiorità della razza bianca (al culmine della scala), non solo dal punto di vista morfologico-anatomico ma anche da quello intellettuale e morale. Gli anni Sessanta del secolo sono comunque anche quelli in cui si moltiplicano, e si fanno sempre più decisi, gli interventi contrari alla scala.
Basterà ricordare quello di d’Alembert, alla voce “Cosmologie” dell’ Encyclopédie, e lo sfogo di Voltaire che nel Dictionnaire philosophique, insistendo proprio sulle componenti extrascientifiche dell’immagine, presenta la scala come il frutto di un’ingenua credenza popolare, piuttosto che di un sofisticato ordinamento naturalistico, e ne afferma il carattere essenzialmente ideologico.
Negli anni Settanta il modello entra in una crisi irreversibile, soprattutto per opera di Oehme. Il naturalista tedesco considera infatti ancora possibile un ordinamento lineare delle specie, ma nel De serie corporum naturalium continua ammette, in particolare, che “è ben difficile concepire una transizione dal regno minerale al vegetale”. A suo giudizio la natura si divide in due grandi porzioni (l’organica e l’inorganica), che non hanno alcun punto di contatto. Oehme si dichiara poi perplesso anche sui collegamenti, spesso incerti, fra il regno vegetale e quello animale.
Infine egli si piega a collegare i due insiemi, ma sottolineando che il collegamento è solo parziale, poichè non riguarda tutti i caratteri.
L’immagine tradizionale sopravvive alla “serie” di Oehme, ma senza conservare uno solo dei caratteri primitivi: non la continuità (che adesso le viene negata), non la progressione (che risulta modificabile, secondo i caratteri considerati), né la natura gerarchica (che diventa relativa a quei caratteri). La scala sopravvive solo adottando due soluzioni diverse, ma ugualmente insoddisfacenti: quella di restringere il proprio ambito di riferimento, rispecchiando porzioni della natura sempre più piccole (e quindi rinunciando all’ambizioso progetto originario di fornire un quadro complessivo), oppure quella di tornare sì – almeno tendenzialmente – a comprendere la natura nella sua interezza, ma adottando criteri sempre più selettivi, relativi a caratteri sempre più particolari.
La mappa
Fin dal 1750 era stata individuata un’alternativa alla scala capace di rispecchiare senza difficoltà, e anzi con grande efficacia, proprio la circostanza che aveva prodotto la crisi dell’immagine tradizionale, cioè l’esistenza di affinità che sono distribuite variamente fra le specie e che quindi le collegano non a coppie ma a grappoli. Si tratta della mappa, che viene proposta da Donati nel Saggio della storia naturale marina, sotto forma di “rete”, e da Linneo nella Philosophia botanica, sotto forma appunto di “mappa geografica”.
La rete e la mappa sono graficamente diverse (poiché Donati pensa alla natura come a “un tessuto di vari fili”, mentre Linneo come a “un territorio”), ma costituiscono due versioni della stessa immagine: per le loro affinità multiple, differenziate e incrociate, le specie non sono disponibili in modo che l’una “segua” o “preceda” le due che sarebbero loro contigue, ma ciascuna di esse si trova “circondata” da numerose altre specie.
Così nella mappa di Linneo (visualizzata da Giseke nel 1792), l’ordine I “sfuma”, per certe caratteristiche, nel III, ma per altre nel V e per altre ancora nel VI; una circostanza che era fin qui difficilmente rappresentabile – e che, anzi, la logica della scala escludeva.
La nuova immagine è assai diversa dalla precedente: in primo luogo essa ha due dimensioni; inoltre, mentre la scala indica un solo percorso – e un percorso obbligato –, la mappa prospetta un territorio che è virtualmente possibile percorrere in tutte le direzioni e in cui, pertanto, è assai difficile orientarsi. Significativamente, in questo periodo viene usata sempre più spesso la metafora della natura come “labirinto”, e si diffonde la convinzione che, per muoversi al suo interno, occorra trovare un adeguato “filo di Arianna”.
Il primo a disegnare quel “labirinto” e a distendervi un “filo” è Leclerc de Buffon nell’ Histoire naturelle générale et particulière, con una “tavola dell’ordine dei cani”. Essa è chiaramente ispirata all’immagine linneana, ma al contrario di quella è innanzi tutto già una mappa orientata e, secondariamente, lo è in senso evoluzionistico. Buffon vi ha infatti segnalato un punto di partenza, rappresentato dal cane da pastore (“la razza madre di tutte le altre”), da cui la natura si sarebbe mossa, diversificandosi, nelle varie direzioni indicate.
Un’altra mappa viene elaborata nel 1773 da Bernardin de Saint-Pierre, che visualizza un “ordine sferico”, una sorta di ragnatela fondata sulla convinzione che “la natura ha fatto tutto ciò che era fattibile”. Si tratta di un principio che più o meno sotterraneamente ispira tutte le mappe e che ne evidenzia un’altra caratteristica: al contrario della scala, la mappa è l’immagine della realizzazione di tutti i tipi possibili.
Negli anni Ottanta la mappa diventa l’immagine dominante, cui si convertono anche Rüling, Hermann, Daubenton e che convince, fra gli altri, Du Petit-Thouars, Jussieu, Duchesne, Lacépède, Ventenat, Batsch.
Nel 1788 Du Petit-Thouars ne adotta forse la versione più suggestiva (quella di una “costellazione” di specie), nel 1795 Duchesne ne elabora forse la variante più cerebrale (quella di una “tavola pitagorica”), e nel 1802 Batsch disegna un opus reticolatum in cui, per dare informazioni sui vari tipi di affinità esistenti fra i corpi, ricorre a ben nove soluzioni diverse.
L’albero
Ma fin dal 1766 era stata ideata una terza immagine, alternativa sia alla scala sia alla mappa. Si tratta dell’albero, che ha la storia più tormentata perché fornisce, col passare degli anni, indicazioni diverse e talvolta contrastanti. Esso viene introdotto da Pallas, nell’ Elenchus zoophytorum, per sottolineare una convinzione che non ha alcun rapporto con quella che avrebbe imposto l’albero nella seconda metà dell’Ottocento, e che le è anzi completamente estranea perché il naturalista tedesco respinge ogni teoria dell’evoluzione. Pallas introduce l’albero solo per evidenziare il carattere discreto della natura e in particolare la separatezza del dominio biologico. Ma in quello stesso 1766 Buffon lo utilizza invece per rappresentare le tappe della “degenerazione”, e in una prospettiva analoga Duchesne lo propone in forma di “genealogia”. Tuttavia si incontrano grandi difficoltà nel mettere a fuoco l’immagine.
Il primo albero viene disegnato da Augier che, nell’ Essai d’une nouvelle classification des végétaux, ipotizza che la natura possa aver prodotto successivamente le specie viventi, derivandole l’una dall’altra, e quindi che l’albero possa essere utilizzato, oltre che per fornire un quadro delle affinità morfologico-anatomiche, anche per ripercorrere “il cammino che la natura stessa sembra aver seguito”. Lamarck sta elaborando proprio in questi anni una teoria dell’evoluzione e quando disegnerà il suo primo albero (1809) dovrà soltanto evidenziare ciò che implicitamente era già emerso: l’albero è l’immagine dalle tre dimensioni, che consente – grazie all’inclusione di quella temporale – di ricavare anche informazioni filogenetiche.